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Con l’ordinanza n. 21972/23, pubblicata il 21 luglio 2023, la Cassazione, III Sez. Civ., ha ribadito che il Comune deve sempre rispettare i suoi obblighi di manutenzione quale “custode”, in questo caso, di una staccionata. Affinché vi sia responsabilità del danneggiato, inoltre, ci deve essere un comportamento colposo imprudente.

Una donna precipita dopo essersi appoggiata ad una staccionata

Nell’estate del 2007 una donna ha riportato lesioni e postumi invalidanti in seguito ad una caduta provocata dalla rottura di una staccionata in Basilicata.

Per questo motivo, ha convenuto in giudizio il Comune quale proprietario della strada teatro dell’incidente, accertandone quindi la responsabilità a norma degli artt. 2051 e 2043 del codice civile. Lo stesso Ente, di contro, negava che quella strada fosse comunale, poiché la caduta sarebbe occorsa in un viottolo di accesso a proprietà private.

In primo grado il Comune è stato condannato al risarcimento danni in favore della donna, per una somma complessiva di oltre 650mila euro, accogliendo tuttavia solo parzialmente le richieste della danneggiata.

 

In secondo grado viene riconosciuto un comportamento “imprudente” della vittima

I giudici di seconde cure, però, hanno completamente ribaltato quanto sostenuto in Tribunale, richiamando i principi di ragionevole cautela nel momento in cui la situazione generale è suscettibile di un danno e può essere prevista.

La Corte d’appello, quindi, ha sostenuto un’importante incidenza causale in carico alla danneggiata per il suo comportamento imprudente, dato il precario stato della staccionata – ravvisato dai periti – nella zona dov’era avvenuto il sinistro. La donna, sebbene a conoscenza dello stato del luogo, avrebbe compiuto una pressione con tutto il corpo sulla staccionata per sorreggersi, motivo che avrebbe contribuito al crollo, che non sarebbe avvenuto se avesse utilizzato correttamente la staccionata come corrimano.

La Corte territoriale – si legge nel testo dell’ordinanza – “ha concluso nel ritenere che l’utilizzo improprio da parte della danneggiata della staccionata interrompe il nesso causale tra la condotta e l’evento di dannononostante abbia comunque riconosciuto che “l’Ente comunale sia venuto meno ai suoi obblighi di custodia e manutenzione della cosa”.

 

Secondo la danneggiata non si può non tenere in considerazione lo stato della staccionata

La donna, dopo la sentenza in appello, ha deciso di proporre ricorso per Cassazione, denunciando “violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.” lamentando che la Corte non abbia ravvisato il nesso eziologico esclusivo tra la cosa e il danno, date le evidenti condizioni degradate della staccionata.

La danneggiata, inoltre, chiama in causa l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 5, sostenendo che la Corte non abbia valutato adeguatamente la mancata manutenzione che andava compiuta sulla staccionata, che ha a suo modo contribuito all’evento.

Infine è stata ravvisata violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., circa l’uso improprio della staccionata, ragionamento ritenuto presuntivo e privo di prove gravi, precise e concordanti.

 

Le azioni della donna non possono escludere la responsabilità del Comune

La Cassazione nella sua decisione ha subito evidenziato il ragionamento illogico e contraddittorio della Corte territoriale: al comportamento colposo “imprudente” in capo alla donna, infatti, è stata (ingiustamente) riconosciuta l’esclusiva efficienza causale, ma senza spiegare in che termini questo utilizzo improprio della staccionata potesse escludere le responsabilità del Comune.

Le argomentazioni della Corte territoriale – scrive il Palazzaccio – cozzano con quanto pacificamente affermato da questa Corte, in più occasioni, ovvero che in tema di responsabilità per cosa in custodia, l’incidenza causale (concorrente o esclusiva) del comportamento del danneggiato presuppone che lo stesso abbia natura colposa, non richiedendosi, invece, che sia anche abnorme, eccezionale, imprevedibile e inevitabile (cfr. da ultimo, Cass. Sez. 3, 23/05/2023 n. 14228; Cass. 11/05/2017, n. 11526; Cass. 22/12/2017, n. 30775; Cass.30/10/2018, n. 27724) e neppure che sia, come pure affermato dalla sentenza impugnata, da «escludersi che tale comportamento possa costituire un’evenienza ragionevole o accettabile».”.

Come già accennato – proseguono gli Ermellini – è opportuno evidenziare che il nesso causale tra l’evento dannoso e la res può essere escluso anche dal fatto del danneggiato e che la regola di determinazione del danno risarcibile contenuta nell’art.1227, primo comma, cod. civ. trova fondamento nel principio di causalità materiale che impone di non far carico al danneggiante della parte di danno che non è a lui causalmente imputabile e, più precisamente, di escludere il risarcimento in relazione alla porzione di evento dannoso causalmente ascrivibile alla condotta colposa del danneggiato”.

In conclusione, la Suprema Corte ha accolto il ricorso principale, rinviando il contenzioso alla Corte d’appello di Potenza, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Scritto da:

Dott. Andrea Biasiolo

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Categoria:

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