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La compromissione della salute patita da una persona nell’intervallo di tempo intercorrente tra la lesione e il sopraggiungere della morte viene definito danno biologico terminale ed è risarcibile, così come il cosiddetto danno catastrofale o catastrofico, che consiste, invece, nella sofferenza provocata dalla consapevolezza di dover morire, cioè nella “paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali”.

Emblematico, in tal senso, il tragico caso di cui si è occupata la Cassazione nella sentenza n. 7770/21 depositata il 18 marzo 2021, con la quale la Suprema Corte accolto il ricorso dei familiari di una vittima a cui non erano state riconosciute queste due fattispecie di danno.

 

I familiari della vittima di un caso di malasanità citano in causa l’ospedale

La vicenda in questione è di malpractice medica.  Un paziente era morto in una struttura ospedaliera dopo una ricovero di otto giorni a causa, secondo la denuncia dei congiunti, della totale omissione di attività diagnostica fino al peggioramento delle sue condizioni che lo avevano condotto al decesso.

I suoi familiari avevano pertanto citato in giudizio l’Azienda ospedaliera chiedendola la declaratoria di responsabilità per la morte del loro caro e il conseguente risarcimento e il Tribunale aveva accolto la domanda, condannando la struttura al pagamento dei danni.

In appello il risarcimento viene ridotto

L’ospedale aveva però appellato la sentenza e la Corte d’Appello aveva accolto parzialmente il gravame. La Corte territoriale aveva accertato come durante la degenza, durata dal 27 febbraio al 7 marzo, non fosse stata effettivamente effettuata alcuna attività diagnostica fino a quando l’uomo era spirato. Assodato l’an, in merito ai danni risarcibili e al quantum, i giudici di seconde cure avevano concordato con il Tribunale circa l’esclusione della risarcibilità iure hereditatis del danno da perdita del bene della vita.

Quanto al danno da perdita parentale iure proprio, invece, facendo riferimento alle tabelle milanesi, la Corte territoriale aveva evidenziato che queste prevedono una forbice tra 163mila e 327mila euro e che i criteri equitativi di liquidazione dovevano tenere conto dell’età del paziente al momento del decesso (74 anni), nonché della convivenza dei familiari che invocavano il relativo ristoro da perdita parentale. E, anche in forza del fatto che la vittima risiedeva all’estero, aveva ritenuto eccessivo l’importo liquidato in primo grado rideterminandolo in diminuzione.

 

I congiunti ricorrono per Cassazione chiedendo il danno terminale e catastrofale

Di qui dunque il ricorso per Cassazione dei familiari. I quali hanno sottolineato come lo stesso Tribunale avesse accertato e affermato che la morte del loro caro era sopraggiunta a distanza di un apprezzabile lasso di tempo tra il manifestarsi della lesione all’integrità psicofisica: i primi segni della patologia che aveva determinato il decesso si erano evidenziate alle 14.22 del 6 marzo per raggiungere l’apice all’una e trenta di notte del 7 marzo, con il trasporto presso il reparto di rianimazione e poi il decesso, avvenuto alle 08.05 della stessa giornata.

Un lasso temporale tale da integrare il danno biologico terminale e da rendere meritevole di tutela risarcitoria, trasmissibile agli eredi, anche il danno morale catastrofale, avendo l’uomo subìto in modo vigile tutta la sofferenza dell’agonia e avendo pertanto avuto la lucida percezione dell’avvicinarsi alla morte. Nonostante tutte queste circostanze fossero state esplicitate fin dalla domanda introduttiva della citazione a giudizio, tuttavia, non erano state in alcun modo riscontrate.

La Suprema Corte accoglie le doglianze

Queste doglianze sono state invece ritenute fondate dalla Cassazione. La Suprema Corte he rilevato che il Tribunale, riconoscendo la spettanza del danno non patrimoniale iure hereditatis, aveva liquidato un importo unitario di danno da perdita della vita nel quale erano confluite anche le sofferenze fisiche e psichiche patite prima della morte, e quelle inerenti la durata dell’agonia, breve ma molto intensa. L’importo liquidato, dunque, non era riferibile solo al danno da perdita della vita, ma anche al danno biologico terminale e al danno catastrofale.

Secondo gli Ermellini, la Corte di merito, escludendo la spettanza del danno da perdita della vita, di fatto, aveva omesso di pronunciare in ordine al danno biologico terminale ed al danno catastrofale, il cui risarcimento era stato richiesto dai familiari e su cui aveva pronunciato il Tribunale, accogliendone la relativa domanda. Infatti, l’importo liquidato in dispositivo dalla Corte territoriale corrispondeva esclusivamente al danno iure proprio, senza però alcuna statuizione circa il danno biologico terminale e quello catastrofale.

L’originaria presenza della domanda, e relativa pronuncia del Tribunale di primo grado, imponevano al Giudice dell’appello di decidere anche in merito. In conclusione, gli Ermellini hanno cassato la sentenza e rinviato la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Malasanità

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