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Quando un soggetto si può considerare amministratore di fatto di una società e quali sono le sue responsabilità? Utile al riguardo la sentenza n. 42915/22, depositata l’11 novembre 2022, della Cassazione con la quale è stato rigettato il ricorso di un notaio.

Notaio condannato per dichiarazione infedele quale amministratore di fatto di una società

Con sentenza del novembre 2021, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma del pronunciamento di prime cure del tribunale di Sondrio, aveva riqualificato in dichiarazione infedele il reato fiscale-tributario contestato a tre persone, rideterminando di conseguenza anche le pene.

Gli imputati hanno tutti proposto ricorso per Cassazione, in particolare uno dei tre ha contestato i presupposti della ascrivibilità  a lui del reato, avendogli attribuito i giudici territoriali, quale notaio,  il ruolo di amministratore di fatto della società e la piena ingerenza nella sua gestione. Secondo la tesi accusatoria, egli avrebbe diretto l’altrui attività delittuosa con un contributo decisivo ai fini della stipulazione dei contratti di compravendita da parte della società. Argomentazioni definite “suggestive” e censurate dalla difesa del ricorrente adducendo elementi di incongruità logica e giuridica e asserendo, tra le varie cose, che le decisioni alle quali si sarebbero riferiti gli interventi del professionista sarebbero state in realtà di attribuzione dell’assemblea o dei soci e non dell’amministratore o del consiglio di amministrazione.

Inoltre, secondo il ricorrente, le attività contestate svolte in riferimento alla cessione delle quote, allo scorporo di un ramo di azienda e alla costituzione di una nuova società non avrebbero comportato l’assunzione dei doveri di amministratore, ma piuttosto attribuzioni del socio che assume le determinazioni ritenute opportune in riferimento alle sorti dell’impresa, alle quote di partecipazione al capitale ed all’oggetto sociale, attività dunque del tutto diverse da quelle involgenti il controllo amministrativo e contabile, l’organizzazione interna e la rappresentanza esterna.

 

Come si ricostruisce il profilo dell’amministratore di fatto

I ricorsi sono stati tutti ritenuti inammissibili e rigettati. Quel che preme, senza entrare nel dettaglio del complesso caso, sono le precisazioni della Suprema Corte relativamente alla ricostruzione del profilo di amministratore di fatto che, spiega, “deve condursi, in ambito penalistico, alla stregua di specifici indicatori, individuati non soltanto rapportandosi alle qualifiche formali rivestite in ambito societario ovvero alla mera rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta, bensì sulla base delle concrete attività dispiegate in riferimento alle società oggetto d’analisi”.

Attività riconducibili, secondo validate massime di esperienza, ad “indici sintomatici, quali la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la generalizzata identificazione nelle funzioni amministrative da parte dei dipendenti e dei terzi, l’intervento nella declinazione delle strategie d’impresa e nelle fasi nevralgiche dell’ente economico“. E il relativo apprezzamento, proseguono i giudici del Palazzaccio, “che si traduce in un accertamento di fatto, sindacabile esclusivamente sotto il profilo della logicità e congruenza della motivazione, non può ritenersi limitato alla fisionomia delineata dal codice civile, che ne declina lo status nella dimensione fisiologica dell’attività d’impresa, ma va riguardato nel più ampio contesto delle ingerenze e degli interessi antigiuridici che ne arricchiscono il ruolo”.

 

Deve emergere una “apprezzabile attività di gestione” effettuata in modo non occasionale

La Cassazione ricorda poi che la nozione di amministratore di fatto è stata introdotta dall’art. 2639 del codice civile e presuppone “l’esercizio, in modo continuativo e significativo, dei poteri inerenti alla qualifica o alla funzione, da non ricondursi, necessariamente, all’esercizio di tutti i poteri tipici dell’organo di gestione, bensì ad un’apprezzabile attività di gestione, che sia effettuata in modo occasionale o non episodico“.

La prova della posizione di amministratore di fatto, esige, pertanto, “l‘accertamento di elementi che evidenzino l’inserimento organico del soggetto nel contesto societario” e questa condizione, puntualizzano gli Ermellini, “ben può coesistere con l’esercizio dei poteri propri dell’amministratore di diritto, ove si risolva in una cogestione coordinata dell’organismo societario”. In altri termini, l’effettiva gestione da parte dell’amministratore formale “non esclude la concorrente responsabilità del co-amministratore di fatto, ove sia comprovata una gestione paritetica”.

Non necessariamente devono essere esercitati tutti i poteri propri dell’organo gestionale

Riassumendo e concludendo, “la nozione di amministratore di fatto postula l‘esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione”.

E nello specifico le motivazioni addotte dai giudici territoriali erano assolutamente solide.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Contenzioso con Pubblica Amministrazione

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