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Come calcolare il danno da perdita della capacità lavorativa, nello specifico per errata prestazione sanitaria, a carico di un soggetto che non è mai stato percettore di reddito? Il pregiudizio va risarcito a titolo di danno patrimoniale futuro con il criterio del triplo della pensione sociale secondo quanto stabilito da un’interessante sentenza, la n. 4232/23, depositata dalla Corte d’Appello di Napoli, VIII sezione civile, il 6 ottobre 2023.

Neonato gravemente leso durante il cesareo, i genitori citano in causa medici e ospedale

I giudici si sono dovuti occupare di una drammatica vicenda con protagonista un neonato che, durante l’esecuzione del parto cesareo della mamma, era stato danneggiato dalla condotta imperita e negligente dei medici che avevano eseguito l’intervento.

Il giudice di prime cure, a cui si erano rivolti i genitori del piccolo citando in causa l’ospedale e i medici, aveva accertato la responsabilità dei sanitari rispetto ai danni permanenti prodotti all’integrità psico-fisica del bambino, decisione in buona sostanza confermata anche in appello.

Rispetto all’accertamento della causalità tra la condotta dei medici e l’evento lesivo, la Corte territoriale ha confermato la ricostruzione compiuta in primo grado, concludendo che, “secondo il criterio del più probabile che non, sussiste il nesso di causalità materiale tra l’inadeguata assistenza sanitaria prestata alla gestante e l’insorgenza della patologia da cui risulta affetto il neonato“.

In ordine a tale aspetto, la Corte ha ritenuto che “resta, pertanto, assorbita ogni valutazione in ordine alla questione afferente al nesso di causalità giuridica ed alla necessità, in ipotesi di concorso tra causa umana imputabile e causa naturale concorrente, di ridurre il risarcimento in rapporto all’incidenza causale della prima“.

 

Il problema del calcolo del danno da perdita della capacità lavorativa di un neonato

Rispetto alla questione, che qui preme, della quantificazione del danno da perdita della capacità di svolgere un’attività lavorativa, la Corte ha ripercorso i fatti così come narrati dal giudice di primo grado, il quale aveva già chiarito che, nel caso di specie, veniva in rilievo la condizione di un soggetto che “ha dovuto convivere con il proprio “handicap” fin dai primi momenti della sua vita e descritto come vigile e partecipe all’ambiente. Se da un lato vi è stato un sostanziale annullamento del funzionamento dell’individuo in tutte le situazioni realizzative della persona, dall’altro egli deve ritenersi dotato di sufficiente capacità percettiva degli stimoli esterni e dell’ambiente che lo circonda, al punto da provare sofferenza (intesa empiricamente) per la propria condizione che lo accompagnerà per tutta la sua esistenza, da ritenersi completamente stravolta e pregiudicata senza alcuna possibilità di affermarsi autonomamente nei rapporti con i terzi e nell’attività professionale“.

Posto tale drammatico quadro, la Corte territoriale ha proseguito il proprio esame indagando sugli strumenti offerti dall’ordinamento per consentire al giudice di quantificare il danno patito dalla vittima di una siffatta condotta, ripercorrendo la giurisprudenza formatasi sul punto ed evidenziando che “nei casi in cui l’elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all’accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi. La liquidazione di detto danno (…) può avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio“.

 

Il criterio del triplo della pensione sociale

La Corte ha quindi applicato tale interpretazione al caso di specie, rappresentando che, rispetto alle inequivoche risultanze peritali condotte nell’ambito del contenzioso insorto, “la prova del danno in esame non è nemmeno qualificabile come presuntiva, atteso che la perdita futura che il soggetto verrà a subire, per le menomazioni conseguenti all’evento lesivo, risulta certa. Con riguardo alle critiche riferite al criterio di liquidazione, si deve osservare che, trattandosi di un soggetto che ha subito la descritta lesione alla nascita e che, quindi, non svolgeva alcuna attività lavorativa al momento del danno, non vi siano parametri certi (il reddito percepito) cui potersi riferire”.

Posto, quindi, che, quella in esame, è una “valutazione necessariamente equitativa”, per la Corte partenopea “il ricorso al criterio del triplo della pensione sociale non si rivela erroneo“.  Ne consegue dunque che, per citare le conclusioni, “il danno da definitiva e totale perdita della capacità di lavoro conseguente ad errata prestazione sanitaria, a carico di soggetto che non è mai stato percettore di reddito, va risarcito a titolo di danno patrimoniale futuro, pur non potendosi fare riferimento alla capacità di lavoro specifica, e non (soltanto) di danno biologico e può essere liquidato, in assenza di un ragionevole parametro di riferimento, con il criterio, residuale, del triplo della pensione sociale“.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Malasanità

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