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Non basta impartire a voce una direttiva a un proprio dipendente, tanto più se giovane e assunto con contratto interinale, e affiancargli un collega più anziano ed esperto: l’obbligo di informazione, formazione e addestramento in capo al datore di lavoro è altra cosa.

Lo ha ribadito con forza la Cassazione, quarta sezione Penale, con la sentenza n. 6301/24 depositata il 13 febbraio 2024 con la quale ha confermato la condanna per lesioni personali colpose del titolare dell’impresa di un operaio che aveva subito un serio infortunio ad una mano.  

Giovane letturista si infortuna gravemente alla mano con un tombino

L’infortunato, inquadrato come detto quale lavoratore interinale, era stato assunto da appena un mese con mansioni di letturista, addetto cioè alla lettura dei contatori, ed era in affiancamento a un lavoratore più anziano. Nell’ottobre del 2018, al termine della giornata di lavoro, avendo notato che su una via era stata rimossa un’impalcatura presente nei giorni precedenti che prima impediva l’operazione, i due addetti avevano deciso di verificare la lettura di un tombino ivi presente.

Il più anziano aveva sollevato il chiusino con un attrezzo a sua disposizione ad un palmo da terra, quando il tombino gli era scivolato. Il collega interinale, che si trovava di fronte a lui inginocchiato, aveva improvvisamente e istintivamente allungato le mani nel tentativo di afferrarlo ed era rimasto con il dito schiacciato dal pozzetto in caduta. E, a seguito dell’infortunio, aveva riportato un “trauma da schiacciamento del terzo dito della mano sinistra con amputazione della falange distale”, per una prognosi di più di 40 giorni, qualificabile quindi come lesione grave.

 

Datore di lavoro condannato per lesioni colpose gravi

Nel procedimento penale conseguente, la Procura aveva addebitato al titolare dell’impresa colpa, negligenza, imprudenza, imperizia e violazione dell’art. 2087 del codice civile e delle norme antinfortunistiche, ed in special modo dell’art. 37 del Testo Unico.

In pratica, non ha fornito al suo dipendente una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza. Il Tribunale di Aosta si era tuttavia espresso per un’assoluzione, ma la Corte d’Appello di Torino, in data 28 febbraio 2022, aveva condannato per il reato di lesioni personali colpose gravi l’imputato.

L’imputato ricorre in Cassazione obiettando che al lavoratore erano state date istruzioni chiare

Il quale, però, ha proposto ricorso per Cassazione sostenendo, in estrema sintesi, la prevedibilità ed evitabilità dell’infortunio e addebitandone la colpa esclusiva alla negligenza del lavoratore. Anche perché, il motivo base della difesa, il datore di lavoro ha battuto molto sul fatto che all’infortunato era stata impartita l’istruzione di non sollevare i tombini, circostanza che la Corte territoriale non avrebbe tenuto in considerazione, nonostante le varie testimonianze addotte da parte di altri operai i quali confermavano come al giovane collega fosse stato rivolto il preciso ordine distare lontano dai tombini in occasione delle operazioni di sollevamento”.

Secondo la Corte d’appello invece l’obbligo formativo non era stato assolto

Secondo la Corte d’appello, invece, l’obbligo formativo non era stato assolto. Per i giudici di seconde cure il datore di lavoro aveva tenuto un comportamento colposo in stretta casualità con il sinistro, consistito, in particolare, nel non aver fornito al lavoratore dipendente adeguata formazione e informazione.

La vittima, infatti, era stata impiegata nella mansione di letturista, pur avendo svolto solo un corso generale sulla sicurezza di appena quattro ore e non anche il corso specifico, in cui avrebbe dovuto ricevere specifiche istruzioni collegate a tali mansioni, previsto solo per le settimane successive.

I Giudici avevano altresì considerato irrilevante il fatto che il collega anziano gli avesse intimato di non avvicinarsi nel momento in cui erano in corso le operazioni di sollevamento del tombino, così come il fatto che egli fosse stato appunto affiancato a tale collega, osservando che l’adempimento dell’obbligo di formazione e informazione non è surrogabile dal travaso di conoscenze dai colleghi più esperti e che, appunto, l’infortunato non aveva ricevuto formazione specifica sui rischi connessi alla mansione, né gli era stato consegnato il manuale.

Secondo la Corte territoriale, in ultima analisi, laddove l’obbligo formativo fosse stato assolto in maniera formale, sarebbe stata impartita la direttiva di tenersi ad adeguata distanza dalle operazioni di apertura del “chiusino”, in modo da non esporsi ai pericoli derivanti dal tipo di operazione effettuata, e ciò sarebbe valso ad evitare l’evento.

La Suprema Corte rigetta le doglianze confermando la condanna

Ebbene, per la Suprema Corte le argomentazioni dei Giudici di Appello sono del tutto coerenti con i dati di fatto. L’individuazione dei profili di colpa, per gli Ermellini, è conforme al dettato normativo, per il quale l’addestramento è un concetto diverso dalla formazione e informazione.

La “formazione”, spiegano i giudici del Palazzaccio, è il processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori e agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e all’identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi; la “informazione“ è il complesso delle attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro; l’“addestramento“ il complesso delle attività dirette a fare apprendere ai lavoratori l’uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di protezione individuale, e le procedure di lavoro.

 

La formazione in tema di sicurezza non può ridursi a mera “trasmissione verbale o gestuale”

Non può dunque ritenersi adeguata una formazione, in tema di sicurezza, affidata alla mera trasmissione verbale o gestuale da parte di un soggetto dotato di superiore esperienza sul campo – prosegue la Cassazione -, giacché questa, sebbene a sua volta importante, non può sostituire ex sé quel bagaglio di conoscenze ed acquisizioni tecniche, di cui un formatore qualificato per la sicurezza deve essere dotato. La formazione deve, in definitiva, avere contenuti specifici e deve provenire da soggetti qualificati.

Egualmente corretto, ad avviso della Suprema Corte, anche il giudizio controfattuale svolto dai Giudici di Appello e conforme al principio per cui il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell’espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi. Del resto, le norme di prevenzione servono anche e soprattutto per evitare che eventuali leggerezze e imprudenze del lavoratore possano recargli danni alla salute, a meno che la sua condotta non sia assolutamente “eccentrica” e imprevedibile, circostanza tuttavia esclusa nel caso di specie.   

La Cassazione infatti ha convenuto anche sulle conclusioni dei giudici di merito circa il comportamento tenuto della vittima, che d’istinto aveva cercato di afferrare il tombino, escludendo che potesse essere qualificato come abnorme e valesse perciò ad interrompere il nesso di causalità con l’evento, e rilevando come la sua condotta non si fosse realizzata in ambito “avulso dal procedimento lavorativo a cui era stato addetto”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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