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Se l’assicurazione non intende risarcire sostenendo che l’evento dannoso rientra tra i rischi non compresi nella garanzia è essa stessa a dover fornire la prova in tal senso e non l’assicurato. E’ un’ordinanza estremamente significativa per i diritti, appunto, degli assicurati, spesso e volentieri “calpestati” dai colossi assicurativi, quella, la numero 31251/23, depositata dalla Cassazione, terza sezione civile, il 9 novembre 2023.

Assicurato cita l’assicurazione che non gli indennizza i danni da sovraccarico di neve sulla casa

Ad adire le vie legali era stato il proprietario di un fabbricato rimasto seriamente danneggiato a causa di un sovraccarico di neve il quale, non ottenendo l’indennizzo a suo dire dovuto dalla compagnia di assicurazione con cui aveva assicurato l’immobile, l’aveva citata in giudizio avanti il Tribunale di Macerata chiedendo il risarcimento dei danni stimati in cinquantamila euro.

Domanda respinta, per i giudici non era stato provato che l’immobile rispondesse alle norme

Il giudice di primo grado aveva accolto solo parzialmente la domanda riconoscendo (e condannando l’assicurazione a pagare) un indennizzo di soli 5.580 euro ed escludendo quello, pur contrattualmente dovuto, per i danni subiti dal sistema di filtraggio, nonché dalle parti di tamponatura e plafonatura del fabbricato, e la Corte d’Appello di Ancona, avanti la quale il danneggiato aveva appellato la sentenza di primo grado, con decisione del 2020, aveva addirittura concluso che nulla gli era dovuto in accoglimento dell’appello incidentale della compagnia.

La Corte territoriale, dopo aver richiamato il contenuto di uno degli articoli delle condizioni generali di polizza, l’aveva ritenuta non operativa, in quanto, a fronte dell’eccezione formulata dall’assicurazione, l’assicurato non avrebbe provato la conformità dell’immobile alla normativa vigente relativa al sovraccarico di neve.

Questa conformità, secondo i giudici d’appello, non poteva considerarsi provata né sulla base della documentazione prodotta dal ricorrente (la domanda di condono e la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà), concernente un abuso realizzato attraverso l’ampliamento di un edificio preesistente, e neppure sulla base della consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado.

La quale peraltro, in verità, aveva sì evidenziato che il manufatto oggetto di sanatoria era risultato realizzato artigianalmente, in modo empirico, senza progettazione di alcun genere, ma aveva anche concluso che la sanatoria, sicuramente operante sul piano urbanistico, poteva ritenersi strutturalmente idonea in considerazione del richiamo della legge 724/1994 all’art. 35 I. n. 47/1985 (che prevede l’obbligo di dichiarazione di idoneità statica solo per edifici di volumetria superiore a 450 metri cubi).

 

Il danneggiato contesta l’onere probatorio richiesto in appello

L’assicurato non si è dato per vinto e ha proposto ricorso anche per Cassazione con vari motivi di doglianza circa il nodo centrale della questione, ossia che le condizioni generali di polizza prevedevano l’inoperatività della garanzia nel caso in cui il fabbricato non fosse conforme alle vigenti normative relative ai sovraccarichi di neve, a cominciare dal fatto che i giudici territoriali avessero posto a suo carico l’onere di provare la conformità.

La Suprema Corte gli dà ragione e spiega

E la Suprema Corte gli ha dato ragione piena “bacchettando” la Corte territoriale per non aver fatto corretta applicazione del principio di diritto sancito dalla stessa Cassazione nella sentenza n. 1558/2018, che recita, testualmente: “Nel giudizio promosso dall’assicurato nei confronti dell’assicuratore ed avente ad oggetto il pagamento dell’indennizzo assicurativo è onere dell’attore provare che il rischio avveratosi rientra nei “rischi inclusi” e, cioè, nella categoria generale dei rischi oggetto di copertura assicurativa; tuttavia, qualora il contratto contenga clausole di delimitazione del rischio indennizzabile (soggettive, oggettive, causali, spaziali, temporali), spetta all’assicuratore dimostrare il fatto impeditivo della pretesa attorea e, cioè, la sussistenza dei presupposti fattuali per l’applicazione di dette clausole”.

 

Le clausole di delimitazione del rischio

In questo genere di giudizi, chiariscono meglio gli Ermellini, “il fatto costitutivo della pretesa dell’assicurato è rappresentato dall’avverarsi di un rischio corrispondente a quello descritto nella polizza. Pertanto, l’assicurato, ha l’onere di dimostrare che: a) si è verificato il fatto avverso previsto nella polizza, b) detto fatto sia derivato da una causa prevista dalla polizza, c) detto fatto abbia prodotto gli effetti previsti dalla polizza. Nella prassi commerciale sono frequenti i casi in cui il rischio, previsto nel contratto di assicurazione, sia delimitato, attraverso patti di vario genere che, a seconda delle volontà delle parti e del premio pagato, circoscrivono l’indennizzabilità soltanto ai sinistri derivanti da determinate cause, ovvero ai sinistri consistiti in determinati eventi, od ancora ai sinistri che abbiano prodotto determinati effetti”.

I rischi “inclusi”, “esclusi” e “non compresi”

Per effetto dell’inserimento nel contratto di assicurazione di una di tali clausole (cosiddetta di delimitazione del rischio), i fatti avversi, a cui l’assicurato è teoricamente esposto, possono essere classificati in tre categorie, prosegue nella sua spiegazione la Suprema Corte: i rischi inclusi, cioè quelli per i quali il contratto accorda all’assicurato il pagamento dell’indennizzo; i rischi esclusi, cioè quelli estranei al contratto (per esempio, il rischio di infortuni rispetto ad una polizza che copra la responsabilità civile); i rischi non compresi, cioè quelli che astrattamente rientrerebbero nella generale previsione contrattuale, ma l’indennizzabilità dei quali è esclusa con un patto espresso di delimitazione del rischio (ad esempio, in un contratto di contro i danni da incendio, si esclude l’indennizzabilità degli incendi provocati dal fulmine).

 

E’ l’assicuratore a dover provare che l’evento dannoso rientra tra i “rischi non compresi”

Tale distinzione, proseguono i giudici del Palazzaccio, ha “conseguenze ineludibili sul piano del riparto dell’onere della prova: l’assicurato deve provare che l’evento dannoso verificatosi rientra tra i “rischi inclusi”, in quanto tale circostanza è fatto costitutivo della sua pretesa all’indennizzo; mentre l’assicuratore deve provare che esso rientra fra i rischi “non compresi”, in quanto tale circostanza, essendo un fatto costitutivo dell’eccezione di non indennizzabilità, costituisce un fatto impeditivo della pretesa attorea”.

La non conformità dell’edificio rientrava tra i rischi non compresi frutto di clausole delimitanti

Entrando quindi nel caso in esame, le parti contrattuali, all’art. 1.2.3 (“Sovraccarico di neve”) delle condizioni generali di polizza, avevano chiaramente stabilito, per citarli integralmente, al comma 1 che “la Compagnia indennizza i danni materiali e diretti causati alle cose assicurate da sovraccarico di neve e conseguente crollo totale o parziale del tetto, delle pareti, dei lucernari e serramenti in genere”; al comma 2  che “sono comunque esclusi i danni causati da valanghe, slavine, gelo, ancorché conseguenti ad evento coperto dalla presente estensione di garanzia, nonché ai fabbricati in costruzione od in corso di rifacimento”; al comma 3 che “la garanzia non è operante nel caso in cui il fabbricato non sia conforme alle vigenti norme relative ai sovraccarichi di neve”.

Il comma 1 individuava quindi il rischio assicurato, mentre i commi 2 e 3 rappresentavano clausole di delimitazione del rischio indennizzabile. Pertanto, in applicazione del principio di diritto sopra richiamato, e peraltro anche citato nella sentenza impugnata, fa notare la Cassazione, “la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere da un lato, che fosse onere dell’assicurato provare che il sovraccarico di neve aveva provocato danni materiali e diretti alle cose assicurate (il cosiddetto rischio incluso), e dall’altro, che fosse onere della Compagnia assicurativa provare che, in relazione specificamente alla delimitazione di cui al comma 3, la circostanza che il fabbricato non fosse conforme alle vigenti norme relative ai sovraccarichi di neve (cosiddetto rischio non compreso), trattandosi di fatto impeditivo della pretesa attorea”.

Inoltre, i giudici territoriali si sono discostati dalle conclusioni della Ctu senza motivare

Ma la Suprema Corte ha accolto anche il secondo motivo del ricorso dell’assicurato avanzando anche qui osservazioni interessanti. Con la seconda doglianza il danneggiato aveva censurato la sentenza dei giudici territoriali laddove, nel ritenere che, riportando il passaggio, “l’eventuale operatività dell’esclusione dall’obbligo di dichiarazione di idoneità statica non prova il rispetto della normativa” (che consideravano a tal fine “comunque inconferente”), avevano affermato “che le valutazioni fattuali in proposito espresse dal consulente tecnico d’ufficio non sono supportate da verifiche tecniche documentate e appaiono contraddittorie rispetto alla non meglio precisata carenza nei margini di sicurezza per quanto concerne l’elemento di finitura delle coperture”.

Quando non abbia le cognizioni tecnico-scientifiche necessarie ed idonee a ricostruire e comprendere la fattispecie concreta in esame nella sua meccanicistica determinazione ed evoluzione, pur essendo peritus peritorum, il giudice deve fare invero ricorso a una consulenza tecnica di tipo percipiente, quale fonte oggettiva di prova, sulla base delle cui risultanze è tenuto a dare atto dei risultati conseguiti e di quelli viceversa non conseguiti o non conseguibili, in ogni caso argomentando su basi tecnico-scientifiche e logiche” puntualizza la Suprema Corte. Aggiungendo che il giudice “può anche disattendere le risultanze della disposta Ctu percipiente”, ma lo può faresolo motivando in ordine agli elementi di valutazione adottati e agli elementi probatori utilizzati per addivenire all’assunta decisione, specificando le ragioni per cui ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio”. Nel caso di specie, invece, la Corte territoriale, come si è visto, ha ritenuto di disattendere le conclusioni del perito nominato ad hoc “ma non ha affatto spiegato le ragioni per le quali le stesse dovessero considerarsi scientificamente erronee”.

La sentenza è stata pertanto cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Ancona, che in diversa composizione, dovrà procederà a nuovo esame, facendo però corretta applicazione del principio richiamato.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Consulenze Contrattuali

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