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La quarantacinquenne di Torre di Mosto pochi giorni dopo è stata stroncata da infarto. Il dottore, a cui la Procura ha contestato gravi omissioni, ha patteggiato la pena oggi
Oggi, lunedì 10 luglio 2023, in Tribunale a Venezia, all’esito dell’udienza preliminare avanti il Gup dott.ssa Daniela Defazio, ha patteggiato la pena di un anno, con la sospensione condizionale, per omicidio colposo G. B., 36 anni, residente a Venezia, il medico del Pronto soccorso dell’ospedale di San Donà di Piave dell’Ulss 4 Veneto Orientale accusato, e ora anche condannato, per aver causato, con un fatale errore medico, la prematura ed evitabile morte, a soli 45 anni, di Debora Berto, compianta commerciante di Torre di Mosto (Ve). Almeno un po’ di giustizia per i familiari della donna, che fin da subito avevano puntato il dito sulle dimissioni della loro cara dall’ospedale nonostante i già chiari sintomi dell’infarto che l’avrebbe poi stroncata, in casa, pochi giorni dopo, e che, per fare piena luce sui fatti ed essere assistiti nella loro battaglia, si sono affidati a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, e all’avv. Andrea Piccoli, del Foro di Treviso, che si è anche costituito parte civile per il papà della vittima. Con l’auspicio che ora, a fronte di questo punto fermo che sancisce la responsabilità medica nel decesso, anche l’Azienda Sanitaria si assuma le proprie di responsabilità sul piano risarcitorio.
Debora Berto, l’11 dicembre 2020, alle 10.40, aveva fatto accesso al Pronto Soccorso di San Donà lamentando, “algie all’avambraccio e polso sinistri da qualche giorno, con lieve impotenza funzionale senza dolore alla palpazione” per citare la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti del sanitario formulata al termine delle indagini preliminari del Pubblico Ministero della Procura lagunare titolare del procedimento penale, la dott.ssa Federica Baccaglini. L’imputato tuttavia “ometteva di indagare eventi scatenanti o che precedono l’inizio della sintomatologia, la qualità del sintomo e la severità, non attenendosi alle raccomandazioni della buona pratica clinica in emergenza” proseguiva il Pm nel suo atto. In particolare, nonostante la sussistenza di un “dolore persistente localizzato in una sede tipica di irradiazione del dolore toracico e in assenza di elementi clinico documentali che ne attribuissero la sussistenza a un processo infettivo-infiammatorio locale”, il medico “non eseguiva gli accertamenti laboratoristici (dosaggio troponina) e strumentali, l’Ecocardiogramma, non attenendosi dunque alle Linee Guida Esc 2015”.
Omissioni fatali perché tali accertamenti, rilevava la dott.ssa Baccaglini, “avrebbero permesso, con elevata probabilità, di diagnosticare una sindrome coronarica acuta: la diagnosi precoce di infarto avrebbe consentito l’immediato ricovero ospedaliero con esecuzione di procedura di angioplastica primaria che avrebbe consentito, con criterio di elevata probabilità, di evitare il decesso”. Invece, dopo neanche due ore dal suo arrivo in pronto soccorso, alle 12.30 di quello stesso giorno, il dottore, inquadrando e gestendo la problematica come di natura ortopedica e non cardiaca, ha frettolosamente dimesso la signora Berto con la diagnosi di “brachialgia”, prescrivendole una terapia farmacologica antidolorifica per cinque giorni e una risonanza magnetica al rachide cervicale, fissata per il 16 dicembre, e rimandandola al suo medico di base.
Il resto è tristemente noto. Il 16 dicembre alle 12.45, Debora Berto ha accusato un malore presso la sua abitazione, accasciandosi su un tavolo. Nonostante gli immediati soccorsi del figlio e del marito Mirko, che era in casa e le ha praticato il massaggio cardiaco per 17 lunghi minuti in attesa dell’arrivo dell’ambulanza del Suem, subito allertato, e di quelli dei sanitari, per la quarantacinquenne non c’è stato nulla da fare.
I familiari avevano espresso da subito tutte le loro perplessità su come il caso della loro congiunta era stato affrontato al Pronto soccorso sandonatese: attraverso il responsabile della sede di San Donà, Riccardo Vizzi, per fare piena luce sui fatti ed eventuali responsabilità mediche, si sono quindi affidati a Studio3A-Valore S.p.A, che, vagliando la documentazione clinica disponibile, ha subito rilevato profili di malpractice.
Caso seguito da:
Dott. Riccardo Vizzi
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