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Uno studente costretto a frequentare una sede universitaria lontana da casa anziché quella più vicina, e peraltro più prestigiosa, per un “errore” nella redazione della graduatoria degli aventi diritto va risarcito, e non solo dei danni patrimoniali determinati dai viaggi e dalle trasferte più lunghi, ma anche di quelli morali dovuti all’impossibilità, per la lontananza, di compiere determinate attività per i propri familiari.

Danni che possono essere dimostrati anche in via presuntiva e liquidati in via equitativa. Con la sentenza n. 8181/22 depositata il 14 marzo 2022 la Corte di Cassazione si è occupata di una questione oggetto di continue dispute, ossia i concorsi pubblici per accedere agli Atenei italiani, ormai pressoché tutti a numero chiuso, nello specifico la rinomata Accademia di belle Arti.

La causa di uno studente di Belle Arti per l’errata assegnazione di una sede lontana da casa

Parte lesa un artista salernitano che era stato costretto per anni a dispendiose trasferte, a non potersi occupare in modo continuativo della madre anziana e della sorella disabile, per raggiungere la sede di Frosinone invece che prendere il posto che gli spettava nella ben più prestigiosa Accademia delle Belle Arti di Napoli (in foto). Questo perché il Ministero dell’Istruzione e dell’Università gli aveva illegittimamente anteposto un concorrente che aveva falsificato i titoli.

Per ottenere giustizia il danneggiato ha intrapreso una lunga battaglia legale ed è stato costretto anche a proporre un ricorso al Tar in quanto il Miur gli aveva negato l’accesso agli atti. La sua richiesta danni, rigettata in appello, è così giunta fino in Cassazione che gli ha finalmente riconosciuto il risarcimento integrale del danno patito.

 

La Suprema Corte gli riconosce il danno patrimoniale e morale

La Suprema corte è partita da un punto fermo, e cioè che la “responsabilità dell’amministrazione pubblica costituisce un fatto indiscusso e accertato“. Dunque, gli Ermellini si sono concentrati sulla valutazione delle condizioni di maggior dispendio di energie e di danaro in cui si è trovato il ricorrente nell’affrontare impegnative trasferte settimanali da Salerno a Frosinone, anziché da Salerno a Napoli (la sede cui aveva sin dall’origine diritto). Una condizione che, concludono i giudici del Palazzazzio, gli ha “impedito un più agevole accudimento della madre anziana e della sorella disabile, bisognose di cure, ex art. 21 L. 104/1992, sino all’ effettivo trasferimento all’Accademia delle belle arti di Napoli, sede per un artista di gran lunga più prestigiosa di quella di Frosinone”.

Nella determinazione del danno, quello “patrimoniale”, continua la decisione, emerge dalle “circostanze di fatto” che hanno “ictu oculi” quella “minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare un apprezzamento equitativo“. È infatti “indubbio e sufficientemente provato che il ricorrente si recasse nella diversa sede di Frosinone affrontando ingenti spese di viaggio per assicurare assistenza alla sorella, portatrice di grave handicap, e all’anziana madre”.

Per quanto concerne invece il danno morale, la decisione ricorda che le Sezioni Unite hanno da tempo affermato il principio secondo cui “il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esternova dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni”. Pertanto, conclude la Cassazione, “il giudice di merito avrebbe dovuto considerare, sotto questo profilo, il maggiore disagio e il peggioramento delle condizioni di esistenza del ricorrente nell’assicurare presenza e assistenza ai propri congiunti, sopportati per anni, prima del ripristino della situazione cui aveva originariamente diritto”.

 

Negata solo la perdita di chances

L’unica voce di danno non riconosciuta dagli Ermellini al ricorrente è stata quella da perdita di chances.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, “la valutazione della Corte di merito circa la mancata prova qui non è censurabile, posto che esso consiste nella violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali, che tuttavia non coincide … con la perdita di “chances” connesse allo svolgimento di specifiche scelte di vita (nel caso specifico artistica) non potute compiere, ma con la lesione di un bene di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere l’assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare solo in questo ultimo caso una condanna al risarcimento del danno sulla base di una liquidazione equitativa“.

La sentenza impugnata è stata comunque cassata con rinvio alla Corte di appello di Salerno per la ridefinizione del caso.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

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