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Rispettare il limite di velocità nell’affrontare un incrocio, caratterizzato per di più da una pessima visibilità, non basta per esonerare l’automobilista dalle responsabilità per essersi scontrato con un’altra vettura, avendo peraltro mancato la precedenza.

Lo ha ribadito con forza la Cassazione con la sentenza n. 12116/23 depositata il 23 marzo 2023 e nella quale la Suprema Corte ha definitivamente giudicato su un incidente tragico occorso nel novembre 2013.

 

Automobilista condannato per aver mancato la precedenza a un incrocio uccidendo due donne

Un automobilista, tenendo una velocità stimata tra i 40 e i 48 km/h, al di sotto del limite vigente di 50 km/h, “ma comunque superiore a quella entro cui deve viaggiare un veicolo in prossimità di un incrocio stradale”, avevano rilevato i giudici di merito, non era riuscito a fermarsi al segnale di stop e aveva centrato un’auto che, a causa dell’impatto, aveva abbattuto il guardrail ribaltandosi e finendo in un canale sottostante, con la tragica morte per annegamento delle due donne che si trovavano a bordo.

La Corte di Appello d Napoli, riformando solo parzialmente la sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Torre Annunziata, riconoscendogli la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p., con conseguente ri-determinazione della pena, aveva comunque confermato la dichiarazione di responsabilità nei confronti dell’automobilista per il reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale.

 

L’imputato ricorre per Cassazione puntando sulla velocità tenuta, sotto il limite

L’imputato, tramite il proprio legale, ha tuttavia proposto ricorso per Cassazione partendo proprio dal fatto che era stato riconosciuto che la velocità dell’auto da lui condotta sarebbe stata nettamente inferiore al limite di 50 km/h. La valutazione di inadeguatezza, secondo la tesi difensiva, avrebbe dato luogo ad un duplice profilo di illogicità perché avrebbe individuato la regola di diligenza – ossia la velocità esigibile – non solo da un ragionamento ex post, trascurando del tutto le caratteristiche insidiose del tratto stradale, ma avrebbe fatto discendere uno o più dati certi (la velocità imputata) da un elemento che, al contrario, si sarebbe collocato nella sfera della probabilità, dato che la sentenza di primo grado aveva affermato che la velocità ricavata nel caso in questione non costituiva un dato certo e assoluto, potendo subire un arrotondamento del 20 per cento, tanto in eccesso quanto in difetto.

Battendo anche sulla pericolosità dell’incrocio e sull’inadeguatezza della barriera

Per connotare la causalità della colpa, secondo il difensore dell’imputato, si sarebbe dovuto dimostrare che la condotta di stop/ripartenza avrebbe consentito, con ragionevole certezza, una maggiore visibilità dell’incrocio e/o un’apprezzabile minore velocità del veicolo del suo assistito, aspetti essenziali di cui sarebbe però stato privo il percorso argomentativo della sentenza impugnata.

Nel caso di specie, secondo il legale dell’imputato, era palese che l’inadeguatezza dell’incrocio restituiva ai conducenti una falsa prospettiva, tale da determinare un gran numero di sinistri: l’inappropriata costruzione del tratto stradale lo faceva apparire libero da veicoli e il suo cliente, anche per la presenza di edifici, non avrebbe avuto nel caso concreto alcuna possibilità, neanche da fermo, di vedere sopraggiungere l’auto di controparte. Lo “stop” non sarebbe stato sufficiente a garantire una circolazione sicura.

Inoltre la Corte territoriale non avrebbe fatto alcun accenno rispetto alle censure in tema di imprevedibilità, tenuto conto del fatto che la presenza di una barriera stradale adeguata e in buone condizioni di manutenzione avrebbe contenuto il veicolo su cui viaggiavano le persone offese, come aveva altresì evidenziato il consulente della Procura. L’inadeguatezza del parapetto stradale andava, quindi, considerata quale evento eccezionale, imprevedibile, tale da interrompere il nesso di causa.

 

La velocità va adattata al caso concreto

Ma per la Suprema Corte il motivo è infondato. Gli Ermellini premettono innanzitutto che la Corte d’Appello aveva osservato come dal compendio probatorio era emersa, con “palmare evidenza”, la condotta negligente ed imprudente dell’imputato, per avere violato le regole cautelari imposte dal codice della strada e, segnatamente, dagli artt. 140, 141 e 145. In particolare i giudici territoriali avevano messo un luce che, sebbene al momento dello scontro con l’auto su cui viaggiavano le due vittime, l’automobilista condannato circolasse nel rispetto del limite di velocità di 50 km/h, si doveva comunque tenere conto del fatto che, in considerazione delle particolari condizioni atmosferiche di quel giorno, del traffico e delle peculiari caratteristiche della sede stradale (un incrocio con rotatoria a più ingressi), questi avrebbe dovuto mantenere una velocità ancora inferiore che gli avrebbe consentito di avere un maggior controllo del veicolo e di rispettare l’art. 140 C.d.S., il cui disposto letterale, com’è noto, impone a ciascun conducente di comportarsi in modo da non costituire ostacolo o pericolo per la circolazione, e l’art. 141, il quale statuisce che gli utenti della strada devono regolare la velocità della propria auto, a prescindere dal limite imposto, adattandola alle circostanze del caso concreto e cioè alle particolari condizioni della strada ovvero alle condizioni atmosferiche tali da richiedere una maggiore prudenza.

Decisivo in ogni caso il mancato rispetto dello “stop”

E, soprattutto, era chiaramente emerso dagli accertamenti tecnici che l’auto condotta dall’imputato, pur tenendo una velocità contenuta, non si era arrestata al segnale di stop e non aveva dato così la precedenza, in violazione dell’art. 145 C.d.S., ragion per cui la Corte d’appello aveva concluso nel senso che, “se l’imputato avesse percorso la strada ad una velocità minore e avesse mantenuto costantemente il controllo dell’auto, così da riuscire ad arrestarsi prontamente al segnale di stop e a non impattare contro il veicolo delle due vittime, la rovinosa caduta nel fiume del veicolo in cui viaggiavano, seguita dal loro decesso per annegamento, non si sarebbe verificata“.

La Suprema Corte in effetti conviene con il legale dell’imputato laddove egli lamenta che la sentenza impugnata, nel definire “inadeguata” la velocità tenuta dal suo assistito, aveva individuato la regola di diligenza, ossia la velocità esigibile, da un ragionamento formulato a posteriori. “Nel caso di specie – spiegano i giudici del Palazzaccio -, la sentenza impugnata ha totalmente mancato di esplicitare quale fosse la velocità adeguata, ovvero quella che, alla luce di tutte le circostanze del caso, risultava – non ex post ma ex ante – doverosa. La Corte di appello ha omesso di identificare il preciso contenuto della regola cautelare, finendo per far coincidere la velocità che ex ante l’imputato avrebbe dovuto tenere con quella che ex post avrebbe evitato l’evento, così sovrapponendo al piano dell’accertamento della sussistenza di una condotta non cautelare quello dell’accertamento del nesso causale (della colpa)”.

 

Gli altri elementi, l’incrocio e il guardrail, non hanno innescato un nuovo rischio “eccentrico”

Ma nonostante questo, ribadisce la Cassazione, appare decisiva ai fini della configurazione della responsabilità dell’imputato la circostanza, valorizzata dalla Corte d’Appello, costituita dalla violazione dell’art. 145 C.d.S., “per non essersi questi arrestato al segnale di stop e non avere dato la dovuta precedenza all’auto delle vittime. Detta violazione collega direttamente l’imputato alla causazione del sinistro, non essendo intervenuti, nel caso di specie, fattori che abbiano innescato un rischio nuovo ed eccentrico rispetto a quello originario attivato dalla prima condotta, tale da interrompere il nesso causale tra condotta ed evento.

Non costituisce rischio eccentrico, concorda la Suprema Corte con i giudici territoriali, il dato inerente al danneggiamento della barriera stradale, la quale poteva “al più assurgere a concausa dell’evento lesivo, anche tenuto conto del fatto che l’imputato non poteva non essere consapevole della pericolosità dell’intersezione, considerato altresì che, come lamenta lo stesso ricorrente, l’incrocio non garantiva una buona visibilità, ulteriore ragione per la quale l’imputato avrebbe dovuto rispettare il segnale di stop”.  Dunque, ricorso respinto e condanna confermata.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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