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Il Ministero della Salute è responsabile delle malattie, anche gravi, contratte dai pazienti in seguito a trasfusioni di sangue risultato infetto.

E questa responsabilità sussiste anche anche per le trasfusioni eseguite in epoca anteriore alla conoscenza scientifica di questi i virus (HBV, HIV e HCV) e all’apprestamento dei test identificativi (risalenti, rispettivamente, agli anni 1978, 1985, 1988), considerato che già alla dagli anni Sessanta era noto il rischio di trasmissione di epatite virale ed era possibile la rilevazione (indiretta) dei virus, tanto che fin dal 1958 fonti normativi speciali imponevano obblighi specifici di vigilanza e controllo onde evitare che il sangue utilizzato per le trasfusioni e gli emoderivati contenesse tali virus” Com la sentenza n. 21695/22 depositata l’8 luglio 2022, la Cassazione riafferma con forza una serie di ormai consolidati principi a tutela delle migliaia di danneggiati da uno dei fenomeni più gravi per la Sanità italiana, quello del sangue infetto.  

Ministero condannato a risarcire un paziente contagiato da una trasfusione di sangue infetto

Un paziente aveva citato in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli il Ministero della Salute chiedendo il risarcimento del danno subito a seguito di emotrasfusione di unità di sangue infetto avvenuta in occasione di un ricovero per adenocarcinoma dell’endometrio. Il Tribunale, disposta una consulenza tecnica d’ufficio, aveva accolto la domanda, condannando il Ministero al pagamento a titolo risarcitorio al danneggiato della somma di 376.736,00 euro, oltre interessi. 

Il dicastero aveva appellato la decisione, ma, con sentenza del maggio 2020 la Corte d’appello partenopea aveva rigettato il gravame, sostenendo che, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, sussisteva la responsabilità extracontrattuale del Ministero della Salute per l‘omessa vigilanza sulla sicurezza del sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati), anche per fatti antecedenti il 1978, come nello specifico, in forza della vigilanza imposta da un complesso di fonti normative. 

I giudici territoriali avevano chiarito che il Ministero rispondeva ai sensi dell’art. 2043 c.c. per l’omessa vigilanza sui centri emotrasfusionali con riferimento ai danni conseguenti ad epatite e infezioni da HBV, HIV e HCV, contratte dai soggetti emotrasfusi, e aveva altresì osservato che nel caso in oggetto il nesso eziologico fra l’emotrasfusione e l’infezione contratta del virus HCV risultava accertato in sede di procedimento amministrativo per il riconoscimento dell’indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992, conclusione condivisa anche dal Ctu. 

 

Il dicastero alla Salute scarica la colpa sui centro trasfusionali

Il Ministero tuttavia ha proposto ricorso anche per cassazione sulla base di un unico motivo, sostenendo che la sentenza impugnata avrebbe fornito una motivazione apparente, non potendosi intendere, secondo la tesi difensiva, l’obbligo di vigilanza quale garanzia di buona riuscita di ogni trasfusione, e che il potere ministeriale concerneva l‘emanazione di direttive, il rilascio di autorizzazione e la disciplina del settore in generale, mentre gli sarebbe estranea la gestione concreta del servizio di raccolta e di impiego mediante trasfusioni. 

Il ricorrente ha quindi aggiunto di aver fornito fin dal 1990 alle singole strutture operative le direttive necessarie per evitare il contagio, e che quindi la responsabilità per l’omissione dei controlli sul sangue dei donatori andava addebitata alla singola unità operativa che ha effettuato la trasfusione. E ha concluso asserendo che la mera sussistenza del nesso causale fra trasfusione e contagio non sarebbe sufficiente per affermare la responsabilità del Ministero, dovendo invece essere svolto il giudizio controfattuale, che il giudice del merito non aveva svolto, in base al quale accertare se i controlli spettanti al Ministero, ove effettuati, avrebbero evitato il verificarsi dell’evento lesivo. 

Il Il motivo di doglianza tuttavia è inammissibile secondo la Suprema Corte, che con l’occasione ripercorre la giurisprudenza di legittimità sulla delicata questione a tutela dei soggetti rimasti infettati, con gravi pregiudizi per la loro salute. “In tema di patologie conseguenti ad infezioni con i virus HBV, HIV e HCV, contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, il Ministero della salute è responsabile per i danni, provocati dall’omesso comportamento attivo di vigilanza e controllo in ordine alla effettiva attuazione da parte delle strutture sanitarie addette al servizio, di quanto ad esse prescritto al fine di prevenire ed impedire la trasmissione di malattie mediante sangue infetto” premettono gli Erlemmini, citando svariate sentenze in tal senso della stessa Cassazione. 

 

Il Ministero deve rispondere anche per contagi avvenuti negli anni ’60-‘70

I giudici del Palazzaccio sottolineano anche come sia principio altrettanto consolidato quello secondo cui, “in caso di patologie conseguenti ad infezione da virus HBV, HIV e HCV, contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, sussiste la responsabilità del Ministero della salute anche per le trasfusioni eseguite in epoca anteriore alla conoscenza scientifica di tali virus e all’apprestamento dei relativi test identificativi (risalenti, rispettivamente, agli anni 1978, 1985, 1988), atteso che già dalla fine degli anni ‘60 era noto il rischio di trasmissione di epatite virale ed era possibile la rilevazione (indiretta) dei virus, che della stessa costituiscono evoluzione o mutazione, mediante gli indicatori della funzionalità epatica, gravando pertanto sul Ministero della salute, in adempimento degli obblighi specifici di vigilanza e controllo posti da una pluralità di fonti normative speciali risalenti già all’anno 1958, l’obbligo di controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni e gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione della transaminasi”: dunque, confermata in pieno la repsosnabiltià da parte del dicastero alla Salute anche per contagi avvenuti in epoche precedenti. 

La Cassazione ricorda anche che, in caso di patologie contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, “il rapporto eziologico tra la somministrazione del sangue infetto in ambiente sanitario e la specifica patologia insorta viene apprezzato sulla base delle cognizioni scientifiche acquisite al tempo della valutazione, le quali hanno consentito di identificare e nominare le malattie tipiche (HBV, HIV e HCV), ma ciò che rileva ai fini del giudizio sul nesso causale è l’evento obiettivo dell’infezione e la sua derivazione probabilistica dalla trasfusione, a prescindere dalla specificazione della prima in termini di malattia tipica (Cass. n. 17084 del 2017)”.

Il ricorso è stato quindi rigettato con decisa riconferma della responsabilità del Ministero nel contagio e di condanna al risarcimento del paziente. 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Malasanità

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