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Non è esente da responsabilità medica, e come tale è punibile, il sanitario che non informa la paziente che durante l’ecografia non è riuscito a visualizzare per intero il feto e che, nonostante questo, formula una diagnosi di normalità, laddove invece gli è sfuggita una malformazione.

Il medico doveva mettere al corrente dell’incompletezza dell’esame la mamma e prospettarle la possibilità di ricorrere a un centro di più elevato livello di specializzazione per gli opportuni approfondimenti diagnostici e per poter eventualmente esercitare il diritto di interrompere la gravidanza in presenza dei dovuti presupposti.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la rilevante sentenza n. 30727/2019, decidendo definitivamente su una vicenda giudicata invece diversamente in primo e secondo grado, e assumendo una posizione chiara a favore dei danneggiati su una tematica da sempre molto delicata e sentita.

 

Un bimbo nasce con una grave malformazione, chiesto il risarcimento

Il caso. La mancata visione per intero del feto durante un’ecografia di controllo aveva a impedito di rilevarne una grave malformazione, la sindrome facio-auricolo-vertebrale, connotata da marcata asimmetria facciale, con completa assenza del padiglione auricolare destro e accentuata da appendici preauricolari), che poi alla nascita ha provocato ai genitori e all’altro figlio della coppia, anche perché del tutto inattesa, un grave trauma psichico, con ripercussioni a livello psicologico sull’altro figlio e la perdita di un’importante occasione lavorativa per uno dei genitori.

Per questo la coppia ha chiesto il risarcimento di tutti i danni conseguenti al trauma psichico patito, citando in causa la dottoressa che aveva effettuato l’esame sia il centro clinico dove era stata effettuata l’ecografia.

Sia il Tribunale che la Corte di Appello, tuttavia, hanno dato loro torto sostenendo che dalla relazione del CTU emergeva la corretta esecuzione della ecografia, e che nel  caso specifico non ci sarebbero stati elementi  di rischio o di sospetto tali, da indicare la necessità di accertamenti ecografici più specifici, per indagare le anomalie della faccia e individuare l’eventuale presenza della malformazione, da cui è poi risultato affetto il neonato. Andava escluso quindi che la posizione in cui si trovava il feto nel corso dell’ecografia potesse essere considerato un fattore limitante dell’esame e imponesse accertamenti ulteriori.

 

Il medico deve attenersi alle linee guida durante l’ecografia

I genitori tuttavia hanno ricorso per cassazione e la Suprema Corte ha invece dato loro ragione.  Gli Ermellini hanno evidenziato che, se la dottoressa si fosse attenuta alle linee guida della Società italiana di ecografia ostetrico-ginecologica applicabili all’epoca, e avesse eseguito in modo corretto la scansione della colonna vertebrale e l’esame dell’estremo cefalico, avrebbe potuto verificare l’anomalia e disporre ulteriori accertamenti.

Il medico, secondo la Cassazione, deve prendere in considerazione tutti i possibili significati e segnalare le alternative ipotesi diagnostiche.

In tema di responsabilità del medico – recita la sentenza – la diligenza nell’adempimento delle prestazioni professionali deve essere valutata assumendo a parametro non la condotta del buon padre di famiglia ma quella del debitore qualificato, con la conseguenza che, in presenza di paziente con sintomi aspecifici, il sanitario è tenuto a prenderne in considerazione tutti i significati ed a segnalare tutte le alternative ipotesi diagnostiche”.

 

Il medico deve informare se l’ecografia è stata incompleta

Inoltre – proseguono i giudici del Palazzaccio – in tema di responsabilità medica, il sanitario che formuli una diagnosi di normalità morfologica del feto anche sulla base di esami strumentali che non ne hanno consentito, senza sua colpa, la visualizzazione nella sua interezza, ha l’obbligo d’informare la paziente della possibilità di ricorrere ad un centro di più elevato livello di specializzazione, in vista dell’esercizio del diritto della gestante di interrompere la gravidanza, ricorrendone i presupposti”.

In questo senso, continua la Cassazione, “la prova, pur se incombente sulla parte attrice, lamentandosi la mancata informazione da parte del medico, non può che essere di natura presuntiva quanto al grave pericolo per la salute psichica della donna che costituisce la condizione richiesta dalla  legge per l’interruzione di gravidanza”.

La Suprema Corte sottolinea altresì che “per quanto riguarda la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o  l’omissione  dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza”. Cosa che nello specifico non è avvenuta.

La Cassazione ha pertanto accolto il ricorso dei genitori, cassato la sentenza impugnata della Corte di Appello e  rinvia  a quest’ultima in diversa composizione, il caso per la sua definizione risarcitoria.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Malasanità

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