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Non è un mistero che nei processi per omicidio stradale o lesioni personali stradali gravissime i provvedimenti nei confronti dell’imputato relativi alla patente di guida, tanto più se egli svolge un lavoro “su strada” come l’autotrasportatore o il conducente di mezzi pubblici, siano quasi più rilevanti rispetto alla pena “principale”, considerato il fatto che, complice la legge italiana, si tratta di condanne che raramente sfociano nel carcere e nella stragrande maggioranza dei casi beneficiano della sospensione condizionale.

Per questo è ancora più interessante la sentenza n. 25345/23 depositata il 13 giugno 2023 con cui la Cassazione chiarisce le modalità dell’applicazione di questa sanzione amministrativa accessoria che, nei frequentissimi casi di patteggiamento, esulano dalla pena concordata con il Pubblico Ministero inquirente e sono di esclusiva competenza del giudice, il quale però, nell’applicarla, deve motivare la sua decisione nel caso in cui ritenga di comminarla in una misura superiore alle media edittale.

 

Autista di un autobus condannato per omicidio stradale

La vicenda, tragica, di cui si è occupata la Suprema Corte è recentissima dal punto di vista processuale. L’autista di un autobus il primo febbraio del 2023, all’esito dell’udienza preliminare del processo a suo carico, aveva patteggiato avanti il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Macerata la pena, concordata, di un anno e quattro mesi di reclusione, condizionalmente sospesa, per il reato di omicidio stradale per aver investito nella stessa città, il 20 luglio 2021, una dipendente della Provincia che si stata recando al lavoro a piedi. Il Gip aveva altresì applicato a suo carico la sanzione sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per due anni e quattro mesi.

L’imputato ricorre in Cassazione contro la non motivata entità della sospensione della patente

L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione limitatamente a quest’ultima sanzione, lamentando la mancanza di motivazione in ordine alla sua quantificazione. Il ricorrente ha rilevato che, dopo che tra le parti era intervenuto l’accordo in ordine alla applicazione della pena principale, il giudice aveva applicato anche la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente, ma aveva omesso di motivare in ordine all’individuazione della durata, fissata in tre e sei mesi, ridotta poi a due anni e quattro mesi per il rito.

Dal momento che, ai sensi dell’art. 222 comma 2 del Codice della Strada, la durata della sanzione amministrativa accessoria in esame varia da quindici giorni a quattro anni, il giudice, secondo l’autista, avrebbe dovuto indicare le ragioni per cui aveva determinato tale durata in misura superiore alla media edittale, con un richiamo ai criteri previsti dall’art. 218 comma 2 del Codice della Strada.

La Suprema Corte gli ha dato ragione. Gli Ermellini premettono e chiariscono innanzitutto che le sanzioni amministrative accessorie “hanno proprie caratteristiche peculiari che le distinguono dalla pena e proprio in ragione di tale natura esse si collocano al di fuori della sfera di operatività dell’accordo recepito nella sentenza di applicazione della pena, tanto che il giudice deve applicarle in via autonoma, indipendentemente dalla volontà delle parti”.

 

Ricorso ammissibile, la sanzione accessoria compete al giudice ed esula dalla pena patteggiata

Ne consegue, pertanto, che il ricorso proposto dall’imputato per vizio di motivazione della sentenza di applicazione su richiesta delle parti in ordine alla durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, in applicazione della disciplina generale dettata dall’art. 606, comma 2, cod. proc. pen. “deve ritersi ammissibile. Con riferimento a tale doglianza, infatti, non vengono in rilievo i limiti di cui all’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. a norma del quale per le sentenze emesse ex art.444 cod. proc. pen. (il patteggiamento, ndr), su istanza proposta in data successiva al 3 agosto 2017, il ricorso per cassazione è ammesso solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza” spiega la Cassazione, che ritiene non solo il ricorso ammissibile ma anche la censura fondata.

Come la graduazione della pena, infatti – prosegue la Suprema Corte -, anche la graduazione delle sanzioni amministrative rientra nella discrezionalità del giudice di merito. E’ principio consolidato quello per cui il giudice, che applichi con la sentenza di patteggiamento la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, non deve fornire una motivazione sul punto, allorché la misura si attesti non oltre la media edittale e non constino specifici elementi di meritevolezza in favore dell’imputato”.

Ma la decisione va motivata se si applica più della media edittale

Ma se, aggiungono i giudici del Palazzaccio, il giudice applica la sanzione in misura superiore alla media edittale, in questo caso “ha l’onere di fornire una motivazione che debba dare conto dei criteri di cui all’art. 218, comma 2, CdS, ovvero della commisurazione della durata in ragione dell’entità del danno apportato, della gravità della violazione commessa, del pericolo che l’ulteriore circolazione potrebbe cagionare”.

Nel caso specifico, come si è detto, la durata della sospensione, nella forbice edittale fra quindici giorni e quattro anni prevista dall’art. art. 222 Cds, era stata determinata in tre anni e sei mesi, “con una motivazione intrinsecamente contraddittoria” evidenziano gli Ermellini. Il giudice, infatti, nel motivare tale sanzione, prossima al massimo edittale, aveva dato atto che, nel caso di specie, non erano ravvisabili, per citare la sentenza, “macroscopiche disattenzioni, o condotte poste in essere in consapevole spregio dei più elementari criteri di prudenza“, essendo avvenuto l’incidente “con modalità del tutto eccezionali rispetto alle modalità di verificazione degli incidenti stradali”. In tal modo, il Gip “ha adottato un percorso argomentativo manifestamente incoerente rispetto alla decisione” conclude la Suprema Corte, che ha pertanto annullato la sentenza impugnata limitatamente alla durata della sospensione della patente di guida, con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Macerata, in persona di altro giudice.

 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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