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Il fatto di essere stato abbagliato dal sole non può rappresentare una giustificazione per il conducente di un veicolo che abbia investito, e per di più ucciso, un pedone. La Corte di Cassazione è tornata ancora su questa questione confermando, con la sentenza n. 18748/22 depositata il 12 maggio 2022, la condanna di un automobilista per omicidio stradale.

Un automobilista “pirata” travolge un pedone e viene condannato per omicidio stradale e fuga

Il procedimento penale aveva per oggetto, appunto, un grave incidente stradale verificatosi il 12 luglio 2018, all’incrocio tra due vie  nel comune di Santa Paolina (Avellino). L’imputato, alla guida di un Suv, aveva investito un pedone che stava attraversando diagonalmente la strada all’altezza dell’intersezione procedendo da destra verso sinistra per la direzione di marcia dell’auto e che era stato sbalzato sull’asfalto. Ad aggravare la posizione dell’automobilista, il fatto di essersi dato alla fuga anche se, dopo aver percorso alcuni metri, aveva avvisato due passanti che c’era un uomo a terra affinché allettassero i soccorsi. Quando i carabinieri era sopraggiunti non avevano potuto che constatare il decesso dell’uomo investito e si erano subito messi sulle tracce del pirata, identificandolo anche grazie alle testimonianze delle due donne a cui si era rivolto per segnalare l’investimento.

Con sentenza del 9 febbraio 2021, la Corte di appello di Napoli aveva parzialmente riformato la sentenza emessa il 18 dicembre 2019 – a seguito di giudizio abbreviato – dal Gup del Tribunale di Avellino. L’investitore era stato ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 589 bis e 589 ter cod. pen. (omicidio stradale e fuga) per aver provocato la morte del pedone e del reato di cui all’art. 189 comma 7 del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 perché si era allontanato omettendo di prestare soccorso. I giudici di secondo grado avevano confermato la sentenza di prime cure con riferimento all’affermazione della penale responsabilità e nella parte in cui aveva ritenuto che la fattispecie di cui all’art. 189 comma 6 cod. strada fosse assorbita nel reato di omicidio stradale aggravato dalla fuga; aveva escluso la sussistenza della aggravante di cui all’art. 589 bis comma 5 n. 3 (ritenuta invece sussistente dal giudice di primo grado) e aveva ritenuto applicabili – oltre all’attenuante di cui all’art. 589 bis comma 7 cod. pen. (già ritenuta dal giudice di primo grado), anche le attenuanti generiche, che invece in primo grado erano state escluse.

Conseguentemente (tenuto conto della riduzione per la scelta del rito e del vincolo della continuazione tra i reati, ritenuto sussistente dal giudice di primo grado), aveva rideterminato la pena nella misura finale di due anni di reclusione disponendone la sospensione condizionale, mentre aveva confermato sia la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per anni quattro, sia le statuizioni civili della sentenza di primo grado.

 

L’investitore ricorre per Cassazione asserendo l’esclusiva responsabilità del pedone

Nonostante la riduzione di pena, tuttavia, l’imputato ha proposto ricorso anche per Cassazione sulla base di tre motivi. Con il primo, ha lamentato il fatto che, a fronte del riconoscimento del concorso di colpa del pedone (che aveva attraversato diagonalmente in corrispondenza di una intersezione così violando l’art. 190 commi 2 e 3 cod. strada) e della accertata velocità del veicolo, che procedeva in modo moderato (35 km/h), la sentenza impugnata non avrebbe fornito adeguata motivazione in ordine alla possibilità di prevedere ed evitare l’investimento e, soprattutto, non avrebbe indicato in cosa sarebbe consistita la condotta alternativa doverosa. Più in particolare, l’investitore sosteneva che non avrebbe potuto procedere ancora più piano, viceversa avrebbe violato il codice della strada perché sarebbe stato di intralcio alla circolazione, rilevando anche come nel luogo del sinistro non vi fossero strisce pedonali, e ribandendo che l’attraversamento del pedone era avvenuto diagonalmente, dando le spalle all’auto, ed era stato pertanto improvviso e imprevedibile.

L’investitore inoltre ha lamentato la violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 189 comma 7 cod. strada, asserendo che questa disposizione – questione già più volte emersa – si applica solo nel caso in cui l’investito abbia bisogno di assistenza e tale situazione non si era verificata nel caso di specie perché, come risultava dall’autopsia espletata, il pedone era deceduto sul colpo.

Col terzo motivo, infine, il ricorrente si doleva dell’eccessiva severità della pena inflitta per il reato di cui all’art. 189 comma 7 cod. strada, determinata, a titolo di aumento per continuazione, nella misura di un anno di reclusione, pari al minimo edittale previsto per il reato così “vanificando il beneficio della continuazione”.

Per la Suprema Corte però le doglianze sono tutte infondate. La Cassazione ripercorre gli accertamenti effettuati sul tragico sinistro rilevando come i giudici di merito avessero chiarito che l’investimento era avvenuto pressoché al centro della carreggiata motivando questa conclusione facendo riferimento ai danni riportati dalla macchina – collocati nella zona centrale della parte frontale – e alle spontanee dichiarazioni rese dall’imputato. Il quale, dopo esser stato identificato, aveva dichiarato alla polizia giudiziaria che, giunto all’altezza dell’incrocio in questione, si era trovato all’improvviso davanti alla sua auto, al centro della carreggiata, “un uomo che non riuscivo ad evitare, attesa anche la presenza del sole all’altezza del viso“.

 

La condotta del pedone, sia pur imprudente, non era stata improvvisa né imprevedibile

Secondo gli Ermellini, correttamente in giudici di merito avevano desunto da ciò che la condotta del pedone, per quanto imprudente e contraria alle norme in materia di circolazione stradale, non fosse stata così improvvisa da impedire l’avvistamento e tuttavia l’automobilista non era riuscito a frenare in tempo utile, né a sterzare verso sinistra in modo da evitare l’impatto.

I giudici del Palazzaccio condividono le conclusioni delle sentenze di merito secondo cui, nonostante la velocità ridotta tenuta dal veicolo, l’impatto non era stato inevitabile, anche alla luce del fatto che il tratto di strada percorso dall’auto era pressoché rettilineo, che il pedone era anziano e quindi non camminava velocemente e che sulla strada non erano stati rilevati segni di frenata. “I giudici territoriali ne desumono che l’imputato non si avvide per tempo della presenza del pedone sulla carreggiata perché era distratto alla guida ovvero accecato. Si tratta di motivazioni non contraddittorie e non manifestamente illogiche, conformi ai principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, in caso di investimento di un pedone, la responsabilità del conducente può essere esclusa solo quando la condotta della vittima si ponga come causa eccezionale e atipica, imprevista e imprevedibile, dell’evento e sia stata da sola sufficiente a produrlo” sottolinea la Cassazione, rimarcando anche che, quando era avvenuto l’impatto, la vittima aveva ampiamente intrapreso l’attraversamento.

 

L’abbagliamento del sole non integra un caso fortuito e non esclude la penale responsabilità

Insomma, se l’imputato non non ha rilevato la presenza dell’anziano che attraversava, ciò accadde “per evidente disattenzione. E a ciò deve aggiungersi che, rendendo spontanee dichiarazioni alla polizia giudiziaria, l’investire dichiarò di non essere riuscito ad evitare il pedone anche per la presenza del sole all’altezza del viso.

Ed è appunto qui che la Semprema corte ricorda come, secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, ”l’abbagliamento da raggi solari del conducente di un automezzo non integra un caso fortuito e perciò non esclude la penale responsabilità per i danni che ne siano derivati alle persone. In una tale situazione, infatti, il conducente è tenuto a ridurre la velocità e anche ad interrompere la marcia e ad attendere di superare gli effetti del fenomeno impeditivo della visibilità”.

Ma è interessante anche quanto asserisce la Cassazione a proposito del secondo motivo di ricorso nel quale l’imputato lamentava errata applicazione dell’art. 189 comma 7 cod. strada, sostenendo che tale fattispecie incriminatrice sarebbe stata ritenuta sussistente in assenza dei presupposti atteso che il pedone investito era morto sul colpo e per questo non v’era necessità di prestargli assistenza. “La sentenza impugnata – spiega la Suprema Corte – ribadisce che il reato di omicidio stradale aggravato dalla fuga può concorrere con quello di omessa prestazione di assistenza stradale in quanto le fattispecie di cui ai commi 6 e 7 dell’art. 189 cod. strada costituiscono due distinte ipotesi di reato e soltanto la condotta di fuga dopo un incidente stradale è assorbita nella fattispecie complessa di cui al combinato disposto degli artt. 589 bis e 589 ter cod. pen”.

La Corte territoriale ha ritenuto dunque sussistente il reato di cui all’art. 189 comma 7 cod. strada ed è giunta a tale conclusione “sulla base delle spontanee dichiarazioni rese dall’imputato, dichiarazioni che, secondo le sentenze di merito, forniscono piena prova non solo della fuga, ma anche dell’omissione della assistenza dovuta”.

 

L’omissione di soccorso va valutata in base alle percezioni dell’investitore prima della fuga

La giurisprudenza – ammette la Cassazione – è concorde nell’affermare che, per ritenere sussistente il reato di cui all’art. 189, comma 7, cod. strada, il bisogno dell’investito deve essere effettivo e il reato non è configurabile nel caso di assenza di lesioni o di morte, o allorché altri abbia già provveduto e l’ulteriore intervento dell’obbligato non risulti più necessario né utile o efficace”. Ma è altresì concorde nel sostenere, prosegue la Suprema Corte, che “tali circostanze non devono essere valutate ex post, ma ex ante, sulla base di quanto percepito dall’investitore prima dell’allontanamento”.

I giudici del Palazzaccio, al riguardo, specificano come l’investitore avesse prima dichiarato: di essersi accorto di aver investito il pedone facendolo cadere a terra; di essersi poi allontanato perché “preso dal panico”; di essere quindi tornato indietro e aver visto “l’uomo per terra”; di essere stato “preso nuovamente da un attacco di panico” e di essersi “immediatamente” allontanato.

I giudici di merito hanno desunto da queste dichiarazioni che il reato di cui all’art. 189 comma 7 cod. strada fosse integrato in tutti gli estremi soggettivi e oggettivi, e si tratta di conclusioni coerenti con i principi che regolano la materia. La giurisprudenza di legittimità ha infatti più volte sottolineato che, sotto il profilo oggettivo, l‘effettivo bisogno dell’investito deve essere valutato ex ante, prima che l’investitore si allontani; sotto il profilo dell’elemento psicologico, che il delitto previsto dall’art. 189 comma 7 cod. strada è punibile anche a titolo di dolo eventuale e tale atteggiamento psicologico è ravvisabile in capo all’agente che, in caso di sinistro comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare, in termini di immediatezza, la probabilità, o anche solo la possibilità, che dall’incidente sia derivato danno alle persone e che queste necessitino di soccorso, non ottemperi all’obbligo di prestare assistenza ai feriti.

Per la cronaca, respinto anche il terzo motivo di ricorso dell’imputato sull’entità della pena, confermata in toto.

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Incidenti da Circolazione Stradale

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