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I messaggi WhatsApp sono a tutti gli effetti prove documentali ai sensi dell’art. 234 del codice di procedura civile e come tali sono utilizzabili in un giudizio. Con la sentenza n. 39529/22 depositata il 19 ottobre 2022 la Cassazione, in linea con l’evoluzione informatica della società moderna, ha riaffermato un orientamento ormai consolidato,

Imputato condannato per reati finanziari contesta la produzione in giudizio di wa

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 2021, confermando peraltro il verdetto emesso nel 2018 dal Tribunale meneghino, aveva condannato un uomo per il reato di indebito utilizzo di strumenti di pagamento, di cui all’art. 493 ter cod. pen. 1. L’imputato aveva però proposto ricorso per Cassazione adducendo, tra i motivi di doglianza, la violazione di legge in relazione all’art. 234 cod. proc. pen. quanto all’acquisizione e utilizzazione dei messaggi WhatsApp, sostenendo che i messaggi prodotti, in assenza dell’apparecchio cellulare e non essendo stati ritualmente estratti dallo stesso facendone la cosiddetta copia forense, sarebbero stati inutilizzabili e non avrebbero potuto pertanto essere posti a fondamento della decisione.

I messaggi Whatsapp hanno natura di documenti, per acquisirli basta la prova fotografica

Ma la Cassazione li ha tuttavia rigettato sia questa sia le altre doglianze come manifestamente infondate. “Con specifico riferimento all’utilizzabilità dei messaggi WhatsApp, peraltro oggetto della testimonianza resa dalla persona offesa, infatti – spiegano gli Ermellini – la Corte territoriale si è conformata alla più recente giurisprudenza di legittimità per la quale, in tema di mezzi di prova, i messaggi “whatsapp” e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza di cui all’art.254 cod. proc. pen.”.

E per utilizzarli non è necessario il sequestro del cellulare

Qualora non sia in corso un’attività di captazione delle comunicazioni, d’altro canto, prosegue la Suprema Corte, “il testo di un messaggio sms, fotografato dalla polizia giudiziaria sul display dell’apparecchio cellulare su cui esso è pervenuto, ha natura di documento la cui corrispondenza all’originale è asseverata dalla qualifica soggettiva dell’agente che effettua la riproduzione, ed è, pertanto, utilizzabile anche in assenza del sequestro dell’apparecchio“.

Senza poi contare, conclude la sentenza, che i medesimi messaggi “erano stati scaricati sul pc dalla persona offesa così che l’utilizzabilità del contenuto degli stessi è anche conseguenza della riconosciuta attendibilità delle dichiarazioni accusatorie dalla stessa rese”.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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