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Per l’installazione di impianti fotovoltaici nel tetto di un condominio ad uso della singola unità abitativa, che non comporti alcuna modifica delle parti comuni, non serve alcuna autorizzazione preventiva da parte dell’assemblea condominiale.

A chiarire una questione che riguarda centinaia di migliaia di cittadini, considerata anche la sempre maggiore diffusione dell’energia da fonti rinnovabili, la Cassazione, con l’ordinanza n. 1337/23 depositata il 17 gennaio 2023.

 

Una causa tra due condomini e il condominio per l’installazione di pannelli fotovoltaici

A proporre ricorso per Cassazione erano stati i proprietari dell’appartamento di un condominio di Milano dopo che sia il Tribunale, sia la Corte d’Appello meneghina, con sentenza del 2021, avevano respinto la loro azione di impugnazione della deliberazione assembleare dello stesso condominio, assunta nel 2018 e con la quale veniva espresso “voto contrario” ad approvare il progetto di installazione di dodici pannelli fotovoltaici su parte comune condominiale, comunicato dai due condomini all’amministratore.

Il Tribunale aveva affermato che “il deliberato oggetto di impugnativa da parte degli attori consiste nella mancata prestazione del consenso da parte dell’assemblea condominiale alla richiesta di autorizzazione per l’installazione di pannelli fotovoltaici sulla copertura comune condominiale”, sicché “un eventuale annullamento della delibera non produrrebbe alcun effetto positivo per gli attori”. E la Corte d’appello di Milano aveva a sua volta affermato che “nel caso di specie l’assemblea condominiale non ha vietato agli originari attori di effettuare l’installazione, ma si è limitata ad esprimere, alla luce dell’art. 1122 bis c.c., parere contrario al progetto in questione”, per il pregiudizio al pari uso della parte comune, invitando gli interessati a predisporre un progetto alternativo. Ai sensi dell’art. 1122 bis c.c., neppure ad avviso della sentenza impugnata risultava alcuna necessità di modificare le parti comuni, né quindi c’era facoltà per l’assemblea di prescrivere specifiche modalità esecutive. La deliberazione impugnata risultava quindi, secondo i giudici, “contraddistinta da caratteri di superfluità o comunque da valenza consultiva e non decisoria” e non vi era perciò alcun interesse ad agire in capo ai ricorrenti.

I quali tuttavia hanno ritenuto di ricorrere anche per Cassazione, ribadendo che la loro impugnazione ex art. 1137 c.c. contestava all’assemblea di aver esercitato un potere non riconosciutele per legge (ossia, deliberare se autorizzare o meno l’installazione di un impianto fotovoltaico), con correlato interesse attuale e concreto ad agire per la declaratoria di nullità o di annullabilità della delibera. E nella circostanza i ricorrenti contestavano anche svariati “vizi” della delibera inerenti al quorum costitutivo, alla mancata indicazione dei millesimi dei condomini intervenuti ed alla verbalizzazione dell’allontanamento di alcuni.

Inoltre, i due residenti hanno lamentato la violazione dell’art. 1122 bis c.c., asserendo che la fattispecie in esame, ossia l’installazione di impianto fotovoltaico su parte comune condominiale, era disciplinata dall’art. 1122 bis comma 3 c.c. e non già dall’art.1122 bis comma 2 c.c. richiamato dal giudice di secondo grado. E ricordando come la norma preveda sì che “l’interessato ha diritto di procedere all’installazione dell’impianto fotovoltaico su parti comuni condominiali, ma che in tale evenienza ne deve dare comunicazione all’amministratore”, e tuttavia non prescriva in alcun modo che “l’assemblea possa esprimere parere contrario rispetto all’installazione”.

Per i ricorrenti, in buona sostanza, la delibera dell’assemblea esprimeva “un diniego” illegittimo, il che li aveva convinti che, prima di poter legittimamente esercitare il proprio diritto, e quindi disattendere una delibera e procedere all’installazione dell’impianto fotovoltaico, avessero la necessità di rimuovere l’ostacolo consistente nell’esistenza della delibera del 15 marzo 2018.

 

L’articolo 1122 bis c.c.

Ma per la Suprema Corte i motivi di ricorso sono inammissibili nel senso che, spiegano gli Ermellini, la delibera condominiale di diniego non ha alcuna valenza ai fini pratici e l’installazione dei pannelli fotovoltaici può avvenire comunque anche senza tale “avallo”.

I giudici del Palazzaccio partono proprio dall’art. 1122 bis. c.c., introdotto dalla legge n. 220 del 2012, (rubricato “Impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili), il quale prevede, al comma 2, che “è consentita l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell’interessato“, e al comma 3 che “qualora si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni, l’interessato ne dà comunicazione all’amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi. L’assemblea può prescrivere, con la maggioranza di cui al quinto comma dell’articolo 1136, adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell’edificio e, ai fini dell’installazione degli impianti di cui al secondo comma, provvede, a richiesta degli interessati, a ripartire l’uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto. L’assemblea, con la medesima maggioranza, può altresì subordinare l’esecuzione alla prestazione, da parte dell’interessato, di idonea garanzia per i danni eventuali”.

Il quarto comma del medesimo art. 1122 bis c.c. precisa, infine, che “non sono soggetti ad autorizzazione gli impianti destinati alle singole unità abitative. Resta inteso che l’installazione dell’impianto al servizio della singola unità immobiliare debba avvenire nel rispetto della destinazione delle cose comuni, della tutela del diritto d’uso di ciascun condomino, del minor pregiudizio per le parti condominiali o individuali, della salvaguardia della stabilità, della sicurezza e del decoro architettonico dell’edificio”.

 

Il via libera dell’assemblea all’installazione è richiesta solo se si modificano le parti comuni

Ne consegue che “condizione normativa” perché possano venire in rilievo attribuzioni dell’assemblea in ordine alla installazione, da parte di un singolo condomino, di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, è che l’intervento renda “necessarie modificazioni delle parti comuni”, nel qual caso, similmente a quanto dispone l’art. 1122, comma 2, c.c., è stabilito che l’interessato ne dia comunicazione all’amministratore, il quale possa così riferirne in assemblea perché siano adottate le eventuali iniziative conservative volte a preservare l’integrità delle cose comuni.

Nel caso in esame, invece, la Corte d’appello di Milano, spiega la Cassazione, “ha dato per accertato che, al fine di realizzare il progetto di installazione di dodici pannelli fotovoltaici ad opera dei due condomini, non risultava alcuna necessità di modificare le parti comuni, né quindi c’era possibilità per l’assemblea di prescrivere specifiche modalità esecutive. In tal senso, la stessa assemblea si sarebbe limitata, giacché sollecitata, ad esprimere un “parere” contrario al progetto in questione, ravvisandovi un pregiudizio al pari uso della parte comune”.

La Suprema Corte evidenzia che le determinazioni prese dai condomini in assemblea sono considerate, a tutti gli effetti, come “veri e propri atti negoziali, sicché l’interpretazione del contenuto delle delibere condominiali viene regolata secondo i canoni ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 e seguenti c.c. e il relativo compito è assegnato ai giudici del merito, costituendo tale valutazione apprezzamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità ove sorretto da congrua motivazione immune da vizi logici e giuridici”.

Secondo gli Ermellini, non sono perciò condivisibili le critiche rivolte dai ricorrenti alla sentenza impugnata in ordine all’esito interpretativo a cui la stessa è pervenuta, nel senso di intendere la decisione del 15 marzo 2018 non come manifestazione di un “parere” avverso al progetto di installazione dell’impianto espresso dai condomini, quanto come formale frapposizione di un “diniego” ostativo all’iniziativa dei richiedenti.

L’istallazione su una superficie comune di un impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinato al servizio di una unità immobiliare, che non renda necessaria la modificazione delle parti condominiali, per quanto già affermato, può, dunque, essere apportata dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, senza richiedere alcuna preventiva autorizzazione dell’assemblea, salvo che tale autorizzazione non sia imposta da una convenzione contrattuale approvata dai condomini nell’interesse comune, mediante esercizio dell’autonomia privata” ribadisce la Suprema Corte.

All’eventuale autorizzazione alla installazione di un tale impianto concessa dall’assemblea, ovvero al parere contrario espresso dalla stessa, può, quindi, “attribuirsi soltanto il valore di mero riconoscimento dell’inesistenza, o, viceversa, dell’esistenza, di un interesse e di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante”. E pertanto, il condomino che intenda procedere all’istallazione su una superficie comune di un impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinato al servizio di una unità immobiliare, che non renda necessaria la modificazione delle parti condominiali, “non ha interesse ad agire per l’impugnazione della deliberazione dell’assemblea che abbia espresso un parere contrario all’intervento, non generando la stessa alcun concreto pregiudizio ai suoi diritti, tale da legittimare la pretesa ad un diverso contenuto dell’assetto organizzativo della materia regolata dalla maggioranza assembleare”.

 

Il principio di diritto

La Cassazione, peraltro, osserva che nello specifico si è di fronte ad una azione di impugnazione di deliberazione dell’assemblea di condominio, ai sensi dell’art. 1137 c.c., la quale aveva espresso, come detto, “voto contrario” ad approvare un progetto di installazione di dodici pannelli fotovoltaici su parte comune, comunicato dai condomini all’amministratore, e in tema di di impugnazione della deliberazione dell’assemblea condominiale, “l’onere di provare il vizio di contrarietà alla legge o al regolamento di condominio, da cui deriva l’invalidità della stessa, grava sul condomino che la impugna. La contrarietà alla legge della impugnata deliberazione discenderebbe soltanto dalla constatazione che l’assemblea avesse deciso di denegare l’installazione dell’impianto per la produzione di energia da fonte rinnovabile destinata al servizio dell’unità immobiliare dei ricorrenti, opponendosi alla concreta utilizzazione del bene comune che vogliano farne i singoli partecipanti, così adottando un provvedimento non previsto dalla legge o dal regolamento, ove la volontà collettiva non fosse giustificata dalla tutela delle esigenze conservative dei diritti inerenti alle parti condominiali. Un siffatto diniego di autorizzazione non è stato però colto dalla Corte d’appello nel testo della delibera del 15 marzo 2018, essendo la stessa apparsa come una mera manifestazione maggioritaria dell’interesse contrario di altri condomini alla installazione dell’impianto”.

La Suprema Corte conclude quindi enunciando il seguente principio di diritto: l’istallazione su una superficie comune di un impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinato al servizio di una unità immobiliare, ai sensi dell’art. 1122 bis. c.c., che non renda necessaria la modificazione delle parti condominiali, può essere eseguita dal singolo condomino senza alcuna preventiva autorizzazione dell’assemblea. Ne consegue che all’eventuale parere contrario alla installazione di un tale impianto espresso dall’assemblea deve attribuirsi soltanto il valore di mero riconoscimento dell’esistenza di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante, con riferimento al quale non sussiste l’interesse ad agire per l’impugnazione della deliberazione ai sensi dell’art. 1137 c.c.”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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