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Risponde penalmente la guardia medica che, nonostante i gravi sintomi segnalati, rifiuta la visita domiciliare al paziente che poi muore. Il reato ascritto però non è quello di omicidio colposo ma di omissione in atti d’ufficio. Lo ha stabilito la Cassazione, sesta sezione Penale, con la discussa sentenza n. 11085/24 depositata il 15 marzo 2024 con cui la Suprema Corte ha confermato la condanna di una sanitaria del Bolognese.

Guardia medica rifiuta la visita domiciliare a un paziente che poi muore d’infarto

L’intervento della dottoressa, medico di guardia medica dell’Ulss di Bologna, era stato invocato dalla moglie di un uomo che aveva chiamato con una telefonata allarmata, e registrata in automatico dal servizio sanitario, nella quale riferiva che il marito accusava algie addominali acute, vomito e diarrea, ma anche un forte bruciore allo sterno accompagnato dall’irradiazione di dolore sulle braccia e alle dita delle mani, e che era pallido e sudatissimo.

Il medico però aveva rifiutato di eseguire la visita domiciliare richiesta, limitandosi a diagnosticare telefonicamente ed erroneamente una gastroenterite e a fornire qualche consiglio sull’alimentazione: in realtà si trattava di un infarto che avrebbe poi stroncato il malcapitato.

La dottoressa viene condannata non per omicidio colposo ma per omissione in atti d’ufficio

La dottoressa era finita sotto processo ed era stata condannata dal Tribunale di Bologna a quattro mesi di reclusione e altrettanti di interdizione dalla professione, non però per il reato di omicidio colposo, dalla quale era stata assolta, ma per quello di omissione in atti d’ufficio: sentenza poi confermata dalla Corte d’Appello felsinea.

Il medico di guardia tuttavia ha proposto ricorso per Cassazione adducendo diversi motivi di doglianza a partire dalla presunta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all’articolo 328 del Codice penale (omissione in atti d’ufficio appunto) mancando, a suo dire, “l’indebito rifiuto”, essendo rimessa alla valutazione discrezionale del professionista, sempre secondo la tesi difensiva, la scelta di provvedere o meno a visita domiciliare, ai sensi dell’art. 13 del Decreto del presidente della Repubblica n. 41 del 1991, ossia l’accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici addetti al servizio di guardia medica ed emergenza territoriale.

Ma la Suprema Corte ha rigettato le doglianze. Nel dubbio, infatti, asseriscono gli Ermellini, il sanitario deve sempre sincerarsi di persona dell’eventuale situazione di pericolo e non può rinviare l’esame clinico, a meno che non abbia (e non era il caso) altre richieste d’intervento urgente, e questo anche se poi in concreto le condizioni del paziente si rivelassero meno gravi del previsto.

 

La direttiva prevede che il medico di guardia effettui tutti gli interventi richiesti

Gli Ermellini hanno inoltre ben specificato, censurando l’interpretazione datane dalla ricorrente, che l’articolo 13 del dpr 25/01/1991, n. 41 impone al medico di guardia di effettuare tutti gli interventi richiesti dagli utenti, per quanto possa deciderne l’urgenza in base ai sintomi riferiti e all’esperienza.

In definitiva, anche per i giudici del Palazzaccio ’imputata avrebbe potuto e dovuto comprendere in concreto la patologia del paziente soltanto rilevando parametri obiettivi come pressione arteriosa, frequenza e ritmo cardiaci, cianosi, avrebbe dovuto valutare i modo più accurato la preoccupante situazione descrittale e non limitarsi a qualche consiglio sull’alimentazione. E l’elemento psicologico del reato è il dolo generico: non basta la semplice negligenza ma è sufficiente che l’interessato sia consapevole che la sua condotta omissiva sta violando i doveri imposti dalla legge.

Anche la Suprema Corte, tuttavia, nel caso di specie ha escluso l’ipotesi di omicidio colposo, per quanto risultasse evidente la gravità della condotta dell’imputata di non accogliere la richiesta di intervento nonostante i sintomi del paziente. Come per i giudici di merito, la condotta omissiva si configura come omissione in atti d’ufficio, dunque un reato contro la pubblica amministrazione che punisce il rifiuto consapevole del medico di prendere tempestivamente tutte le misure necessarie per garantire il diritto della salute dei pazienti.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Malasanità

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