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Il comportamento imprudente e colposo del lavoratore vittima di un incidente sul lavoro rileva soltanto laddove il legale rappresentante dell’impresa o il suo preposto alla sicurezza abbia adottato tutte le misure di prevenzione previste, che comprendono tanto le dotazioni tecniche quanto una formazione adeguata alla mansione affidata al dipendente.

Riaffermando con forza questo principio che ribadisce gli obblighi in capo ai datori di lavoro, la Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 37699/21 depositata il 19 ottobre 2021, ha confermato la responsabilità per omicidio colposo dell’amministratore delegato di una società di trasporti per la morte del dipendente assegnato alla guida di mezzi articolati perché non aveva dotato il lavoratore dei cunei frenanti da apporre alle ruote nel momento di scarico dei materiali di notevole peso.

 

Datore di lavoro condannato per omicidio colposo per un tragico infortunio a un camionista

La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza del 19 gennaio 2028, confermando peraltro la decisione di primo grado del Tribunale di Vicenza, aveva condannato per il reato di omicidio colposo  il presidente del Consiglio di Amministrazione della Fasoli Trasporti s.r.l., per non aver appunto fornito i cunei blocca-ruote a un autoarticolato; per non aver provveduto affinché due lavoratori alle dipendenze della sua azienda, con mansioni di conducenti di autoarticolati (e con attrezzature che richiedevano, per il loro impiego, conoscenze e responsabilità particolari in relazione ai loro rischi specifici), ricevessero una formazione, informazione ed addestramento adeguati e specifici, tali da consentire l’utilizzo dei veicoli in modo idoneo e sicuro, anche in relazione ai rischi che potevano essere causati ad altre persone; per non non avere comunque adottato le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, erano necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro.

Il tribunale berico era giunto ad un giudizio di responsabilità sulla base delle risultanze dell’istruttoria dibattimentale, dalle quali era emerso che uno dei due camionisti, alla guida dell’autocarro in questione con cui venivano trasportate quattro lastre di cemento armato del peso di 258 quintali, aveva parcheggiato lungo una rampa di accesso di pendenza superiore al 12%, all’interno del cantiere in cui si trovava anche il suo collega, la vittima, conducente anch’egli di un camion da rimorchio caricato, a sua volta, di lastre.

Sceso dal mezzo, il conducente dell’autocarro aveva iniziato le operazioni di scarico del materiale, mentre la vittima, posto tra la parte posteriore della cabina e la parte anteriore del semirimorchio, era intento a controllare una perdita d’aria che aveva notato nel mezzo del collega. Dopo aver staccato il semigiunto collegato alla tubazione flessibile gialla del semirimorchio (azione che ne provoca la “sfrenatura”), camion e rimorchio si erano messi in movimento verso lo scivolo, percorrendo tutta la rampa e andando ad urtare l’autogru che si trovava al termine della rampa stessa. A seguito dell’urto, il carico di travi scivolava in avanti, investendo il lavoratore intento a controllare la perdita d’aria, che era rimasto schiacciato tra la parte posteriore della motrice e il carico del semirimorchio, riportando lesioni che ne avevano causavano il decesso.

Il giudici avevano osservato che l’azione improvvida della vittima, consistita nel distacco della linea gialla moderabile che ha determinato la messa in movimento del mezzo, andava attribuita ad un difetto nella formazione del dipendente, che non era consapevole delle conseguenze della propria manovra, mentre il suo collega non era adeguatamente addestrato sulle modalità di parcheggio in sicurezza del mezzo.

Era stato poi – soprattutto – accertato che il camion era privo di cunei blocca-ruote come da manuale di istruzioni, mentre i travetti utilizzati di dieci centimetri per dieci erano del tutto inidonei allo scopo. In definitiva, era stato riscontrato un grave difetto di formazione del personale dipendente sull’utilizzo di mezzi di notevoli dimensioni che, se compiuta, avrebbe impedito l’evento. E a tal fine non era stato ritenuto sufficiente il superamento dell’esame di abilitazione alla guida di tali mezzi, spettando la formazione specifica al datore di lavoro.

 

Il titolare ricorre per Cassazione ascrivendo tutta la colpa all’imprudenza del suo dipendente

Il quale tuttavia ha proposto ricorso anche per cassazione sulla scorta di due motivi di doglianza. Secondo il ricorrente, dall’istruttoria sarebbe in realtà emerso che la causa del tragico infortunio era ascrivibile unicamente alla vittima che aveva, come detto, autonomamente azionato la leva gialla della linea d’aria atta a “sfrenare” il veicolo, con una condotta abnorme ed imprevedibile che sarebbe stata da sola sufficiente a determinare l’incidente, interrompendo quindi il nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento, con conseguente insussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato.

Ma per la Suprema Corte il ricorso è infondato. Gli Ermellini ricordano per l’ennesima volta che “le prescrizioni poste a tutela del lavoratore sono intese a garantire l’incolumità dello stesso anche nell’ipotesi in cui, per imprudenza, disaccortezza, stanchezza, inosservanza di istruzioni, malore od altro, egli si sia venuto a trovare in situazione di particolare pericolo. Le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione propria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità, intrinsecamente connaturali all’esecuzione di talune attività lavorative, anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali imprudenze e disattenzioni dei lavoratori, la cui incolumità deve essere sempre protetta con appropriate cautele”.

 

Datore di lavoro “scagionato” solo in caso di condotta “esorbitante” del lavoratore

Dunque, soltanto nell’ipotesi in cui il lavoratore ponga in essere “una condotta inopinabile, imprevedibile, esorbitante dal procedimento di lavoro ed incompatibile con il sistema di lavorazione”, ovvero che si concretizzi nella “inosservanza, da parte sua, di precise disposizioni antinfortunistiche”, “è configurabile la colpa dell’infortunato nella produzione dell’evento, con esclusione, in tutto o in parte, della responsabilità penale del datore di lavoro.

La Cassazione spiega quindi quando il comportamento colposo del lavoratore possa ritenersi abnorme e idoneo ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo o mortale: “è necessario non tanto che esso sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia”. E aggiunge che, in tema di infortuni sul lavoro, non integra il comportamento abnorme il compimento da parte del lavoratore “di un’operazione che, seppure imprudente, non risulti eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo.

Secondo il “dictum” della Corte di legittimità, dunque, il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell’obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità “solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest’ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro”.

 

Per essere esente da colpe, il datore deve aver osservato tutte le cautele

Ma i giudici del Palazzaccio ribadiscono, soprattutto, che “nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro e di coloro che rivestono una posizione di garanzia rispetto alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, può essere attribuita al comportamento negligente o imprudente del medesimo lavoratore infortunato, quando l’evento sia da ricondurre comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente”.  Infatti, come già precisato, le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, “anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni”.

Venendo quindi al caso specifico, secondo gli Ermellini le considerazioni svolte in sede di merito nel procedimento in oggetto “si collocano appieno nell’alveo di tale orientamento, in riferimento alla valenza esimente da assegnare alla condotta colposa posta in essere dal lavoratore, rispetto al soggetto che versa in posizione di garanzia”. Infatti, sottolinea ancora la Cassazione, se è vero che il distacco del semigiunto collegato alla tubazione flessibile gialla del semirimorchio, da parte del lavoratore deceduto, ha provocato la sfrenatura del semirimorchio del collega, “tale condotta, nell’ambito di una sinergia tra i due conducenti dei mezzi, tale da giustificare un’ingerenza da parte del collega che si era accorto della perdita d’aria, non risulta totalmente esorbitante ed imprevedibile per il datore di lavoro, il quale avrebbe dovuto fornire i cunei blocca/ruote e i manuali di istruzione sulla frenatura dei veicoli in condizioni di sicurezza, giacché era prevedibile che, per lo scarico della merce, i predetti mezzi dovessero essere posizionati in cantieri con rampe o pendenze del terreno”.

 

Nessuna esimente per “colpa concorrente”, se sono violate le prescrizioni antinfortunistiche

Pertanto, l’eventuale “colpa concorrente” del lavoratore non può spiegare “alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili, come è avvenuto nel caso di specie, della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica. Il datore di lavoro può invocare l’imprevedibilità o abnormità del comportamento del lavoratore e, quindi, indicare questo comportamento come causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento soltanto qualora sia in grado di provare in modo certo e irrefutabile di avere fatto tutto ciò che la legge gli impone in materia antinfortunistica perché l’incolumità del lavoratore venga assicurata”.

Al contrario, conclude la Suprema Corte, “non potrà mai eccepire che l’infortunio si è verificato per un comportamento imprevedibile del lavoratore allorché, come nel caso in disamina, gli si possa fondatamente rimproverare di non aver adempiuto a quei doveri impostigli dalla legge che mirano, appunto, a scongiurare la verificazione di eventi lesivi quand’anche dovuti a comportamenti imprudenti o avventati dell’infortunato”.

Il profilo di colpa dell’imputato, dunque, secondo la Cassazione, è stato correttamene ravvisato dai giudici di merito “nell’aver omesso di munire i mezzi, come invece avrebbe dovuto, di manuali di istruzione e di cunei blocca-ruote la cui apposizione avrebbe sicuramente scongiurato il tragico evento”: ergo, ricorso rigettato e condanna confermata.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Infortuni sul Lavoro

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