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Il lavoratore infortunatosi deve dimostrare il fattore di rischio che ne ha determinato il pregiudizio, la dinamica del fatto e il danno derivatone, ma non grava di su lui provare la colpa del datore di lavoro: deve essere quest’ultimo, debitore dell’obbligo di sicurezza, a dover dimostrare che l’impossibilità della prestazione alla quale era tenuto, o la non esatta esecuzione della stessa, sono derivate da causa a lui non imputabile.

Con l’ordinanza n. 13640/22 depositata il 29 aprile 2022 la Cassazione è tornata sull’onere probatorio negli incidenti sul lavoro, una questione su cui diversi tribunali di merito non hanno ancora le idee molto chiare.

Domanda di risarcimento rigettata perché la lavoratrice non avrebbe assolto all’onere probatorio

Protagonista della vicenda un’operatrice scolastica che, con cause separate, aveva citato in giudizio il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e il circolo didattico nella quale era assunta chiedendo i danni per un infortunio sul lavoro, l’accertamento del diritto alla concessione dell’equo indennizzo per le infermità derivatene e la dichiarazione di non debenza delle somme delle quali il Miur aveva chiesto la restituzione perché corrisposte sebbene l’infortunata, dichiarata idonea alla prestazione dall’Inail, non avesse ripreso servizio a far tempo dal 9 giugno 2004.

Il Tribunale tuttavia aveva rigettato le domande e la Corte d’Appello di Milano, dopo aver riunito i due giudizi, aveva respinto gli appelli proposti dalla danneggiata contro la decisione di prime cure. Quanto alla domanda risarcitoria, la Corte territoriale aveva osservato che correttamente il Tribunale avrebbe ritenuto non assolto l’onere probatorio gravante sulla lavoratrice, non avendo essa fornito alcuna descrizione dei luoghi, né individuato la porta dello stabile che le sarebbe rovinata addosso, né descritto le condizioni dell’infosso. Inoltre sempre riguardo l’onere probatorio, secondo i giudici l’assenza di altri colleghi al momento dell’infortunio non avrebbe permesso di accertare la dinamica del sinistro, in assenza di specifiche allegazioni della infortunata.

I Giudici d’appello, poi, avevano condiviso la nullità del ricorso volto all’ottenimento dell’equo indennizzo, perché l’infortunata non aveva individuato la categoria alla quale la patologia sofferta era riferibile, o altra categoria equiparabile, e si era limitata a produrre documentazione medica riguardante il danno biologico conseguente all’infortunio.

L’infortunata però non si è arresa e ha proposto ricorso anche per Cassazione rilevando che il Ministero in realtà non aveva contestato la dinamica dell’infortunio e, anzi, aveva addotto a sua giustificazione la responsabilità del Comune, tenuto alla manutenzione dell’edificio scolastico e degli arredi. In tale visuale dunque, secondo le regole dell’onere probatorio, i giudici non le avrebbero dovuto porre in capo l’onere di dimostrare quali fossero le condizioni della porta, crollata o inclinatasi, perché il lavoratore infortunato deve solo provare la dinamica dell’infortunio ed il danno che dallo stesso è derivato, non le cause del medesimo, posto che grava sul datore di lavoro dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad evitare la produzione del fatto dannoso.

 

La ripartizione dell’onere probatorio

In sintesi, tutte le censure della lavoratrice si sono concentrate sulla violazione delle norme dei principi in materia di ripartizione dell’onere probatorio, omissione di pronuncia sulle istanze istruttorie; omessa considerazione dell’infortunio subito sul lavoro e della sussistenza dei danni; violazione del diritto al riconoscimento del danno biologico patito in funzione della capacità lavorativa; violazione dell’art. 32 Cost.; erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto della controversia.

E la Suprema Corte le ha dato ragione ritenendo fondati i primi due motivi di ricorso. Gli Ermellini hanno rilevato come la corte territoriale avesse ricostruito la dinamica dell’infortunio nei medesimi termini indicati dalla infortunata e, pur avendo accertato che quest’ultima era stata colpita da una porta che le era rovinata addosso, aveva ritenuto non assolto l’onere probatorio per omessa descrizione delle condizioni di manutenzione del manufatto. Ebbene, ragionando in tali termini, prosegue la Cassazione, i Giudici di appello hanno erroneamente applicato i principi inerenti la responsabilità del datore di lavoro e di riparto degli oneri probatori (allegazione e prova), nelle azioni finalizzate ad ottenere il risarcimento dei danni patiti a seguito di infortunio sul lavoro.

 

Il lavoratore deve provare fattore di rischio e dinamica, non la colpa del datore

I giudici del Palazzaccio spiegano che la nocività dell’ambiente di lavoro, che il lavoratore deve allegare e provare, altro non è che il fattore di rischio, circostanziato in ragione della modalità della prestazione lavorativa. Ragion per cui, gli oneri probatori di allegazione e di prova che gravano sul lavoratore non possono prescindere dalle caratteristiche della situazione rappresentata e vanno delimitati tenendo conto anche del principio, secondo cui la parte che subisce l’inadempimento non è tenuta a dimostrare la colpa del contraente inadempiente dato che, ai sensi dell’art. 1218 c.c., è il datore di lavoro, debitore dell’obbligo di sicurezza, a dovere dimostrare che l’impossibilità della prestazione alla quale è tenuto, o la non esatta esecuzione della stessa, derivano da causa a lui non imputabile.

La Corte di Cassazione, ha quindi cassato la sentenza rinviando la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, per il riesame della stessa.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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