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Con l’ordinanza n. 6514/21 depositata il  9 marzo 2021 la Cassazione riafferma con forza i principi di massima tutela per l’utente debole della strada per eccellenza, il pedone: in caso di investimento, per andare esenti da colpe non è sufficiente dimostrare che si è passati con il verde e che la persona travolta abbia attraversato la strada al di fuori delle strisce pedonali.

Tanto più all’altezza di un incrocio, chi guida deve raddoppiare l’attenzione e mettere in conto che ci possano essere soggetti che attraversano.

 

La causa civile intentata dai familiari di un pedone travolto da un camion

La vicenda affrontata dalla Suprema Corte riguarda purtroppo l’ennesimo caso tragico di un pedone investito e ucciso, da un autocarro, peraltro sprovvisto di assicurazione, mentre attraversava viale Marconi a Roma nel 2009. Il procedimento penale a carico del conducente, a seguito della perizia disposta dal Pubblico Ministero capitolino, si era chiuso con la richiesta di archiviazione contro la quale i familiari della vittima non avevano proposto opposizione, promuovendo però un’azione in sede civile per ottenere il risarcimento per la grave perdita patita.

Il tribunale di Roma aveva rigettato la domanda risarcitoria, ritenendo che l’incidente si fosse verificato per esclusiva colpa del pedone, ma la Corte d’Appello, presso la quale la moglie, i figli e i nipoti della vittima avevano appellato la sentenza, aveva riformato la decisione di prime cure stabilendo che vi era stata una colpa concorrente, nella misura del 50%, tra il camionista e la persona deceduta e condannando pertanto il proprietario del mezzo (diverso dal conducente) e Assitalia Assicurazioni S.p.a., quale impresa designata dal Fondo di Garanzia Vittime della Strada (che risponde in caso di mezzi non assicurati), in solido tra loro al risarcimento dei danni e alla liquidazione di 111.216,28 euro in favore di ciascuno dei due figli, più la stessa cifra come quota ereditaria da suddividere tra loro, e ulteriori 27.804,05 euro per i due nipoti, oltre agli interessi legali dalla sentenza al saldo.

 

Il proprietario dell’autocarro ricorre per Cassazione: il pedone non sarebbe stato avvistatile

Il proprietario dell’autocarro ha quindi proposto ricorso per Cassazione contestando le motivazioni addotte dalla Corte territoriale nell’individuazione di una negligenza nel comportamento del conducente del mezzo pesante. Secondo i giudici di appello, il camionista, una volta scattata la luce verde nella sua direzione, non aveva posto adeguata attenzione “alle condizioni in atto del suo ingombrante automezzo”, anche alla luce del fatto che questi, nella immediatezza del fatto, aveva ammesso di avere guardato (solo) nello specchietto a destra, e non anche a sinistra.

Se la conformazione del mezzo e/o altezza del finestrino non consentivano la visuale completa, nemmeno attraverso lo specchietto laterale – aveva concluso la Corte d’Appello capitolina -, egli avrebbe potuto/dovuto sporgersi con la testa fuori del finestrino a sinistra, e verificare che non vi fossero persone o mezzi a ridosso dell’autocarro, prima di rimettersi in movimento, mutando le condizioni di circolazione in atto”.

Secondo il ricorrente, i giudici territoriali avrebbero omesso di valutare se il pedone fosse stato concretamente visibile da parte del conducente al momento esatto in cui era stato investito ovvero quando già si trovava davanti all’autocarro. In definitiva, si lamentava un vizio motivazionale laddove la Corte capitolina non avrebbe preso in considerazione “l’avvistabilità” concreta da parte del guidatore del camion della vittima.

 

La Suprema Corte respinge tutte le doglianze: la persona a piedi si poteva vedere

Vizio che però, secondo gli Ermellini, non sussiste. “Non è infatti raro – convengono i giudici del Palazzaccio con i colleghi romani -, il caso dei pedoni che attraversino la strada, nel mentre le auto sono ferme al semaforo rosso, non regolarmente sulle strisce”.

Nello specifico, la Corte territoriale aveva concluso che il camionista aveva investito il pedone “benché questi, avendo già attraversato la corsia a sinistra dell’autocarro (la terza della carreggiata verso Piazzale della radio) praticamente in senso trasversale alla propria direzione di marcia, si era reso per tempo certamente visibile. In tal senso, va evidenziato che questi non spuntava all’improvviso da auto in sosta, perché queste si trovavano all’interno dell’area spartitraffico centrale, mentre la terza corsia era liberamente disponibile al traffico veicolare”. Dunque, secondo la Cassazione, l’accertamento di fatto e l’obbligo motivazionalesono stati pienamente compiuti e adempiuti dal giudice di merito”.

 

Rigettati anche gli altri motivi e il ricorso incidentali dei familiari della vittima

Per la cronaca, la Suprema Corte ha respinto anche il secondo motivo del ricorso, nel quale si lamentava il fatto che nella sentenza impugnata non si fosse in alcun modo tenuto conto della consulenza tecnica svolta in sede penale che scagionava il camionista: il giudice di merito, ribadiscono infatti gli Ermellini, “è pienamente abilitato alla scelta dei mezzi sui quali basare il ragionamento sillogistico, competendogli, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.

Rigettati anche tutti i motivi dell’appello incidentale proposto dai familiari della vittima e tesi, per converso, a contestare il concorso di colpa attribuito al pedone. Il quale, ferma restando la corresponsabilità riconosciuta al camionista, aveva comunque dato “parzialmente causa all’investimento, in quanto, in violazione della regole di comportamento secondo il codice della strada, senza accertarsi di poter completare il percorso in condizioni di sicurezza, attraversava inopinatamente fuori dalle strisce, non controllando all’istante la luce semaforica e concorrendo, con la sua condotta alla produzione del sinistro, con l’effetto di attenuare la responsabilità del primo (cioè il conducente dell’autocarro, ndr)». La Suprema Corte ha pertanto confermato in toto il giudizio di appello e con essa la pari responsabilità nel tragico incidente tra la vittima e il camionista e quindi l’entità del risarcimento stabilito nella relativa misura.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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