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Com’è noto, il Codice della Strada impone che, per gli accertamenti della velocità dei veicoli, al valore rilevato sia sempre applicata una riduzione pari al 5%, con un minimo di 5 km/h. Ma cosa succede per circolazione acquea? Se manca la previsione di una specifica “tolleranza”, può essere applicata per “analogia” quella per la circolazione su strada?

No secondo la Cassazione che, con la sentenza n. 17679/22 depositata il 31 maggio 2022, ha dato ragione al Comune interessato per eccellenza dal traffico via acqua, Venezia, che aveva presentato ricorso contro la decisione del tribunale di merito di accogliere per queste ragioni un’opposizione a un verbale comminato per eccesso di velocità: un pronunciamento di assoluto rilievo perché, al di là del caso specifico, può essere esteso a tutta la circolazione acquea in Italia. 

Il tribunale di Venezia annulla la multa per eccesso di velocità a un motoscafo per la mancata “tolleranza”

Sulla scorta del proprio regolamento per la circolazione acquea, che dispone le velocità massime consentite in rii e canali alle imbarcazioni a motore, il Comune di Venezia aveva sanzionato l’imprenditore proprietario di un motoscafo il cui conducente era stato pizzicato a transitare lungo Rio Briati, proveniente da Rio Carmini, a una velocità – rilevata con apparecchiatura telelaser – di 10 km/h, ove vigeva il limite di 5 km/h. Il Comune aveva contestato la violazione dell’art. 2, comma 1 del regolamento e aveva emesso una correlativa ordinanza ingiunzione, contro la quale però i “sanzionati” avevano presentato opposizione, che era stata accolta sia in primo grado sia in secondo. 

Per i giudici andava applicata per analogia la tolleranza minima di 5km/h del Codice della Strada

Per il Tribunale di Venezia, con sentenza del 2019, il difetto della previsione di una “tolleranza strumentale”, con riduzione automatica della velocità rilevata dall’apparecchiatura in sede di misurazione della velocità delle imbarcazioni a motore, costituiva una lacuna da colmare attraverso l’applicazione analogica dell’art. 345, co. 2 del regolamento di esecuzione del codice della strada (d.p.r. 495/1992), il quale dispone che “per gli accertamenti della velocità, qualunque sia l’apparecchiatura utilizzata, al valore rilevato sia applicata una riduzione pari al 5%, con un minimo di 5 km/h. Nella riduzione è compresa anche la tolleranza strumentale. Non possono essere impiegate, per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocità, apparecchiature con tolleranza strumentale superiore al 5%”. L’applicazione analogica veniva giustificata dal riferimento all’art. 1, co 2 cod. nav., che recita: “ove manchino disposizioni del diritto della navigazione e non ve ne siano di applicabili per analogia, si applica il diritto civile”.

 

Il Comune di Venezia ricorre per Cassazione sulla scorta della diversità tra circolazione acquea e stradale

Il Comune di Venezia ha quindi proposto ricorso per Cassazione denunciando, in buona sostanza, l’erroneità della già accennata ragione, posta dal giudice di secondo grado a fondamento della propria decisione, ossia che “la tolleranza strumentale prevista dall’art. 345, co. 2 d.p.r. 495/1992 va applicata perché l’art. 1 cod. nav. prevede l’applicazione del c.d. “diritto civileinteso come diritto comune per il caso di lacune e la mancanza di limiti di tolleranza è palesemente una lacuna dell’ordinamento della navigazione”. Con questo argomento, come si è detto, il Tribunale di Venezia aveva applicato analogicamente alla circolazione delle imbarcazioni a motore nelle acque di Venezia il già ricordato articolo del regolamento di esecuzione del codice della strada, nella parte in cui dispone che la rilevazione della velocità di un veicolo ad opera di apparecchiature debba essere ridotta almeno di 5 km/h per contenere il rischio che eventuali difetti di misurazione dello strumento inducano falsi accertamenti di eccesso di velocità. 

Secondo il ricorrente, il fatto che la disciplina normativa della circolazione nelle acque del comune di Venezia (il codice della navigazione, il regolamento della Città metropolitana per il coordinamento della navigazione locale nella laguna veneta e il regolamento per la circolazione acquea nel Comune di Venezia) non prevedano la riduzione di cui all’art. 345, co. 2 cit. non è una lacuna normativa, ma è frutto di ragion veduta delle autorità di regolazione, e, in ogni caso, non è una lacuna normativa che possa essere colmata attraverso un’estensione analogica dell’art. 345, co. 2 d.p.r. 495/1992. 

 

I limiti di velocità per le imbarcazioni sono sensibilmente inferiori a quelle dei veicoli

L’amministrazione comunale si è soffermata poi sull’omessa considerazione nella sentenza impugnata della diversità tra circolazione acquea e stradale, rilevando in particolare come i limiti di velocità previsti per le imbarcazioni a motore siano talmente minori rispetto a quelli per i veicoli stradali che sarebbe integralmente incongruo applicare ai primi la riduzione automatica della velocità rilevata di 5 km/h di cui all’art. 345, co. 2 d.p.r. 495/1992: una tale applicazione finirebbe infatti per annichilire il valore precettivo della disciplina normativa dei limiti di velocità delle imbarcazioni a motore nelle acque di Venezia. 

Infine, il ricorrente ha sviluppato un ulteriore profilo di critica dell’operazione ermeneutica compiuta dal Tribunale lagunare, avendo “erroneamente” omesso di considerare che la tolleranza strumentale – in quanto accorgimento tecnico coessenziale a un’apparecchiatura di misurazione della velocità, che nel caso de quo è di 2 km/h – è fenomeno radicalmente diverso dalla riduzione automatica della velocità rilevata di 5 km/h, disposta in ambito stradale in considerazione degli errori di percezione della velocità del conducente. Corollario di tale omissione è l’affermazione, parimenti censurata, che, allo stesso modo di un conducente di un veicolo stradale, il conducente di un’imbarcazione a motore non percepisca variazioni di velocità di 5 km/h. 

La Suprema Corte ha giudicato i motivi fondati e il ricorso da accogliere. La Cassazione rileva come la “via argomentativa” muova da due elementi, il primo dei quali è il comune denominatore del ricorso, e cioè l’omessa considerazione delle diversità della circolazione a mezzo di dispositivi meccanici a motore adibiti al trasporto, a seconda che avvenga nell’acqua o sulla terra. Il secondo elemento, invece, “è l’unica osservazione certamente erronea contenuta nel ricorso del Comune di Venezia: che tali due tipi di circolazione siano “abissalmente differenti” per citare le parole finali del documento”.

Infatti, proseguono gli Ermellini, “se tra la circolazione acquea e quella terrestre vi fosse un’abissale differenza, un’alterità radicale, i due fenomeni non potrebbero essere comparati tra di loro. La comparabilità presuppone che i fenomeni non siano integralmente differenti, ma al contrario che essi abbiano elementi comuni. (…) Se due fenomeni non fossero comparabili, non se ne potrebbe nemmeno predicare la diversità 

 

L’applicazione analogica del diritto

Delineato così il quadro di riferimento, il primo passaggio dei giudici del Palazzaccio è quello di richiamare il criterio generale di validità dell’applicazione analogica del diritto, che è sotteso sia all’art. 12, co. 2 disp. prel. c.c. (“se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”) sia alla stessa giurisprudenza di legittimità. In altri termini, dati due fenomeni, “il primo, “A”, assoggettato alla norma “X”, e il secondo, “B”, ipoteticamente in cerca di disciplina giuridica, e dato inoltre un aspetto, “C”, a loro comune, è possibile estendere la norma X al fenomeno B, se (solo se) l’aspetto C è ragione sufficiente (senza necessità di altri elementi) della norma X”. 

Il secondo passaggio consiste nel selezionare “il tertium comparationis (l’aspetto) in vista della finalità di verificare la correttezza dell’operazione ermeneutica compiuta dal Tribunale di Venezia. Esso si focalizza sulla esigenza – comune alla circolazione a mezzo di veicoli a motore, sia terrestre (stradale) che acquea – di introdurre accorgimenti per comprimere i margini di errore (meccanici ed umani) che si verificano in relazione alle operazioni di controllo del rispetto dei limiti di velocità. 

Il terzo passaggio, quello decisivo, “consiste nel concretizzare il criterio generale con riferimento al caso particolare, cui si può procedere domandandosi se sia sufficiente la tale esigenza comune alla circolazione stradale e acquea (a mezzo di veicoli a motore) a rendere (da sola) ragione dell’estensione analogica della riduzione automatica di 5 km/h ex art. 345, co. 2 d.p.r. 495/1992 alla misurazione tecnica della velocità delle imbarcazioni a motore circolanti nelle acque del Comune di Venezia per finalità di controllo e di sanzionamento. 

Ebbene, la risposta (che già si intuisce essere negativa) deriva, secondo gli Ermellini, “dalla considerazione della funzione delle limitazioni giuridiche della velocità dei veicoli di trasporto a motore, che è l’anello iniziale della catena che conduce al problema. Si tratta della funzione di bilanciare l’esigenza di trasportare persone, animali e cose ad una velocità corrispondente allo stadio evolutivo dei veicoli a motore con l’esigenza di proteggere ragionevolmente le persone e gli ambienti circostanti dai pericoli che tale velocità inevitabilmente comporta. Orbene, tale pericolosità è nozione eminentemente relazionale, scaturisce cioè dalla relazione tra il tipo di veicolo a motore, il grado di velocità che esso può raggiungere, l’elemento terrestre o acqueo su cui esso si muove, la forza d’attrito che il primo oppone al secondo, e – da ultimo, ma non per ultimo – le persone e l’ambiente circostanti. Tutti questi elementi costituiscono altrettante differenze specifiche tra la circolazione stradale e la circolazione acquea, specialmente nel Comune di Venezia. 

 

Le differenze tre le due modalità di trasporto escludono l’estensione della misurazione tecnica della velocità su strada a quella su acqua

Tali differenze, se hanno fornito delle ragioni integrative della scelta compiuta dal legislatore con il disporre la riduzione automatica di 5 km/h di cui all’art. 345, co. 2 d.p.r. 495/1992, “escludono – conviene la Cassazione – che essa possa essere estesa per analogia alla misurazione tecnica della velocità delle imbarcazioni a motore circolanti nelle acque del Comune di Venezia. La Suprema Corte elenca quindi le varie ragioni che portano a queste conclusioni e che possono essere colte “alzando lo sguardo dall’art. 2, co. 1 del Regolamento per la circolazione acquea nel Comune di Venezia, che ha costituito l’oggetto immediato del contendere, al precedente art. 1”, che cita, testualmente: “Il presente Regolamento disciplina la circolazione acquea nel Comune di Venezia allo scopo di: a) favorire la circolazione delle imbarcazioni secondo criteri di compatibilità tra le esigenze di vita cittadina e il contesto storico, urbano e ambientale; contenere al massimo gli effetti dannosi prodotti dai movimenti dell’acqua provocati dal moto delle barche e delle eliche e per la prevenzione dell’inquinamento aereo, acqueo e acustico; c) privilegiare, tra i traffici effettuati con imbarcazioni a motore, il trasporto pubblico di linea, il trasporto merci, il trasporto pubblico di persone non di linea; salvaguardare i servizi e le attività anche di trasporto in conto proprio di persone e cose, che si svolgono con imbarcazioni tipiche veneziane condotte a remi; ridurre al minimo i disagi che possono determinarsi con le chiusure di rii e canali per le necessità di scavo e manutenzione degli stessi”.

Costituisce una specie di “prova del nove” della correttezza del risultato, vanno a concludere i giudici del Palazzaccio, uno degli argomenti più persuasivi fra quelli invocati a più riprese dal Comune di Venezia nel corso del giudizio: “ove il limite di velocità sia di 5 km/h (come nel caso de quo), l’estendere analogicamente una riduzione di 5 km/h alla misurazione tecnica della velocità delle imbarcazioni a motore vale esattamente quanto consentire alle autovetture un’andatura di 100 km/h nei centri abitati in cui vige un limite di velocità di 50 km/h. Ciò non significa negare l’esistenza del problema dei difetti di percezione degli eccessi di velocità anche nella circolazione acquea. Significa solo escludere che l’estensione analogica dell’art. 345 co. 2 d.p.r. 495/1992 sia lo strumento per risolverlo. 

Se il problema possa essere risolto (con eterogenesi dei fini) attraverso la tolleranza strumentale applicata al dispositivo LTI 20-20, con cui era stata accertata la velocità del motoscafo taxi, rimane fuori dall’oggetto del presente giudizio, precisano infine gli Ermellini: “allo stato attuale della legislazione italiana, segnatamente ad opera del predetto art. 1, co. 2, l’applicabilità del codice della strada per colmare le lacune del diritto della navigazione appare doppiamente esclusa: da un lato, s’interpone il criterio della somiglianza del caso ristretto all’interno della materia; dall’altro lato, s’interpone un fatto negativo, cioè la non appartenenza al diritto comune del codice della strada, del quale si può similmente predicare il carattere di disciplina speciale ispirata alla finalità della sicurezza della circolazione stradale”.

Il ricorso è stato pertanto accolto, con cassazione della sentenza e rinvio della causa al tribunale, in diversa composizione. 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Contenzioso con Pubblica Amministrazione

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