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In materia di trasporto aereo, secondo la normativa europea il ritardo oltre determinate soglie comporta il risarcimento del danno da parte della compagnia a favore del viaggiatore. Ma in caso di contestazione, come si riparte l’onere della prova tra passeggero e vettore? A questa domanda ha risposto la Corte di Cassazione, Sez. III Civile, con la recente ordinanza 23 gennaio 2018, n. 1584 che mette un punto fermo sulla controversa questione: sul tema, infatti, si sono pronunciate diverse normative, senza tuttavia fornire una regola univoca circa la prova dell’inadempimento.

Con tale pronunciamento, la Suprema Corte ha affermato un nuovo principio di diritto secondo cui “il passeggero che agisca per il risarcimento del danno derivante dal negato imbarco o dalla cancellazione (inadempimento) o dal ritardato arrivo dell’aeromobile rispetto all’orario previsto (inesatto adempimento), deve fornire la prova della fonte (negoziale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, ossia deve produrre il titolo o il biglietto di viaggio o altra prova equipollente, potendosi poi limitare alla mera allegazione dell’inadempimento del vettore. Spetta a quest’ultimo, convenuto in giudizio, dimostrare l’avvenuto adempimento, oppure che, in caso di ritardo, questo sia stato contenuto sotto le soglie di rilevanza fissate dall’art. 6, comma 1, del Regolamento CE n. 261/2004”.

Il caso. Un viaggiatore aveva citato in giudizio innanzi al giudice di pace di Roma il vettore aereo EasyJet Airline Company Ltd, chiedendone la condanna alla compensazione pecuniaria di 400 euro prevista dall’art. 7, comma 1, lett. b, del Regolamento (CE) n. 261/2004, nonché al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, ai sensi degli artt. 19 e 22 della Convenzione di Montreal del 1999, a seguito dell’asserito ritardo di quattro ore subito dal volo che il ricorrente doveva prendere: ritardo a causa del quale questi aveva patito l’ulteriore danno di non potersi imbarcare su un secondo volo e così raggiungere la propria residenza. Nella contumacia del vettore, tuttavia, la domanda era stata rigettata per difetto di prova.

Il danneggiato ha impugnato la decisione, la EasyJet questa volta si è costituita in giudizio e il Tribunale di Roma, in funzione di giudice di appello, ha respinto il gravame, osservando che “è vero che (…) la Convenzione di Montreal e le altre norme fanno gravare sul vettore aereo la prova liberatoria (…). La presunzione di colpa del vettore presuppone che sia stato però dimostrato il ritardo. In assenza di ritardo non si presume alcuna responsabilità (…) Invero la responsabilità presuppone un ritardo (e lo stesso art. 19 della Convenzione di Montreal lo presuppone), altrimenti non avrebbe senso assegnare al vettore la prova liberatoria (da cosa dovrebbe liberarsi, per l’appunto, se non vi fosse un ritardo?). (…) E’ dunque certo che il passeggero deve dimostrare e non semplicemente allegare la circostanza che il volo ha subito un ritardo. Ossia deve dimostrare l’inadempimento del vettore, la cui responsabilità poi si presume, nel senso che è quest’ultimo a dover fornire la prova liberatoria“.

A questo punto il passeggero ha proposto ricorso per Cassazione contro tale decisione e la EasyJet ha resistito con controricorso. Venendo alle censure prospettate dal ricorrente, con il primo motivo egli ha denunciato la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218 e 2697 c.c. e dell’art. 19 della Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 in materia di trasporto aereo internazionale.  Più precisamente, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che fosse onere dell’attore provare non soltanto l’esistenza del contratto di trasporto, ma anche l’inadempimento del vettore, ossia il ritardo del volo. In secondo luogo, ha contestato la decisione di subordinare l’applicabilità dell’art. 19 della citata convenzione di Montreal alla prova, da parte del passeggero, dell’effettivo orario di atterraggio dell’aeromobile. E ha osservato, più in generale, che il vettore deve ritenersi responsabile del regolare adempimento del contratto di trasporto fintantoché non fornisca la prova liberatoria della corretta esecuzione della prestazione.

Con il secondo motivo, si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, indicato nella copiosa giurisprudenza di merito che, in relazione al trasporto aereo, ha affermato che il passeggero che agisca per il risarcimento del danno da ritardo debba provare soltanto la fonte del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione delle circostanze dell’inadempimento della controparte, mentre spetta al debitore convenuto provare la regolare esecuzione della prestazione. Motivo che, in realtà, rappresenta una argomentazione di diritto a sostegno degli argomenti illustrati nel primo motivo, piuttosto che un’autonoma censura, e che pertanto è stato esaminato dagli Ermellini congiuntamente al primo.

Ebbene, secondo la Cassazione il ricorso è fondato e qui vale la pena riportare il testo dell’ordinanza quasi integralmente, data la sua estrema rilevanza.

La questione di diritto sottoposta all’attenzione di questa Corte concerne l’ampiezza dell’onere probatorio gravante sul passeggero che intenda agire in giudizio nei confronti del vettore aereo chiedendo il risarcimento dei danni da ritardo. In particolare, le parti controvertono sulla circostanza se il passeggero possa limitarsi a provare l’esistenza del contratto di trasporto (ossia l’avvenuto acquisto del biglietto aereo) e ad allegare il ritardo del volo; oppure se egli sia onerato di fornire la prova piena anche di questo secondo elemento, gravando sul vettore il solo onere della prova liberatoria

La Convenzione di Montreal (sottoscritta dalla Comunità europea il 9 dicembre 1999, approvata con decisione del Consiglio 5 aprile 2011, 2001/539/CE e ratificata e resa esecutiva in Italia con L. n. 12 del 2004) non detta una regola specifica in ordine alla prova dell’inadempimento. Però, ai sensi dell’art. 19, “il vettore è responsabile del danno derivante da ritardo nel trasporto aereo di passeggeri, bagagli o merci. Tuttavia il vettore non è responsabile per i danni da ritardo se dimostri che egli stesso e i propri dipendenti e preposti hanno adottato tutte le misure che potevano essere ragionevolmente richieste per evitare il danno oppure che era loro impossibile adottarle”. La Convenzione, pertanto, introduce una presunzione di responsabilità del vettore aereo, che costui può superare solamente offrendo la prova liberatoria dell’imprevedibilità del danno, tale che non era ragionevole ex ante adottare delle misure idonee ad evitarne l’avveramento, ovvero dell’oggettiva impossibilità di adottarle. In sostanza, l’esenzione del vettore aereo gioca sul piano del caso fortuito o della forza maggiore.

Il successivo art. 22 pone limitazioni quantitative alla responsabilità risarcitoria del vettore, nel trasporto di persone, merci e bagagli. Per quanto qui di interesse, in caso di danno da ritardo nel trasporto di persone, la responsabilità del vettore è limitata alla somma di “4150 diritti speciali di prelievo” per ciascun passeggero (per la conversione dei diritti speciali di prelievo in unità monetarie, si veda l’art. 23 della medesima Convenzione; v. pure Sez. 3, Sentenza n. 14667 del 14/07/2015, Rv. 636276).


Il Regolamento CE n. 261/2004 istituisce regole comuni in materia di compensazione e assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato. A seconda dei casi, al passeggero è riconosciuto il diritto al rimborso del costo del biglietto o all’imbarco su un volo alternativo, alla c.d. assistenza (pasti, alloggi e ulteriori servizi minori) e ad una compensazione pecuniaria di importo crescente in proporzione alla gravità del ritardo. Con particolare riferimento a quest’ultima ipotesi, la normativa comunitaria identifica diverse ipotesi di gravità del ritardo, commisurate alla lunghezza della tratta. Quindi, dal punto vista oggettivo, il Regolamento introduce una tipizzazione legale della soglia oltre la quale l’inesatto adempimento (ritardo) del vettore diviene “grave” e genera obblighi risarcitori. An
che il Regolamento, al pari della Convenzione di Montreal, non contiene alcuna disposizione in ordine all’onere della prova circa la durata del ritardo.

 

La Corte di Giustizia ha ripetutamente affermato che i passeggeri di voli ritardati di un tempo pari o superiore a tre ore possono essere assimilati ai passeggeri di voli cancellati e, pertanto, anch’essi possono reclamare il diritto alla compensazione pecuniaria previsto dall’art. 7 del Regolamento (Corte di Giustizia 19 novembre 2009, C-402/07 Christopher Sturgeon, Gabriel Sturgeon e Alana Sturgeon contro Condor Flugdienst GmbH e C-432/07 Stefan Bock e Cornelia Lepuschitz contro Air France SA; Corte di Giustizia, Grande Sezione, 26 febbraio 2013, C-11/11 Air France contro Heinz-Gerke Folkerts e Luz-Teresa Folkerts, con riferimento al volo con una o più coincidenze; Corte di Giustizia 23 ottobre 2012, C581/10, Nelson/Deutsche Lufthansa AG e C-629/10 British Airways Easyiet e International Air Transport Association/Civil Aviation Authority).

In caso di cancellazione del volo, l’art. 5, comma 3, del Regolamento prevede che il vettore non è tenuto al pagamento della compensazione pecuniaria se ha tempestivamente avvertito il passeggero della cancellazione ovvero se dimostra che la stessa è dovuta a circostanze eccezionali che non si sarebbero comunque potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso. Dunque, come già previsto dalla Convenzione di Montreal, la responsabilità del vettore è elisa solamente dal caso fortuito o dalla forza maggiore, cui si aggiunge però l’ipotesi del congruo preavviso che consenta al passeggero di organizzarsi diversamente, così minimizzando le conseguenze del disagio (quanto al termine entro cui deve essere dato il preavviso, perché possa sortire effetti liberatori, si veda l’art. 5, comma 1, lett. c).


L’art. 5, comma 4, aggiunge: “l’onere della prova, per quanto riguarda se e quando il passeggero è stato avvertito della cancellazione del volo, incombe al vettore aereo operativo”. Il Regolamento CE n. 261/2004 e la Convenzione di Montreal contengono due discipline compatibili e congiuntamente applicabili, senza antinomie.


La Corte di Giustizia ha, infatti, specificato che le normative non si escludono l’un l’altra (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 10 gennaio 2006, C-344/04 International Air Transport Association, European Low Fares Airline Association / Department for Transport). La Convenzione di Montreal detta le condizioni per l’esercizio di azioni giudiziarie per il risarcimento danni promosse dinanzi ad organi giurisdizionali. Ciò tuttavia non è d’ostacolo all’adozione di una concorrente disciplina comunitaria, anche migliorativa, per assicurare la tutela degli interessi dei passeggeri, al fine di garantire agli stessi adeguata assistenza nel momento in cui si verificano gli inconvenienti previsti e in modo da consentire adeguati indennizzi che possono essere richiesti e accordati senza l’esperimento di azioni giudiziarie.


Nel complesso, entrambe le normative si basano sull’affermazione del principio di presunzione di responsabilità del vettore aereo. Dunque, una volta provato l’inadempimento – o, più esattamente, l’inesatto adempimento – l’imputabilità dello stesso al vettore aereo costituisce oggetto di una presunzione superabile, tanto che si faccia riferimento alla Convenzione di Montreal quanto che si applichi il Regolamento CE, solamente attraverso la prova liberatoria del caso fortuito o della forza maggiore.

L’affermazione della presunzione di colpa del vettore in caso di ritardo o, comunque, inesatto adempimento di un contratto di trasporto aereo di persone era presente, del resto, anche nelle precedenti convenzioni internazionali (Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, artt. 17, 18 e 19, emendata dal protocollo de L’Aja del 28 settembre 1955), di cui questa Corte ha già avuto occasione di occuparsi (Sez. 3, Sentenza n. 20787 del 27/10/2004, Rv. 577848).

Si deve quindi ribadire che rimangono a carico del vettore i danni determinati da causa ignota, mentre il caso fortuito e la forza maggiore, quali fattori estranei all’organizzazione del trasporto, costituiscono causa non imputabile ex art. 1218 c.c. e portano ad escludere la responsabilità del vettore se egli dimostri di non essere riuscito ad impedire l’evento nonostante l’adozione di ogni misura idonea a garantire la puntuale esecuzione del trasporto. Si sottrae alla presunzione di responsabilità solamente il caso della cancellazione (cui può essere equiparato il ritardo pari o superiore a tre ore) tempestivamente prevista e della quale sia stato dato avviso al passeggero nel rispetto dei termini di cui all’art. 5, comma 1, lett. c, del Regolamento.

La presunzione di responsabilità del vettore opera, com’è ovvio, sul piano dell’imputabilità dell’inadempimento, ai sensi dell’art. 1218 c.c., non su quello della prova oggettiva dello stesso. E’ quindi possibile dire che né la Convenzione di Montreal, né il Regolamento CE n. 261/2004 contengono alcuna regola specifica in tema di onere della prova dell’inadempimento (negato imbarco o cancellazione del volo) o dell’inesatto adempimento (ritardato arrivo rispetto all’orario previsto).

L’assenza di una norma speciale, impone di far riferimento ai criteri ordinari di riparto dell’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c., e alla giurisprudenza di questa Corte stratificatasi, con plurime pronunce, senza più incertezze dal noto arresto delle Sezioni unite del 2001.

Costituisce, infatti, oramai vero e proprio ius receptum il principio di diritto secondo cui, in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento (Sez. U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001, Rv. 549956; fra le più recenti, Sez. 3, Sentenza n. 826 del 20/01/2015, Rv. 634361; Sez. 1, Sentenza n. 15659 del 15/07/2011, Rv. 618664)”.

Dunque, facendo applicazione di tali regole nel caso in esame, la Corte di Cassazione conclude che va affermato il seguente principio: “il passeggero che agisca per il risarcimento del danno derivante dal negato imbarco o dalla cancellazione (inadempimento) o dal ritardato arrivo dell’aeromobile rispetto all’orario previsto (inesatto adempimento), deve fornire la prova della fonte (negoziale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, ossia deve produrre il titolo o il biglietto di viaggio o altra prova equipollente, potendosi poi limitare alla mera allegazione dell’inadempimento del vettore. Spetta a quest’ultimo, convenuto in giudizio, dimostrare l’avvenuto adempimento, oppure che, in caso di ritardo, questo sia stato contenuto sotto le soglie di rilevanza fissate dall’art. 6, comma 1, del Regolamento CE n. 261/2004″.

All’affermazione di tale principio – chiarisce infine l’ordinanza – non è d’ostacolo il principio c.d. di “prossimità della prova”, poiché, nei rapporti fra passeggero e vettore aereo è vero semmai il contrario. Mentre il passeggero di regola non ha disponibilità di una prova diretta del ritardo dell’aeromobile su cui viaggiava (tranne, in ipotesi, la riproduzione fotografica dei tabelloni informativi dell’aeroporto), il vettore aereo – che opera in un regime di controllo e verifica, da parte delle autorità aeroportuali, del tracciato aereo di ogni volo – ha agevole facoltà di accesso alla prova ufficiale dell’orario esatto in cui il veicolo è atterrato.

Non risulta indicativo, infine, neppure il tenore testuale del già citato art. 5, comma 4, del Regolamento, a mente del quale “l’onere della prova, per quanto riguarda se e quando il passeggero è stato avvertito della cancellazione del volo, incombe al vettore aereo operativo”. La norma, infatti, risulta perfettamente allineata a quanto disposto dall’art. 2697 c.c. trattandosi di fatto estintivo dell’altrui pretesa, che va dunque provato da chi lo eccepisce.

A contrario, si potrebbe osservare che, proprio perché altrimenti la norma sarebbe superflua, dovrebbe affermarsi indirettamente l’esistenza in subiecta materia di un principio opposto a quello generale, con conseguente collocamento dell’onere della prova dell’inadempimento in capo all’attore. Un simile ragionamento, tuttavia, sarebbe basato su un argomento non decisivo, né convincente, anche perché non terrebbe conto della circostanza che la disciplina comunitaria, volta ad assicurare l’omogeneo trattamento della posizione del passeggero in tutti gli Stati membri, è ben possibile che ponga talune regole coincidenti con quelle dell’ordinamento interno di uno Stato membro e divergenti da quelle di un altro. La sovrapponibilità del criterio contenuto nell’art. 5, comma 4, del Regolamento ai principi generali in tema di onere della prova di cui l’art. 2697 c.c., non è quindi indicativa della necessità di configurare una ricostruzione sistematica alternativa.

Il vettore aereo sostiene che al caso di specie non potrebbe applicarsi l’art. 2697 c.c., non versandosi in ipotesi di responsabilità contrattuale, bensì di una responsabilità sui generis, come si dovrebbe ricavare dalla circostanza che tale responsabilità può farsi valere anche nei confronti del vettore di fatto. La difesa si espone a molteplici critiche, ciascuna delle quali decisiva. Fra le varie, è assorbente la considerazione che, pure nel caso di “vettore di fatto”, che poi sarebbe un mero sub-vettore, la responsabilità nei confronti del passeggero è di natura contrattuale, basandosi o sul rapporto di subvezione quale contratto per conto a favore di terzi, o, in subordine, su un rapporto contrattuale di fatto.

Il controricorrente sostiene, inoltre, che nella specie non vi sarebbe stato inadempimento, in quanto le Condizioni generali, approvate dal passeggero al momento dell’acquisto del biglietto, aereo prevedono che gli orari non sono garantiti e non costituiscono parte del contratto di trasporto. La questione è carente di autosufficienza. Infatti, non vi è alcuna evidenza dell’effettivo contenuto delle Condizioni generali, né che le stesse siano state mai acquisite agli atti del processo. Peraltro, trattandosi di una eccezione relativa all’oggetto del contratto, il vettore avrebbe dovuto dimostrare di averla tempestivamente formulata nel corso del giudizio di merito. In ogni caso, una simile clausola di esonero del vettore dalla responsabilità prevista dalle convenzioni internazionali sarebbe nulla, in quanto in contrasto con norme imperative, o quantomeno vessatoria, sicché occorrerebbe la dimostrazione della prova della specifica approvazione per iscritto.

Né vale osservare che, in tal modo, si penalizzerebbe il convenuto che restasse contumace. Infatti, se è vero che la contumacia in sè non ha un significato diretto sul piano probatorio, è pur vero che, ove si faccia questione dell’inadempimento di un’obbligazione, il convenuto, che è tenuto a provare di aver regolarmente adempiuto al proprio debito, non può pretendere di sottrarsi all’onere che grava su di lui, adducendo a proprio discarico la scelta – per l’appunto, processualmente neutra – di restare contumace. La contumacia del convenuto, pertanto, non ha significato di prova diretta dell’inadempimento; comporta, semmai, il difetto di prova rispetto a un fatto estintivo del diritto di controparte; fatto che, ai sensi dell’art. 2697 c.c., deve essere provato dal convenuto”.

In base a queste considerazioni, la Cassazione ritiene pertanto che “vada cassata la decisione del Tribunale di Roma, secondo cui l’onere della prova dei ritardo dell’aeromobile spettava a (omissis…)”. “Non è condivisibile, in particolare, l’argomento secondo cui a una simile conclusione dovrebbe pervenirsi considerando che, altrimenti, non si comprenderebbe il senso della prova liberatoria. Quest’ultima, come s’è già detto, opera sul piano della imputabilità soggettiva dell’inadempimento, ai sensi dell’art. 1218 c.c., mentre il problema dell’onere della prova sta sul piano del fatto oggettivo costituito, a seconda dei casi, dal negato accesso, dalla cancellazione del volo o dal ritardato arrivo.

Sono dunque erronee anche le conclusioni cuì è pervenuto il giudice d’appello. Non è vero che il passeggero deve dimostrare, e non semplicemente allegare, l’inadempimento del vettore, la cui responsabilità poi si presume, salva la prova liberatoria. Al contrario, il passeggero deve dimostrare solamente la fonte del proprio diritto e può limitarsi ad allegare l’inadempimento del vettore, il quale potrà difendersi su due piani differenti: o dimostrando che l’inadempimento non vi è stato o che, se v’è stato, non ha superato (in caso di ritardo) le soglie di rilevanza fissate dal Regolamento CE; oppure, dimostrando che l’inadempimento, pur essendosi obiettivamente consumato, è dipeso da forza maggiore o da caso fortuito, che rendono il fatto non imputabile al suo autore”.

La sentenza impugnata è stata quindi cassata con rinvio al Tribunale di Roma, in funzione di giudice di appello, affinché, “attenendosi al principio di diritto sopra formulato in tema di onere della prova, valuti la fondatezza nel merito della domanda del ricorrente e l’eventuale diritto risarcitorio dello stesso”.

 

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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