Hai bisogno di aiuto?
Skip to main content

Uno degli aspetti da tenere rigorosamente in considerazione in una richiesta di risarcimento danni è senza dubbio quello della prescrizione, perché a seconda della tipologia di pregiudizio vi sono dei termini entro i quali va posta la domanda, che viceversa, a meno di atti interruttivi, verrà respinta nonostante sussistano tutti i presupposti per il suo accoglimento.

Emblematico, in tal senso, in caso di una donna che si è vista rigettare definitivamente la sua pretesa risarcitoria per un caso di responsabilità medica dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21521/22 depositata il 6 maggio 2022.

La figlia di una donna risarcita per un errore medico chiede in seconda battuta i danni riflessi

La madre della donna aveva agito nei confronti di una struttura ospedaliera di Venezia per i danni subiti a seguito di un intervento di riduzione di una frattura del femore, ottenendo il risarcimento con sentenze del 2001 (di primo grado) e del 2011 (di secondo grado, passata in giudicato).

La figlia, con atto notificato nell’aprile 2013, aveva a sua volto promosso un giudizio contro lo stesso ospedale per ottenere il risarcimento dei cosiddetti “danni riflessi” per aver dovuto prestare assistenza alla madre (per le ore non coperte dalla badante), a causa dell’aggravamento della invalidità dell’anziana, precisando altresì che ciò era avvenuto a partire dal mese di settembre 2006.

 

I giudici respingono la pretesa: il termine di prescrizione per i congiunti è quinquennale

Il Tribunale di Venezia, tuttavia aveva rigettato la domanda, con sentenza confermata in sede di gravame nel 2018 dalla Corte di Appello lagunare, la quale aveva ha ritenuto che, per citare il pronunciamento, “il diritto dei congiunti a essere risarciti in via riflessa dalla struttura sanitaria, e ciò a causa dell’esito infausto dì un’operazione chirurgica subita dalla danneggiata principale, si colloca nell’ambito della responsabilità aquiliana ed è soggetto al termine di prescrizione quinquennale ex art. 2947 c. c.», in quanto i congiunti non possono giovarsi del termine più lungo , decennale, derivante dall’inquadramento contrattuale della responsabilità sanitaria.

I giudici di secondo grado avevano poi aggiunto che, anche a voler far decorrere il termine prescrizionale dall’anno 2006, “sarebbe comunque maturata la prescrizione quinquennale in quanto l’atto di citazione di primo grado (il primo atto interruttivo) è stato introdotto solo nel 2013”.

La figlia della danneggiata ha quindi proposto ricorso per Cassazione denunciando la violazione dell’art. 2935 c c., assumendo che l’exordium praescriptionis dell’azione risarcitoria era da collocarsi in realtà nel luglio 2011 – data di pubblicazione della sentenza di appello nel giudizio promosso dalla madre nei confronti dell’ospedale – e, anzi, nella data di passaggio in giudicato di tale sentenza (da far risalire all’ottobre 2012), giacché prima di tale momento la figlia non avrebbe potuto agire nei confronti della struttura perché non era ancora stata accertata in via definitiva la sua responsabilità.

 

Contestato anche il mancato riconoscimento dell’azione contrattuale da parte dei familiari

La ricorrente, inoltre, ha dedotto la violazione dell’art. 1218 c.c. per il mancato riconoscimento dell’azione contrattuale nei confronti dell’ospedale da parte del familiare tenuto all’assistenza nei confronti del soggetto primario leso: secondo la tesi difensiva, il contratto di spedalità aveva effetti protettivi anche nei confronti di terzi e, quindi, anche dei familiari del paziente tenuti all’assistenza.

Per la Suprema Corte tuttavia tutti i motivi vanno disattesi.

A fronte di una pretesa risarcitoria fondata sull’aggravamento dell’invalidità della madre (collocato nel settembre 2006), che la ricorrente indica come conseguente ai postumi residuati dall’intervento chirurgico (risalente a data anteriore al 2001), la ricorrente aveva la possibilità di far valere la sua pretesa risarcitoria anche prima del passaggio in giudicato della sentenza di appello pronunciata fra la madre e la struttura ospedaliera”: infatti, prosegue la Suprema Corte, l’accoglimento della sua pretesa “non era condizionato alla preventiva affermazione definitiva della responsabilità del nosocomio ( che avrebbe ben potuto costituire oggetto di accertamento incidentale all’interno dello stesso giudizio promosso dalla madre)”, e inoltre “già dal settembre 2006 la figlia disponeva di tutti gli elementi necessari per esercitare il proprio diritto al risarcimento, essendosi determinata la situazione irreversibile di pregiudizio che si assumeva conseguente ai postumi residuati alla madre dall’intervento”.

 

La responsabilità per danni  chiesti dai congiunti del paziente danneggiato è extracontrattuale

La suprema Corte inoltre definisce erroneo l’assunto secondo il quale i congiunti del paziente danneggiato in ambito sanitario “possano fruire del termine prescrizionale decennale correlato alla responsabilità contrattuale medica: è pacifico, infatti, che la responsabilità della struttura sanitaria per i danni invocati “iure proprio” dai congiunti di un paziente danneggiato (o deceduto) è qualificabile come extracontrattuale, dal momento che, da un lato, il rapporto contrattuale intercorre unicamente con il paziente, e dall’altro i parenti non rientrano nella categoria dei “terzi protetti dal contratto, potendo postularsi l’efficacia protettiva verso terzi del contratto concluso tra il nosocomio ed il paziente esclusivamente ove l’interesse, del quale tali terzi siano portatori, risulti anch’esso strettamente connesso a quello già regolato sul piano della programmazione negoziale”: gli Ermellini citano l’esempio del contratto concluso dalla gestante con riferimento alle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione e al padre del nascituro.

Il ricorso è stato pertanto rigettato.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

Vedi profilo →

Categoria:

Malasanità

Condividi

Affidati a
Studio3A

Nessun anticipo spese, pagamento solo a risarcimento avvenuto.

Contattaci

Articoli correlati


Skip to content