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Dopo sette anni di battaglia le due donne hanno visto accolte le loro ragioni dal Tribunale di Venezia, che ha riconosciuto la lesione del “diritto inviolabile al culto per i defunti

L’urna c’era, i resti della cara estinta sono stati colpevolmente persi e dispersi e ora l’impresa responsabile dovrà risarcire le congiunte del grave danno morale arrecato loro. Con una sentenza che farà rumore, depositata il 6 settembre, e che rende giustizia a una battaglia lunga quasi sette anni, il giudice della seconda sezione civile del Tribunale di Venezia, dott. Alessandro Cabianca, ha condannato una società cooperativa di Palmanova (Ud), la Art.co Servizi, che all’epoca aveva in appalto dal Comune di Mira la gestione dei cimiteri, a rifondere 20mila euro ciascuna a due sorelle miresi, Annalisa e Renata Cagnin, per aver negligentemente e irrimediabilmente smarrito le ceneri della loro mamma. Il “fattaccio”, che allora aveva fatto scalpore finendo nei media nazionali, è accaduto il 29 dicembre 2015 in occasione dell’esumazione della salma del padre delle signore Cagnin, Gino, sepolto nel cimitero di Gambarare e nella cui tomba a terra, protetta da un pozzetto, vi era anche l’urna coi resti della moglie, Livia Bottacin, scomparsa nel 2011 e cremata: urna che le figlie, volendo riunire da subito i genitori in attesa di spostarli entrambi nell’ossario, erano state autorizzate a riporre provvisoriamente lì. Il giorno e all’ora stabiliti per le operazioni Annalisa Cagnin e il marito si erano recati nel camposanto per assistere alle operazioni, ma al loro arrivo gli operai di Art.co avevano già rimosso la lapide, aperto la tomba e scavato la terra con una ruspa, raggiunto e aperto la cassa del padre e recuperato i resti, pronti per essere consegnati ai parenti. Quando però la figlia ha chiesto di avere anche l’urna con le ceneri della madre, gli addetti sono caduti dalle nuvole, sostenendo di non aver visto nulla, sebbene la teca, a forma di pallone ovale, fosse di una certa grandezza e avesse il talloncino del nome sopra, mostrando che la terra era stata scavata e rivoltata e asserendo che ormai era impossibile ritrovarvi qualcosa. Uno degli aspetti della vicenda che più ha amareggiato le due sorelle è che l’azienda ha messo ripetutamente in dubbio la presenza della teca. 

I disperati tentativi della figlie, rivoltesi più volte agli uffici municipali di Mira, di ritrovare le ceneri sono risultati vani: l’urna è stata chiaramente distrutta dalla pala dello scavatore e le ceneri disperse nel terreno. A quel punto le due signore, per fare piena luce sui fatti e le responsabilità e per ottenere giustizia, tramite il responsabile della sede di Dolo Riccardo Vizzi, si sono affidate a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e tutela dei diritti dei cittadini, che ha profuso ogni sforzo per ottenere delle spiegazioni e poi un’assunzione di responsabilità da parte del Comune e della impresa appaltatrice, che si rimpallavano la colpa tra loro, ma anche qui inutilmente: è arrivata solo qualche scusa. Studio3A tuttavia non si è dato per vinto e, nella certezza che le proprie assistite avessero tutte le ragioni del mondo, ha ritenuto di andare fino in fondo e le due donne hanno citato in causa avanti il Tribunale di Venezia sia l’Amministrazione comunale di Mira sia Art.co Servizi, patrocinate dall’avv. Alessandro Menin del Foro di Venezia. E il giudice, dopo una scrupolosa istruttoria, ha accolto in pieno le argomentazioni delle due signore, del loro legale e di Studio3A. In primis, è stato stato provato al di là di ogni ragionevole dubbio che “al momento in cui sono iniziate le operazioni di esumazione l’urna cineraria della signora Bottacin era presente nella tomba del maritoper citare la sentenza, circostanza ampiamente dimostrata dagli atti, ma anche, tra le varie, dalla testimonianza dell’addetta dell’impresa di onoranze funebri che nel 2011 l’aveva materialmente inserita accanto alla bara del signor Cagnin. Ma soprattutto, a confermarlo c’era la nota stessa del Comune di Mira che, comunicando all’impresa il programma delle esumazioni del 29 dicembre 2015, con riferimento alla salma di Gino Cagnin aveva indicato specificamente ci sono anche le ceneri della moglie Bottacin Livia: specificazione, unita ad altri elementi, sulla base della quale il giudice ha ritenuto che l’Amministrazione andasse esente da colpe, “superando” gli obblighi di responsabilità per custodia e vigilanza del cimitero comunque gravanti su cui essa, indipendentemente dall’affidamento dell’appalto dei servizi cimiteriali. 

Non così invece per l’azienda. Dall’istruttoria è infatti emerso che “i dipendenti di Art.co Servizi hanno agito con grave negligenza, provocando la dispersione dell’urnasentenzia il dott. Cabianca. E’ infatti risultato chiaro che il personale che ha eseguito i lavori “non era a conoscenza della presenza dell’urna cineraria”, dunque non era stato messo al correte della circostanza dai titolari, che pure dovevano saperlo per la nota inviata dal Comune. “Per cui – prosegue il giudice – le operazioni di scavo sono procedute senza considerare questa fondamentale circostanza e si sono svolte senza adottare alcuna cautela”. Anche gli operai, che pure avrebbero dovuto essere esperti del settore, tuttavia, ci hanno messo del loro in quanto, “pur potendosi evincere già dalla tomba la presenza dei resti di un’altra persona (accanto alla lapide del signor Cagnin era stata posta sulla destra una pergamena marmorea con il nome e l’immagine della moglie, ndr), hanno utilizzato uno scavatore con pala meccanica di grosse dimensioni, del tutto incompatibile col fine di preservare l’integrità del pozzetto e dell’urna. E il movimento terra è stato di notevoli dimensioni, per cui la circostanza del mancato reperimento di frammenti del pozzetto e dell’urna nonostante le ricerche esperite appare del tutto compatibile con riferimento al mezzo utilizzato e alla quantità di terra rimossa”.

Affermata la piena responsabilità di Art.co, il giudice ha poi chiarito che “l’interesse sotteso alla tutela delle spoglie umane è individuabile nella pietà per i defunti, e il bene giuridico violato è rappresentato da un legittimo interesse etico-sociale diffuso, proprio di ciascun membro della collettività, in quanto radicato nell’umanità in ogni epoca storica e cultura”, ritenendo pertanto, in linea con quanto affermato dall’avv. Menin, che le due sorelle “abbiano subito la violazione del proprio diritto inviolabile al culto per i defunti, estrinsecazione del sentimento di rispetto e di pietas verso le ceneri della congiunta”. Di qui la condanna dell’impresa friulana a risarcire le due signore per il danno morale patito, attraverso la propria compagnia di assicurazione per la responsabilità civile verso terzi, Reale Mutua, con una somma quantificata in 20mila euro per ciascuna di esse, 40mila in tutto. L’azienda è stata altresì condannata a rifondere loro tutte le spese legali per oltre 7mila euro. “I soldi non ci interessavano, il dato di fatto è che non abbiamo più una tomba dover poter portare i fiori a nostra mamma, e questo danno è incalcolabile – commentano Annalisa e Renata Cagnin – Ciò che ci premeva è che fossero finalmente riconosciute e perseguite le responsabilità di chi ha sbagliato e finalmente, dopo tanti anni, ci siamo riuscite”. 

Caso seguito da:

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Dott. Riccardo Vizzi

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