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Anche effettuare un esame su un paziente con colpevole ritardo integra malpractice medica, tanto più se si prova che, nel caso in cui l’accertamento fosse stato compiuto tempestivamente, questi si sarebbe salvato o avrebbe avuto diverse chance di sopravvivere. E anche se in sede penale i medici sono stati assolti, ciò non toglie che i congiunti della vittima possano con pieno diritto essere risarciti in sede civile dove vige il principio probatorio meno restrittivo del “più probabile che non”.

Lo ha ricordato la Cassazione, terza sezione Civile, con l’ordinanza n. 2152/24 depositata il 22 gennaio 2024.

La moglie di un paziente deceduto per probabile malpractice sanitaria cita l’Azienda Sanitaria

La moglie di un paziente aveva citato in causa l’Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani per essere risarcita del danno da perdita parentale del marito che sosteneva essere stata causata dai sanitari dell’ospedale Borsellino di Marsala. La vittima, infatti, si era recata al pronto soccorso lamentando forti dolori addominali ed era stato ricoverato con la diagnosi di “colica addominale”. Nella realtà l’uomo aveva in atto un aneurisma, benché solo fissurato, e sarebbe poi deceduto.

Una Tac tempestiva avrebbe rilevato l’aneurisma in atto, ma i medici al processo sono assolti

Sulla vicenda era stato aperto anche un procedimento penale a carico dei medici che avevano seguito il paziente e dall’inchiesta e dalla consulenza tecnica medico legale disposta in sede di indagini preliminari era effettivamente emerso che una Tac con mezzo di contrasto eseguita subito – e non programmata dopo qualche giorno – avrebbe consentito di rilevare il problema e dunque di intervenire con un intervento chirurgico urgente e forse salvifico.

Alla fine tuttavia i medici erano stati assolti essendo mancata la prova controfattuale, necessaria per configurare la responsabilità penale, e cioè che il paziente si sarebbe certamente salvato nel caso in cui i sanitari avessero agito in modo diverso e più tempestivo.

I familiari tuttavia hanno portato avanti la loro battaglia per il risarcimento in sede civile e la Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 2022, ha dato loro ragione, condannando l’Asp a risarcirli.

L’azienda sanitaria tuttavia ha proposto ricorso anche per Cassazione che alla fine ha cassato la sentenza impugnata accogliendo uno dei motivi secondari di appello: i giudici di seconde cure, che avevano riconosciuto il risarcimento sulla base delle perdute chance di sopravvivenza del paziente, ne avevano elevato la quantificazione rispetto al giudizio di primo grado al quaranta per cento, senza tuttavia indicare gli elementi obiettivi su cui avevano ancorato questa stima. E questo sarà oggetto di valutazione da parte del giudice del rinvio. 

Ma per il resto, tuttavia, la Suprema Corte ha confermato il risarcimento dovuto alla moglie della vittima, rigettando tutte le doglianze mosse in tal senso dall’Azienda Sanitaria, che tra i vari punti aveva battuto proprio sull’assoluzione dei propri operatori in sede penale.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Malasanità

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