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Ancora conferme dalla Cassazione: se il datore di lavoro non si occupa del lavaggio dei DPI del dipendente scatta il diritto al risarcimento. La sentenza che torna sul tema è la n. 18656, pubblicata il 3 luglio 2023 nella Sezione Lavoro della Cassazione Civile.

Richiesta di risarcimento per mancato lavaggio dei DPI

Un operatore ferroviario che si occupa di manutenzione ha chiesto il risarcimento dei danni alla sua azienda per il mancato lavaggio dei suoi indumenti da lavoro, in particolare del gilet, del giubbotto frangente ad alta visibilità, del giubbotto impermeabile, dei pantaloni e dei suoi guanti di protezione, poiché – secondo il suo giudizio – sono tutti facenti parte della categoria dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).

La questione è già stata affrontata in passato dal Palazzaccio, che ha sempre affermato che spetta al datore di lavoro occuparsi dei DPI dei propri dipendenti. In questo caso, però, ciò su cui fa leva l’azienda nel suo ricorso è che gli indumenti sopracitati “non costituiscono DPI in senso tecnico, ma meri indumenti di custodia, forniti al fine di preservare gli abiti civili dalla ordinaria usura connessa all’attività lavorativa, con conseguente esclusione dell’obbligo di relativo lavaggio a carico del datore di lavoro“, per citare il primo motivo di denuncia del datore di lavoro.

La definizione di DPI

La sentenza, innanzitutto, delinea nuovamente i caratteri principali dei DPI, la cui nozione legale “non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma – proseguono gli Ermellini – va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, in conformità con l’art. 2087 c.c.”, dando già una forte risposta a favore dell’operaio.

Gli obblighi del datore di lavoro

E’ proprio per queste ragioni, pertanto, che il datore di lavoro è obbligato a fornire ai propri dipendenti tali strumenti, oltre che a “garantirne l’idoneità, a prevenire l’insorgenza e il diffondersi di infezioni provvedendo al relativo lavaggio, che è indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza e che, pertanto, rientra tra le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori che il datore di lavoro è tenuto ad adottare ai sensi dell’art. 4, comma 5, del D.Lgs. n. 626 del 1994 e degli artt. 15 e ss. del D.Lgs. n. 81 del 2008 e s.m.i.“, proseguono ancora i giudici nell’atto.

 

L’onere della prova dell’ambiente potenzialmente pericoloso

Riconosciuto che tali indumenti siano DPI a tutti gli effetti, l’azienda ha provato, nel suo ricorso, a denunciare il fatto che il dipendente non avesse mai fornito alcuna prova dell’ambiente potenzialmente pericoloso per la salute, chiamando in causa quindi “l’art. 2689 del codice civile per omessa prova dei fatti costitutivi del diritto“.

La Cassazione, ancora una volta, dichiara tale censura inammissibile affermando che “soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non laddove oggetto di censura – come nella specie – sia la valutazione che il giudice del merito abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018; Cass. n. 18092 del 2020), opponendo una diversa valutazione“.

La Cassazione si allinea ai giudizi di primo e secondo grado

La Suprema Corte, su queste basi, non fa altro che confermare quanto affermato dai Giudici di merito, che avevano già riconosciuto il diritto al risarcimento per i danni subiti dall’operaio per il mancato lavaggio dei DPI, respingendo nuovamente il ricorso del datore di lavoro.

La conclusione degli Ermellini è una condanna al pagamento di 3.500 euro per le spese liquidate, oltre che di 200 euro per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese forfettario al 15%, con distrazione.

Scritto da:

Dott. Andrea Biasiolo

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