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Con la preziosa sentenza n. 27380/22 depositata il 19 settembre 2022 la Cassazione, III sezione Civile, ha fatto il punto sulla valutazione complessiva delle componenti del danno biologico pronunciandosi sul ricorso dei familiari di un’anziana rimasta vittima di un grave incidente in seguito al quale aveva riportato pesanti politraumi con conseguente necessità di assistenza continua fino alla sua morte, sopravvenuta per altre cause. 

 

Un’anziana rimane vittima di un grave incidente riportato pesanti politraumi

La vicenda. La sera del 28 settembre 2009, nel comune di Nerola (RM), una all’epoca 84enne, ma ancora del tutto autonoma e autosufficiente, scesa di casa per gettare la spazzatura, era stata investita sul marciapiede vicino alla sua abitazione da un’auto il cui conducente, nel compiere una manovra di retromarcia, al buio, non si era accorto della sua presenza. Al pronto soccorso del vicino ospedale, dove era stata condotta subito dopo l’incidente, le erano state refertate “frattura pluriframmentaria del collo e del trochite omerale sinistro, trauma cranico, contusione sopra orbitaria sinistra, distorsione del rachide cervico-dorsale, distorsione del ginocchio sinistro, contusioni multiple agli arti inferiori e ferita da strappo con perdita di sostanza a livello della gamba sinistra” Erano quindi seguiti vari ricoveri e degenze fino al 12 novembre. Dimessa dall’ospedale, la signora aveva avuto bisogno di continua assistenza, avendo perso la capacità di deambulare ed anche quella di mantenere la stazione eretta, fino alla morte, verificatasi per altri motivi. 

I suoi familiari citano in causa l’investitore e l’assicurazione per il risarcimento

Non avendo ricevuto alcun indennizzo dalla assicurazione della vettura investitrice, la danneggiata aveva chiesto il risarcimento del danno biologico, per l‘invalidità temporanea e permanente causate dall’incidente, ma era deceduta nel corso del giudizio di primo grado, per cause, come detto, indipendenti dall’incidente, senza però aver mai recuperato, neppure in parte, la sua precedente autonomia. Il giudizio era quindi stato riassunto e proseguito dai suoi familiari. 

Nel corso del primo grado di giudizio erano state assunte prove testimoniali e era stata espletata una consulenza tecnica, la quale aveva concluso nel senso che le lesioni fisiche riportate dall’anziana, che avevano determinato ben 498 giorni di invalidità temporanea assoluta, le avevamo procurato un danno biologico del 12% in relazione al cosiddetto danno statico, rimettendo invece al giudice la quantificazione del danno biologico cosiddetto dinamico, concernente la perdita della funzione deambulatoria. 

Il giudice aveva quindi chiesto al consulente tecnico di integrare la relazione provvedendo alla richiesta valutazione e quantificazione globale del danno biologico e il Ctu, effettuata l’integrazione richiesta, aveva indicato che, sommando la perdita funzionale e la perdita della capacità di deambulare all’interno dell’unitario danno biologico, in ipotesi normali il danno biologico sarebbe stato pari all’80%, mentre, tenuto conto delle condizioni della signora, il danno totale poteva collocarsi tra il 40 e il 30 %, e infine, per la vittima, esso poteva essere determinato nella misura del 30%. Ma all’esito dell’istruttoria espletata, il Tribunale di Tivoli aveva rigettato integralmente la domanda, ritenendo non provato l’an. 

I figli della vittima avevano quindi appellato la decisione e la Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 5454 del 2019, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto la domanda ritenendo provata l‘integrale responsabilità dell’automobilista nella causazione del sinistro e condannandolo in solido con la propria compagnia di assicurazione al risarcimento dei danni. E al riguardo, i giudici di seconde cure avevano quantificato il danno biologico nella misura del 12%, valorizzando le conclusioni contenute nella prima relazione del Ctu, precedente all’integrazione richiesta, e avevano aumentato questo importo di circa un terzo a titolo di personalizzazione, valorizzando all’interno di essa la perdita definitiva della capacità di deambulare, compensando infine le spese di lite nella misura del 30%. 

 

I figli ricorrono in Cassazione contestando tra l’altro l’errata liquidazione del danno biologico

Una decisione tuttavia ancora insoddisfacente secondo i figli dell’anziana, che hanno quindi proposto ricorso per Cassazione, ritenendo che la liquidazione dei danni subiti dalla loro cara fosse stata gravemente errata ed inidonea a fornire un risarcimento integrale del danno. I ricorrenti hanno lamentato il fatto che la sentenza d’appello, pur avendo formalmente dichiarato di condividere pienamente le conclusioni cui era giunto il Ctu nominato dal tribunale, non ne aveva in effetti tenuto conto, avendo liquidato il danno biologico subìto dall’anziana nella misura del 12% (pur aumentando l’importo derivante con una personalizzazione) come indicato inizialmente dal consulente, senza tener alcun conto della diversa e più congrua e completa valutazione successiva, conseguente all’ordine di integrazione della consulenza impartito dal giudice affinché venisse fornita una valutazione unitaria del danno biologico, che tenesse conto sia della menomazione fisica sia della diminuzione funzionale che questa aveva comportato. 

I congiunti della vittima hanno poi criticato la liquidazione del danno derivante dalla invalidità temporanea, in quanto, avendo accertato l’esistenza di un periodo di 498 giorni di invalidità temporanea assoluta, l’importo da liquidare sarebbe stato pari a 48.804 in luogo della somma liquidata di 47.804 euro, aggiungendo inoltre che, ove fossero state seguite, per la liquidazione, le tabelle adottate dal Tribunale di Roma, la quantificazione per la invalidità temporanea assoluta sarebbe stata superiore. 

Ancora, hanno obiettato che i giudici non avevano tenuto in alcun conto nella quantificazione del danno subito dagli eredi per l’assistenza prestata alla madre per tutto il lungo periodo – 498 giorni – di invalidità temporanea assoluta che aveva fatto seguito all’incidente, chiarendo di aver formulato questa domanda fin dal primo grado di giudizio e di averla riproposta in appello, contestando infine anche la decisione della Corte territoriale di compensare per il 30% le spese processuali pur in difetto di una loro soccombenza, dato che l’appello era stato integralmente accolto.

Non essendo più in discussione la dinamica del sinistro a seguito del quale l’anziana aveva riportato gravi lesioni personali, essendo stato definitivamente accertato in sede di appello che l’incidente era stato provocato dal comportamento imprudente dell’automobilista, la Suprema Corte si concentra quindi sui criteri utilizzati dalla Corte d’appello capitolina per liquidare il danno biologico, giungendo, come si è visto, ad una quantificazione complessiva ad avviso degli eredi errata, troppo esigua e inidonea a risarcire integralmente del danno subito. E a ragione secondo la Cassazione.

I motivi di ricorso – spiegano gli Ermellini – pongono con sufficiente chiarezza il quesito: “se le conseguenze anatorno-fisiologiche della lesione della salute costituiscano fattori di cui tenere conto nella determinazione del grado percentuale di invalidità permanente (Ip), o della personalizzazione del risarcimento. La distinzione rileva non solo sotto il profilo teorico, ma nelle sue ricadute pratiche, perché il grado di invalidità permanente si determina in base ai barèmes, mentre la personalizzazione si effettua in via equitativa; l’individuazione del grado di Ip è di competenza del medico legale, la personalizzazione è di competenza del giudice; il valore monetario del punto di invalidità permanente cresce proporzionalmente al crescere della percentuale di invalidità, mentre la personalizzazione non è governata da un criterio progressivo di proporzionalità con la gravità della lesione”.

 

Gli errori della Corte d’Appello

Fatte queste doverose premesse, secondo i giudici del Palazzaccio nel caso di specie nella sentenza impugnata sussistono sia il denunciato vizio di motivazione, per la “sua insanabile contraddittorietà, che la priva totalmente di logica”, sia la violazione di legge, “in riferimento alla corretta nozione del danno biologico, che conduce ad una errata ed incompleta liquidazione del danno stesso”. 

La Cassazione conviene con le censure espresse dai ricorrenti tornando a sottolineate come la corte d’appello avesse esordito asserendo di condividere appieno gli esiti della consulenza tecnica eseguita in prime cure, e affermando anche correttamente il principio per cui, essendo deceduta la danneggiata in corso di causa, l’ammontare del danno biologico da riconoscere agli eredi iure successionis andava calcolato non con riferimento alla durata probabile della vita della vittima ma alla sua durata effettiva. E tuttavia, quando i giudici territoriali sono andati a quantificare il danno, hanno recuperato e fatta propria la prima valutazione del Ctu, “mostrando di condividere (forse inconsapevolmente, perché si tratta di una scelta non giustificata, e contraddittoria rispetto alle premesse, che inficia la coerenza della motivazione) gli esiti della valutazione iniziale del consulente, fondata su una nozione frammentata e di conseguenza errata del danno biologico, da liquidarsi a punto percentuale solo in riferimento al suo profilo statico, ovvero alla alterazione o menomazione fisica riportata dalla vittima del sinistro, senza considerare l’incidenza di essa sulla vita della persona e sulla sua capacità di attendere alle normali occupazioni, che rileverebbe solo in sede di personalizzazione del danno” prosegue la Suprema Corte. 

Infatti, mentre nell’integrazione della consulenza il consulente, come si è visto, aveva preso in considerazione il danno biologico complessivo stimandolo in una percentuale del 30% – “con un ragionamento peraltro privo di motivazione laddove abbatteva al 30% la percentuale finale, tenute in conto le non meglio precisate né esplicitate condizioni della signora, legate evidentemente all’età avanzata e alla sua preesistente condizione di salute” osserva ancora la Cassazione -, la corte poi è andata a recuperare, “senza spiegarne la ragione, e limitandosi ad affermare di non poter dare soddisfazione alle maggiori richieste degli appellanti, l’errata e superata percentuale del 12%, pari solo al profilo cosiddetto statico del danno biologico, dalla quale era stata espunta ogni conseguenza dinamica delle menomazioni riportate, e in particolare la perdita della capacità di deambulazione, pur accertata dal Ctu., recuperando la rilevanza di questa componente del danno biologico riportato dalla vittima solo a mezzo di una personalizzazione in aumento, all’interno della liquidazione equitativa della componente di danno morale. Solo all’interno di questa personalizzazione la corte d’appello tiene in conto l’incidenza della diminuita (perduta, in effetti) capacità di deambulazione, non come limitazione funzionale ma perché essa “comprensibilmente” aveva determinato dolore e sofferenze psicologiche rilevanti”. E tutto questo, fa notare ancora la Suprema corte “bacchettando” la contraddittorietà del giudizio della Corte d’appello, ”pur avendo affermato che deve procedersi ad una valutazione del danno non patrimoniale subito dalla defunta da intendersi sia nella sua componente statica sia nella sua componente dinamica”. 

Riassumendo, gli errori commessi dai giudici di seconde cure consistono nell’aver scisso la componente cosiddetta statica del danno alla persona dalla sua componente dinamico-relazionale, ritenendo che quest’ultima potesse essere apprezzata solo sotto un profilo di personalizzazione del danno, e nell’aver identificato la liquidazione della componente del danno morale all’interno della più ampia categoria del danno non patrimoniale alla salute, con la personalizzazione del danno biologico. 

 

Il danno biologico va considerato nella sua unitarietà

Quanto al primo profilo – chiarisce ancora la Cassazione -, la scissione della componente statica del danno alla persona da quella cosiddetta dinamico-relazionale in caso di invalidità permanente non ha fondamento giuridico né scientifico (la medicina legale da decenni esprime una nozione unitaria dell’invalidità permanente, definendola come la menomazione dell’integrità psicofisica della persona, espressa in termini percentuali e comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali e della di essa incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti). Essa è poi del tutto immotivata, ed è stata operata discostandosi dagli esiti finali della Ctu, in cui il medico legale, sollecitato dal giudice di prime cure, che aveva chiesto per questo un’integrazione della consulenza, al rispetto della nozione unitaria di danno biologico, e seppur con una consulenza poco decifrabile (in quanto, dopo aver indicato per casi analoghi – in cui cioè al sinistro aveva fatto seguito, come esito permanente, la perdita della capacità di deambulare – una invalidità dell’80%, scendeva senza giustificarne le ragioni al 30%) aveva, superando la prima versione contenente solo la valutazione medico legale della componente statica del danno, esaminato anche le ricadute della componente dinamica sullo svolgimento della vita della persona aumentando la percentuale originariamente stimata di invalidità permanente”. 

Così facendo il giudice di appello non si è dunque attenuto al principio di diritto fondamentale secondo il quale, ricordano gli Ermellini, “al danno biologico corrisponde una nozione unitaria, che tiene conto sia delle alterazioni nella fisiologia della persona riportate a seguito del sinistro sia delle conseguenze che queste alterazioni determinano nel compiere gli atti della vita quotidiana e quindi in particolar modo gli esiti di una frattura o, come in questo caso, di un trauma molto complesso, che comportano la perdita addirittura della capacità di stare in piedi e di camminare, devono essere valutate unitariamente e confluire nella quantificazione della percentuale di invalidità permanente, che si fonda su un apprezzamento medico degli esiti fisici permanenti e sulle conseguenti limitazioni nella vita della persona. 

Il secondo profilo di errore è invece quello di aver “recuperato la rilevanza della componente dinamico-relazionale del danno attraverso la personalizzazione, appiattendola all’interno della liquidazione del danno morale, ovvero prendendo in considerazione la diminuita (in effetti, cessata) capacità di deambulazione della signora a causa dell’incidente solo come fonte di dolore e sofferenze psicologiche rilevanti. 

Non è stato in tal modo considerato che per provvedere all’integrale risarcimento del danno non patrimoniale da lesione della salute, all’interno del quale si colloca il danno biologico senza esaurire le possibili conseguenze non patrimoniali di un evento dannoso, “il danno morale soggettivo deve essere oggetto di autonoma valutazione e liquidazione, in quanto pregiudizio ontologicamente diverso dal danno biologico, consistente in uno stato d’animo di sofferenza interiore che non si identifica con le vicende dinamico relazionali della vita del danneggiato (per quanto ne possa essere influenzato) ed insuscettibile di accertamento medico-legale, non potendo la considerazione della sofferenza interiore patita dal danneggiato incidere unicamente sulla personalizzazione del risarcimento del danno biologico” prosegue la Cassazione. 

 

Il principio di diritto finale 

La quale rammenta poi che l’affermazione di una nozione unitaria del danno non patrimoniale, effettuata dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 26972 del 2008 allo scopo di evitare la duplicazione di voci di danno, “si è nel tempo sviluppata mantenendo il necessario rigore volto ad evitare la creazione di duplicazioni risarcitorie, ma recuperando le varie componenti del danno non patrimoniale nelle loro autonome caratteristiche, cui corrispondono distinti criteri risarcitori”. 

Questi motivi di doglianza sono stati pertanto accolti, con cassazione della sentenza e rinvio al giudice di merito che dovrà riesaminare il caso provvedendo a liquidare integralmente il danno non patrimoniale subito dalla danneggiata facendo applicazione dei principi di diritto ricordati. 

Respinti invece, in quanto inammissibili, il motivo di doglianza relativo all’errata quantificazione di quanto dovuto a titolo di invalidità temporanea assoluta e anche quello circa la domanda per danno proprio subito dai ricorrenti, “perché risulta che essi abbiano agito non in proprio ma solo iure successionis, proseguendo la causa intrapresa dalla loro congiunta (non emerge, cioè, che una domanda risarcitoria in proprio sia stata formulata dall’inizio del presente giudizio”, mentre il quinto motivo, relativo alla compensazione per il 30% delle spese di lite, è rimasto assorbito dall’accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso. 

In conclusione la Cassazione ha ribadito i principi di diritto che dovranno guidare il nuovo giudizio del giudice del rinvio: “Il danno biologico è la lesione dell’integrità psico-fisica subita da una persona, comprensiva delle alterazioni fisio-psichiche, temporanee o permanenti, e della loro incidenza sullo svolgimento delle funzioni della vita e sugli aspetti personali dinamico-relazionali. Esso va accertato con criteri medico-legali e valutato in punti percentuali in base ad un accreditato “barème” medico-legale in cui il valore monetario del punto di invalidità permanente cresce proporzionalmente al crescere della percentuale di invalidità. Ai fini della sua unitaria liquidazione, devono formare oggetto di autonoma valutazione il pregiudizio da invalidità temporanea (da riconoscersi come danno da inabilità temporanea totale o parziale ove il danneggiato si sia sottoposto a periodi di cure necessarie per conservare o ridurre il grado di invalidità residuato al fatto lesivo o impedirne l’aumento, inteso come privazione della capacità psico-fisica in corrispondenza di ciascun periodo e in proporzione al grado effettivo di inabilità sofferto), e quello da invalidità permanente (con decorrenza dal momento della cessazione della malattia e della relativa stabilizzazione dei postumi). Ai fini della liquidazione complessiva del danno non patrimoniale, deve tenersi conto altresì delle sofferenze morali soggettive, eventualmente patite dal soggetto in ciascuno degli indicati periodi”.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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