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Come ci si comporta se, dopo una sentenza, vengono ritrovati documenti potenzialmente essenziali ai fini della causa ed in grado di ribaltare una decisione?

La Corte di Cassazione, III Sez. Civ., con l’ordinanza n. 28126/23, pubblicata il 5 ottobre 2023, si è espressa in merito all’analisi del punto 3 dell’art. 395 del codice di procedura civile, che tratta della possibilità di impugnare per revocazione una sentenza pronunciata in appello o in un unico grado.

Incidente stradale con fuga dell’altra auto: spunta anni dopo un testimone

Il particolare caso trattato nell’ordinanza in questione riguarda un incidente stradale dove la responsabilità era stata ascritta al conducente di un’auto, sebbene l’altro veicolo si fosse dato alla fuga, senza più essere ritrovato, in seguito al sinistro. L’impresa designata per il Fondo di garanzia per le vittime della strada, infatti, sia in primo grado che in appello non era stata condannata a risarcire i danni dei ricorrenti, ritenuti responsabili dell’incidente.

Nel marzo del 2019, con un disperato tentativo, i soggetti avevano provato a pubblicare sui giornali un appello di “ricerca testimoni” che, solo due anni dopo, a sorpresa, si era concretizzato. Nel 2021 infatti era stato ritrovato un documento contenente una dichiarazione scritta da un soggetto che aveva riconosciuto di aver assistito al sinistro e di essersi avveduto dell’ascrivibilità della responsabilità relativa alla condotta di guida del soggetto che si era dileguato immediatamente dopo il fatto.

 

Il ricorso per impugnazione di revocazione

Su questa base era stato proposto un ricorso per impugnazione di revocazione, ai sensi dal punto 3 dell’art. 395 del codice di procedura civile che recita che “le sentenze pronunciate in grado d’appello o in un unico grado, possono essere impugnate per revocazione se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario”.

Ma la Corte territoriale ha evidenziato come quanto proposto era del tutto infondato. La dichiarazione infatti non poteva attribuirsi al suddetto articolo che fa riferimento solo ai documenti preesistenti alla decisione impugnata e non potuti produrre tempestivamente. Nonostante ciò, gli istanti hanno proposto ricorso per Cassazione.

 

I soggetti si rivolgono alla Suprema Corte per un’interpretazione eccessivamente restrittiva dell’art. 395

Nell’unico motivo di impugnazione proposto, per citare l’atto in questione, “i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione di norme di diritto per avere la corte territoriale adita in sede di revocazione fornito un’interpretazione eccessivamente restrittiva, e dunque erronea, dell’art. 395 n.3 c.p.c. confondendo il profilo della formazione del documento prodotto (nella specie della materiale stesura della dichiarazione scritta resa dal testimone oculare del sinistro stradale dedotto in giudizio) con quella del suo ‘ritrovamento‘ (o ‘recupero’), dovendo ritenersi che la prova attestata da quella dichiarazione scritta fosse già esistente al momento del fatto illecito (in quanto oggetto di percezione da parte del testimone) e non potuta produrre per fatto non imputabile agli odierni ricorrenti, nella specie del tutto ignari della presenza di tale testimone sul teatro dell’illecito per essere venuti a conoscenza di tale presenza (e dalla dichiarazione resa da tale testimone) solo successivamente alla pubblicazione della sentenza d’appello impugnata per revocazione”.

In sostanza essendo il documento preesistente, indipendentemente da quando esso fosse stato formalizzato (ossia in epoca postuma alla pubblicazione della sentenza impugnata per revocazione), la sentenza impugnata in appello doveva ritenersi emessa in violazione delle norme di legge.

 

La Suprema Corte rigetta il ricorso: un documento non può apparire dopo la decisione

Il Palazzaccio nella sua sentenza spiega come – per citare direttamente quanto scritto dal Giudice – “l’ipotesi di revocazione di cui al n. 3 dell’art. 395 c.p.c. presuppone che un documento preesistente alla decisione impugnata, che la parte non abbia potuto produrre a suo tempo per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario, sia stato recuperato solo successivamente a tale decisione, sicché essa non può essere utilmente invocata con riferimento ad un documento formato dopo la decisione”.

Il dato informativo che rimane semplicemente impresso nella memoria dello spettatore di un fatto – proseguono ancora gli Ermellini – senza estrinsecarsi in alcuna forma esteriormente percepibile, non potrà mai intendersi, né alla stregua di un ‘documento‘, né più in generale, alla stregua di una ‘prova‘ (da ritenersi, in ipotesi, preesistente alla formazione del giudicato sui fatti che tale memoria soggettiva dovrebbe attestare), dovendo viceversa valorizzarsi, al fine di aggredire la stabilità del giudicato, il più elevato grado di certezza processuale di regola attribuita alle rappresentazioni assicurate da una prova documentale ‘materialmente’ già formata e quindi tecnicamente precostituita rispetto alla decisione che si pretende invalidamente assunta, rispetto a un mero ‘interno psichico’ la cui obiettiva entità e il cui effettivo valore rappresentativo risultano (si ripete, in assenza di alcuna precedente ed obiettiva estrinsecazione in forme esteriormente percepibili) di impossibile apprezzamento”.

Esclusa, in conclusione, la fondatezza di quanto proposto dai ricorrenti, poiché la dichiarazione testimoniale chiamata in causa si è materializzata solo in seguito alla formazione del giudicato impugnato. Ricorso – in questo caso – rigettato, ma ordinanza molto importante per quanto concerne la chiarificazione dell’eccezionale situazione di un rinvenimento di prova postumo a quanto espresso in fase di sentenza.

Scritto da:

Dott. Andrea Biasiolo

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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