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Bisogna prestare la massima attenzione non solo quando si corre per strada ma anche quando si parcheggia il proprio veicolo che, oltre che sugli appositi stalli, va posizionato in modo da non creare intralcio e pericolo per gli altri utenti e opportunamente segnalato.

Con una sentenza non scontata, la n. 2177/22 depositata il 19 gennaio 2022, che infatti ha ribaltato il giudizio della Corte territoriale, la Cassazione ha respinto l’assoluzione dal reato di omicidio colposo del conducente di un camion accusato di aver provocato un incidente stradale mortale a Bologna.

Un motociclista si schianta contro un camion parcheggiato senza luci

L’imputato aveva parcheggiato il suo mezzo pesante lungo una via per effettuare alcune operazioni di scarico di merce presso un supermercato e gli veniva contestato di aver omesso, in violazione dell’art. 158 comma 4 del Codice della strada, (che impone di adottare le dovute cautele atte ad evitare incidenti), di verificare il corretto funzionamento delle luci di sicurezza collegate al pianale retraibile posteriore dell’autoarticolato. La vittima, un motociclista, che sopraggiungeva a una velocità sostenuta, aveva urtato con lo spigolo sinistro della sponda retrattile del camion riportando gravi lesioni che ne avevano determinato il decesso.

Camionista condannato in primo grado per aver causato il tragico incidente

Il Tribunale felsineo aveva ritenuto che il camionista fosse incorso in realtà in più omissioni: non aveva neppure segnalato adeguatamente la presenza del camion delimitando l’area di scarico, oltre a viaggiare, come detto, con le luci di segnalazione della pedana guaste e a non aver azionato le quattro frecce, rendendo così il proprio mezzo scarsamente visibile al conducente del motociclo, tenuto anche conto che la giornata era piovosa ed il parabrezza della moto bagnato, con conseguente ulteriore diminuzione della visibilità.

Quest’ultima circostanza in particolare, diversamente da quanto sostenuto della difesa, secondo i giudici di primo grado non elideva il nesso causale tra la colpa ascritta all’imputato e l’evento lesivo ma, al contrario, avrebbe dovuto indurlo a una maggiore attenzione nella segnalazione della propria presenza. Infine, secondo il Tribunale il pacifico concorso di colpa della vittima, che viaggiava a una velocità eccessiva, anche tenuto conto delle condizioni climatiche, non determinava comunque un fattore imprevedibile ed eccezionale, tale da interrompere il nesso causale.

 

La Corte d’appello ribalta la sentenza e assolve l’imputato: unico responsabile la vittima

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 2020, invece, in totale riforma del pronunciamento di prime cure, aveva assolto l’autotrasportatore dal reato ascrittogli. Ad avviso dei giudici di secondo grado, pur non contestando la violazione rilevata dal primo giudice, non era individuabile il necessario nesso causale tra la condotta dell’imputato e il tragico incidente, non potendo ritenere che il sinistro avrebbe potuto essere evitato anche se l’imputato avesse adottato tutte le cautele richieste.

Il motociclista non poteva non vedere l’autoarticolato, correva troppo

La Corte territoriale, in particolare, aveva posto l’accento sul fatto che si trattava di un camion di notevoli dimensioni e che, pertanto, era ben avvistabile da lontano; inoltre, che la strada era larga e rettilinea anche con il parabrezza bagnato e, infine, che la piattaforma aveva le medesime dimensioni dell’autocarro.

Sulla scorta di queste considerazioni, i giudici ritenevano impossibile che il motociclista non avesse notato la sagoma del mezzo pesante anche da lunga distanza, concludendo pertanto che il motociclista, pur essendo il camion pienamente avvistabile, vi si fosse avvicinato troppo, non avendo poi più tempo per mettere in atto una efficace manovra di scarto sulla sinistra per evitarlo: la causa dell’impatto, quindi andava ricondotta unicamente a questa mancanza di spazio e di tempo connessa alla velocità tenta dal motociclista.

 

Il Pubblico ministero ricorre per Cassazione

A questo punto è stato il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Bologna a impugnare per Cassazione la sentenza assolutoria, sostenendo che la Corte territoriale avrebbe trascurato di considerare che l’addebito di colpa non era limitato alla violazione della norma del codice della strada indicata, ma era esteso anche alla imprudenza ed alla negligenza.

Il Pm ha infatti rimarcato come l’imputato stesse eseguendo le operazioni di scarico merci direttamente sulla via, a senso unico, in un orario particolarmente trafficato, con condizioni di visibilità scarse a causa della giornata uggiosa.

Il ricorrente rimarca l’assenza di luci lampeggianti sulla sponda e la giornata piovosa

Il magistrato ha nuovamente ribadito, come avevano riferito anche gli Agenti di Polizia Municipale, che il mezzo era privo di lampeggianti luminosi nelle parti angolari esterne della sponda e come l’area occupata non fosse in alcun modo segnalata: in tali condizioni, senza illuminazione, non vi sarebbe stata la possibilità per gli altri utenti della strada d’individuare la presenza ingombrante della sponda dell’autoarticolato.

Il Procuratore ha citato anche le dichiarazioni dei vari testimoni sentiti che avevano confermato queste circostanze: nessuno rammentava la presenza di luci nel veicolo fermo, né quelle intermittenti poste agli angoli della sponda né le cosiddette quattro frecce. Le luci intermittenti o, quanto meno, la delimitazione dell’area di scarico, concludeva il ricorrente, avrebbero potuto certamente evitare incidenti stradali, in quanto idonee a rendere ben visibile la presenza del mezzo e della sponda agli altri utenti della strada.

La velocità eccessiva della vittima non era circostanza imprevedibile e anomala

Infine, il Procuratore Generale è tornato sulla questione della velocità del motociclista superiore rispetto ai limiti consentiti, sostenendo che essa non poteva considerarsi una circostanza di carattere eccezionale e come tale idonea a costituire un elemento sopravvenuto non prevedibile,  e ricordando che le precauzioni che gli utenti della strada dicono adottare sono volte anche a prevenire l’eventuale comportamento imprudente altrui: dunque, la velocità eccessiva della vittima non poteva configurarsi come fattore eccezionale, anomalo, atipico e idoneo ad interrompere il nesso di causalità, e poteva eventualmente essere considerata soltanto “concorrente condotta colposa suscettibile di incidere sulla determinazione della pena”.

La Suprema Corte accoglie in pieno le doglianze e cassa la sentenza di assoluzione

Per la Suprema Corte il ricorso è fondato.

Gli Ermellini convengono sul fatto che la motivazione addotta nella sentenza impugnata circa l’insussistenza del nesso causale tra la condotta ascritta al ricorrente e l’evento “non è sorretta da adeguata motivazione. La Corte di merito non spiega in realtà come la condotta serbata dalla persona offesa possa ritenersi fattore eccezionale, in grado di interrompere il nesso causale” spiegano i giudici del Palazzaccio, addebitando ai giudici di secondo grado la mancata considerazione in particolare della condizioni in cui era avvenuto il sinistro: “la pioggia era fattore in grado di ridurre la visibilità per gli utenti della strada, imponendo le cautele richieste all’imputato e il rispetto della norma citata; i giudici confondono la visibilità del veicolo di grandi dimensioni con quella del pianale che costituiva un prolungamento dell’autoarticolato.

Il motociclista entrò in collisione proprio con lo spigolo del pianale, quindi l’osservazione riferita alla visibilità all’intero automezzo è inconferente: l’attenzione della Corte di merito avrebbe dovuto essere rivolta al dettaglio del pianale contro il quale urtò il motociclista” prosegue la Suprema Corte, condividendo in pieno anche con le sentenze di legittimità addotte dal ricorrente, in particolare Cass. n. 26295/15, che recita, testuale: “L’automobilista, il quale colposamente ostruisce la carreggiata, determinando così l’arresto del traffico, è responsabile delle successive collisioni sempre che non sia ravvisabile l’intervento di fattori anomali, eccezionali ed atipici che interrompono il legame di imputazione del fatto alla sua condotta, quale non può considerarsi l’eccessiva velocità dei guidatori dei veicoli sopraggiunti”. Anche per la Cassazione, in conclusione, la velocità della moto “non può costituire un fattore eccezionale ed imprevedibile suscettibile d’interrompere il decorso causale”.

La sentenza di assoluzione è stata pertanto cassata con rinvio per un nuovo giudizio a un’altra sezione della Corte d’Appello di Bologna.

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Incidenti da Circolazione Stradale

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