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Anche le operazioni di carico, soprattutto quando si tratta di materiali particolarmente pesanti, vanno effettuate nello scrupoloso rispetto di tutte le misure di sicurezza, viceversa, in caso di infortunio del lavoratore, in genere autotrasportatore, il datore di lavoro dovrà risponderne. Con la sentenza n. 19296/22 depositata il 17 maggio 2022 la Cassazione si è occupata di una delle tipologie di incidente sul lavoro più frequente e anche più tragica.

Un autotrasportatore travolto dai pali di acciaio che stava scaricando

A perdere la vita, nel novembre del 2016, un autotrasportatore sardo di appena 41 anni il quale era stato travolto, in un deposito di pale eoliche nel Sassarese, da pesantissimi pali di acciaio che gli erano piombati addosso non appena aveva aperto il cassone del camion per iniziare e scaricarli. Per quel terribile indicente erano finiti a processo per omicidio colposo in concorso il datore di lavoro e un collega della vittima a cui si importava di aver effettuato un trasporto con un semirimorchio privo dei sistemi di ancoraggio per fissare il carico previsti dalle linee guida europee 2014, anche in violazione dell’art. 164 del codice della strada: carico che, come detto, a seguito della forzatura del blocco meccanico di una delle sponde del mezzo, aveva finito per travolgere il quarantunenne.

Al datore di lavoro si imputa il mancato ancoraggio del carico al pianale del semirimorchio

Alla fine per il Tribunale di Sassari aveva però concluso per un fatto diverso da come inizialmente descritto nell’imputazione e disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero per l’ulteriore corso a carico del solo datore di lavoro. Il giudice infatti, dagli elementi acquisiti, aveva escluso che vi fosse stato un utilizzo per il trasporto del carico di un mezzo inidoneo, essendo in realtà emersa la conformità del semirimorchio alle linee guida e alle prescrizioni: di qui dunque l’assoluzione del collega dell’autotrasportatore. Ma era stato ravvisato un profilo di colpa diverso in capo al titolare dell’azienda per la quale la vittima lavorava, ossia la collocazione del semirimorchio del carico collassato in maniera difforme dalle procedure prescritte, per omesso ancoraggio al pianale: imputazione che in origine non era stata contestata, e che non era neppure riconducibile alla previsione di cui all’art. 164 codice strada, che testualmente si riferiva alla sola inidoneità del mezzo usato per il trasporto.

Nello specifico a ricorrere per Cassazione non è stato l’imputato ma il Pubblico ministero, che ha formulato un unico motivo, deducendo l’esercizio di un potere non attribuito al giudice ai sensi dell’art. 606 lett. a), cod. proc. pen., e rilevando la “abnormità del provvedimento” impugnato, con il quale il Tribunale aveva determinato una regressione di esso, ritenendo un fatto diverso rispetto a quello contestato.

Secondo il Sostituto procuratore si trattava, nella specie, di un fatto nuovo, in presenza del quale il giudice avrebbe dovuto assolvere l’imputato dal fatto ascritto e disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero perché procedesse per il fatto nuovo, ponendo così quell’ufficio in condizioni di impugnare la decisione. A fronte della contestata inosservanza della regola cautelare che imponeva all’imputato di utilizzare un mezzo idoneo al carico, il giudice aveva, infatti ritenuto ipotizzabile la diversa violazione della scorretta collocazione del carico sul mezzo.

Ma per la cassazione il ricorso è inammissibile. La suprema corte ripercorre la logica del provvedimento impugnato, chiarendo come il tribunale, sulla scorta degli elementi fattuali emersi nel processo, avesse ritenuto che il profilo cautelare espressamente contestato all’imputato (l’avere cioè usato un mezzo incapace strutturalmente di contenere il carico) fosse insussistente, in quanto la morte del suo dipendente era riconducibile al concorso di due distinti fattori: un contributo della vittima e, ed è ciò che qui interessa al di là degli aspetti giuridici, la violazione di altra (diversa) regola cautelare da parte del titolare dell’azienda, e cioè la scorretta collocazione del carico sul pianale del mezzo.

 

Il concetto di abnormità

Secondo la Suprema Corte l’ordinanza del giudice non è “ricorribile” in quanto non “abnorme”. Nel concetto di “abnormità”, spiegano i giudici del Palazzaccio, vengono infatti in rilievo due distinti aspetti: “da un lato, il suo carattere strutturale, allorché esso, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale; dall’altro, un profilo funzionale, nel senso che il vizio viene ravvisato quando l’atto, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo, ovvero quando esso provochi indebite regressioni del procedimento, ponendosi in tal caso anche in contrasto con il principio costituzionale di ragionevole durata del processo”.

Ma entrambi i profili, secondo la Cassazione, vanno esclusi. “Il primo infatti va escluso ogni qual volta il provvedimento, quand’anche illegittimo, costituisca esplicazione di un potere riconosciuto dall’ordinamento. Quanto, invece, al profilo strettamente funzionale, può ravvisarsi una indebita regressione del procedimento allorquando l’ordinamento predisponga uno strumento alternativo, ignorato dal giudice oppure quando risulti alterata la ordinata sequenza logico-cronologica degli atti processuali. Ciò premesso, va messa in luce la fondamentale distinzione tra fatto “nuovo” e fatto “diverso”, ai fini di una corretta lettura dell’art. 521 comma 2, cod. proc. pen.: per “fatto nuovo” si intende un fatto ulteriore e autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo thema decidendum, trattandosi di un accadimento naturalisticamente e giuridicamente autonomo; per “fatto diverso”, invece, deve intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato”.

Fatte tali premesse la Suprema Corte chiarisce che deve riconoscersi l’abnormità del provvedimento con cui il giudice, in relazione ad un fatto nuovo accertato in dibattimento, non si limiti ad ordinare la trasmissione degli atti al pubblico ministero relativamente ad esso, ai sensi dell’art. 521, comma secondo, cod. proc. pen., ma determini la regressione dell’intero procedimento, senza pronunciarsi in ordine al fatto originariamente contestato”.

Discorso diverso invece per il “fatto diverso”: per gli Ermellini, “non è impugnabile, neppure sotto il profilo della sua pretesa abnormità, il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento, ritenuto che il fatto sia diverso da quello contestato, abbia disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero, ai sensi dell’art.521, comma 2, c.p.p. E ciò in quanto tale provvedimento non incide sul merito della regiudicanda, sulla competenza del giudice o sulla libertà del giudicabile, ma si risolve in una decisione meramente processuale”.

Nello specifico per la Cassazione si tratta per l’appunto di “fatto diverso”, e la diversità del fatto emerso nel processo, concludono gli Ermellini, “sembra trovare conferma anche nella circostanza che il giudice di legittimità, proprio in materia di responsabilità penale colposa, esclude addirittura la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui la contestazione concerna globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere, agli elementi di fatto contestati, altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa” Dunque, ricorso respinto.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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