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Per un utente della strada rimasto vittima di una brutta caduta causata dallo stato precario dell’asfalto è sufficiente produrre anche una fotografia a dimostrazione della situazione dello stato dei luoghi, anche se si tratta di fatto dell’unica prova.

L’ordinanza n. 17947/21 depositata il 23 giugno 2021 dalla Cassazione è significativa non solo per il fatto che ha confermato la condanna di un Comune a risarcire un motociclista rovinato per terra, con gravi conseguenze, a causa di una buca sulla strada, ma anche per le indicazioni fornite in tema di onere probatorio.

 

Provincia e Comune condannati a risarcire un motociclista caduto a causa di una buca

Il danneggiato, con atto del 2009, aveva citato in casa avanti il Tribunale di Chiavari la Provincia di Genova per sentirla condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito del sinistro verificatosi il 15 ottobre 2003 quando, percorrendo di notte la Provinciale 33 in sella al suo ciclomotore, era caduto rovinosamente sull’asfalto a causa di una “buca o avvallamento” del manto stradale. La Provincia si era costituita in giudizio chiamando a sua volta in causa il Comune di Cogorno che, nel periodo in questione, aveva autorizzato l’esecuzione di alcuni lavori di rifacimento del manto stradale, e che non si era costituito.

I giudici, con sentenza del 2012, avevano accolto la domanda, ritenendo provato il nesso causale tra le condizioni della strada, l‘evento lesivo dedotto e l’accadimento ascrivibile al fatto del terzo, condannando la Provincia al risarcimento dei danni e accogliendo la domanda di manleva proposta nei confronti del Comune.

La Provincia aveva quindi appellato la sentenza con atto di citazione del 2012, lamentando l’omesso esame dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva, l’erroneità della motivazione relativa al materiale probatorio, l’errata valutazione dell’efficienza causale del comportamento del danneggiato e contestando anche la quantificazione dei danni, oltre che la liquidazione delle spese processuali. Si erano costituite anche tutte le altre parti in causa, compreso, questa volta, il Comune di Cogorno. Con ordinanza del 25 gennaio 2017 la Corte d’Appello di Genova aveva disposto una consulenza medico legale e, con sentenza del 22 novembre 2018, in parziale riforma della sentenza impugnata, aveva dichiarato la responsabilità de motociclista nella misura del 30% e della Città metropolitana di Genova (già Provincia), nella misura del 70%, con condanna di quest’ultima al pagamento della somma di circa 120mila euro, oltre agli interessi. E aveva condannato il Comune di Cogorno a corrispondere le somme indicate alla Provincia, mettendo in conto a quest’ultima, in via esclusiva, il pagamento delle spese della consulenza medica.

 

L’amministrazione contesta la (sola) prova fotografica

Il Comune, pertanto, ha proposto ricorso per Cassazione. Il motivo di doglianza che più preme è il primo in forza del quale l’Amministrazione comunale sosteneva che la Corte territoriale avrebbe errato nell’affermare la responsabilità della Provincia dando per scontata la sussistenza di una “buca” rispetto alla quale era stato richiesto al consulente tecnico di esprimere un giudizio sulla evitabilità della stessa, nel caso di guida rispettosa del limite di velocità: consulenza che non era stato possibile espletare, in quanto lo stato dei luoghi era mutato. Secondo il Comune ligure, quello raffigurato nella foto esibita dal danneggiato in realtà costituiva un avvallamento e non una buca, e la prova testimoniale non avrebbe consentito di individuare con esattezza la dinamica e l’esistenza della buca stessa. Di conseguenza, sarebbe venuta meno anche la prova del nesso causale che incombeva sul motociclista, ma nonostante questa lacuna, ossia la mancanza di prova dell’esistenza della buca e la probabile esistenza di un semplice avvallamento, la Corte avrebbe comunque localizzato tali anomalie della strada vicino al margine destro della carreggiata, pervenendo ad una conclusione assolutamente contraddittoria.

L’Amministrazione comunale, inoltre, ha lamentato il fatto che i giudici di secondo grado, pur dando atto che, se il danneggiato avesse condotto il motociclo al centro della carreggiata, rispettando i limiti di velocità e avvedendosi della scarsa manutenzione della strada, avrebbe certamente evitato la (presunta) buca, alla fine gli avessero limitato il concorso di responsabilità nella sola misura del 30%.

Infine, il Comune ha contestato anche la condanna a manlevare la Provincia. Diversamente da quanto affermato dal giudice di appello, gli interventi descritti nel disciplinare sottoscritto tra la Provincia e il Comune, avrebbero riguardato la “rottura del suolo comunale” in una posizione distante dal luogo dell’incidente, come sarebbe emerso anche dall’esame della planimetria; inoltre, non sarebbero stati eseguiti interventi sul suolo pubblico, ma solo l’apertura dei tombini presenti sul manto stradale e la consegna dei lavori sarebbe avvenuta solo in data successiva al sinistro. Tutti elementi di cui però la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto, con una decisione contraddittoria in quanto, sempre secondo i ricorrenti,  da un lato aveva ribadito che la Provincia di Genova, quale ente proprietario della strada, avrebbe dovuto monitorarne le condizioni, ma dall’altro ne aveva accolto la domanda di manleva proposta nei confronti del Comune.

Per la Suprema Corte, tuttavia, il primo motivo, relativo all’assenza del nesso causale  è infondato. Secondo gli Ermellini, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in materia, riguardo all’onere spettante al danneggiato di dimostrare il nesso causale. “La Corte d’Appello – spiegano infatti i giudici del Palazzaccio – ha affermato che il motociclo era caduto per la presenza di una buca e tale anomalia della strada era rappresentata nella fotografia. Ha precisato che il consulente non ha potuto accertare il posizionamento esatto della buca, evidentemente perché lo stato dei luoghi era mutato dopo l’incidente. Pertanto, non è stato possibile rilevare se la buca rappresentata nella fotografia era posizionata in corrispondenza di un palo della illuminazione pubblica”.

 

La foto era sufficiente a definire con chiarezza il nesso causale tra avvallamento e caduta

La sentenza impugnata, tuttavia, prosegue la Cassazione, “chiarisce successivamente che dalla fotografia si evinceva che più che di una buca si trattava “più propriamente di avvallamento”, che secondo il consulente era stato determinato dalla asperità dell’asfalto dovuta verosimilmente ad una non corretta preparazione del fondo. Era, invece, possibile posizionare la “buca o avvallamento” in prossimità del margine destro della carreggiata”.

Questi elementi, compresa dunque la fotografia, continua la Suprema Corte venendo al cuore del suo pronunciamento, “consentono di definire con chiarezza il nesso causale e rispetto a tali affermazioni le censure del ricorrente sono dedotte in violazione dell’articolo 366, n. 6 c.p.c. e non sono specifiche poiché il Comune avrebbe dovuto dimostrare di avere formulato uno specifico motivo di appello incidentale con riferimento all’esistenza stessa della buca o dell’avvallamento e alla sua efficienza causale, trascrivendo, allegando o localizzando all’interno del fascicolo di legittimità la censura specificamente sottoposta al giudice di secondo grado. Ma tale adempimento non è stato espletato”.

 

La presenza di una strada sconnessa non rappresenta una esimente per l’ente pubblico

Inammissibile poi, a detta degli Ermellini, anche il secondo motivo di doglianza, “poiché riguarda una valutazione in fatto non sindacabile in sede di legittimità atteso che la Corte territoriale ha ragionevolmente chiarito le ragioni in base alle quali ha determinato il concorso del danneggiato nella causazione dell’evento nella misura del 30%”.

La Suprema Corte, tuttavia, entra anche nel merito e sottolinea come la decisione dei giudici di seconde cure sia “rispettosa del principio giurisprudenziale secondo cui la presenza di una strada fortemente sconnessa e piena di avvallamenti non rappresenta di per sé una esimente per l’ente pubblico, atteso che un comportamento disattento dell’utente, non rappresenta una condotta imprevedibile. D’altra parte, portando alle estreme conseguenze il ragionamento opposto, si legittimerebbe il mantenimento delle strade pubbliche in una situazione di incuria e di dissesto al fine di beneficiare di una riduzione o esclusione della responsabilità, facendo ricadere soltanto sull’utilizzatore della strada le conseguenze della mancanza di manutenzione”.

Per la cronaca, è stato respinto anche il motivo che contestava la condanna alla manleva, con conferma in toto della sentenza impugnata.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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