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Quando si verifica un incidente stradale con esito mortale, oltre al dolore immenso per la perdita di una persona cara, i familiari si trovano a dover affrontare una serie di questioni legali, assicurative e burocratiche spesso complesse e opprimenti. In questi momenti di estrema difficoltà emotiva, è fondamentale sapere che la legge italiana tutela i superstiti della vittima, riconoscendo loro il diritto a un risarcimento per i danni subiti a seguito del decesso del proprio congiunto.

Tuttavia, capire chi ha effettivamente diritto al risarcimento, quali danni vengono riconosciuti, quali prove devono essere fornite, e quali sono i tempi e le modalità per agire non è sempre semplice. Le norme coinvolte sono articolate, le dinamiche degli incidenti spesso complesse da ricostruire, e le compagnie assicurative non sempre sono disposte a riconoscere integralmente i danni patiti dai familiari. In questo contesto, rivolgersi a un team di esperti come Studio3A può fare una differenza decisiva nel far valere i propri diritti in modo pieno, tempestivo ed efficace.

Cosa prevede la legge in caso di incidente mortale: il quadro normativo

In Italia, la materia è regolata principalmente dal Codice Civile, in particolare dagli articoli 2043 e 2059, che sanciscono il principio generale del risarcimento del danno ingiusto, e dal Codice delle Assicurazioni Private (D.Lgs. 209/2005), che disciplina il risarcimento da responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore. Inoltre, entrano in gioco la giurisprudenza consolidata e le cosiddette tabelle del Tribunale di Milano, utilizzate per la quantificazione del danno da perdita del rapporto parentale, oggi adottate su scala nazionale.

Il risarcimento dei danni a seguito di un incidente mortale si basa sull’assunto che la morte di una persona cara costituisca un danno non solo morale, ma anche patrimoniale per i congiunti, i quali possono subire un grave pregiudizio economico (soprattutto se la vittima contribuiva al reddito familiare) e un trauma psichico ed emotivo profondo.

L’obbligo risarcitorio ricade generalmente sulla compagnia assicurativa del veicolo ritenuto responsabile del sinistro, ma nei casi più gravi può anche configurarsi una responsabilità penale per l’automobilista, ad esempio per omicidio stradale (art. 589-bis c.p.), con implicazioni rilevanti anche in sede civile.

 

Chi ha diritto al risarcimento? L’elenco dei soggetti legittimati

Una delle domande più frequenti che ci viene posta è: “Chi può essere risarcito in caso di incidente mortale?” La risposta dipende dal tipo e dall’intensità del legame affettivo con la vittima, e in parte dalla convivenza, anche se non è un requisito indispensabile.

Secondo la normativa vigente e la consolidata interpretazione dei tribunali, hanno diritto al risarcimento:

  • Il coniuge della vittima, anche se legalmente separato ma non divorziato;
  • I figli della vittima, siano essi legittimi, naturali, adottivi o anche solo riconosciuti;
  • I genitori, in particolare se anziani o economicamente dipendenti dalla vittima;
  • I fratelli e le sorelle, a condizione che possano dimostrare un legame affettivo significativo;
  • I nonni e i nipoti, in presenza di rapporti stretti e dimostrabili;
  • Il convivente more uxorio, ovvero il partner non sposato ma con una convivenza stabile e duratura.

Il criterio centrale è quello del danno da perdita del rapporto parentale, che si fonda sulla sofferenza psicologica causata dalla scomparsa della persona cara. Non è quindi necessario essere conviventi o economicamente dipendenti per avere diritto al risarcimento, ma ogni elemento che dimostri l’intensità del rapporto affettivo rafforza la posizione del richiedente.

La giurisprudenza ha inoltre aperto alla possibilità che anche soggetti non legati da vincoli di sangue, come un tutore legale, un figlio affidatario o un compagno di lunga data, possano ottenere un risarcimento, se provano un legame affettivo profondo, stabile e duraturo con la vittima.

 

Il caso particolare del convivente more uxorio

Un aspetto particolarmente rilevante e spesso sottovalutato riguarda la posizione del partner non sposato della vittima. La legge italiana non equipara formalmente il convivente al coniuge, ma la Corte di Cassazione, con numerose sentenze, ha ribadito che il diritto al risarcimento spetta anche al convivente di fatto, purché sia possibile documentare una convivenza stabile, pubblica e duratura.

Ciò può essere provato attraverso:

  • iscrizione nello stato di famiglia;
  • contratto di convivenza (se registrato);
  • documentazione condivisa: bollette, conto corrente, affitti, proprietà immobiliari in comune;
  • testimonianze di amici, parenti, colleghi;
  • presenza di figli comuni.

Il convivente ha dunque diritto al risarcimento per danno morale e patrimoniale, esattamente come un coniuge, se dimostra un rapporto affettivo solido e una condivisione di vita con la vittima.

 

Chi non ha diritto al risarcimento?

Restano generalmente esclusi dal risarcimento i soggetti che non riescono a dimostrare un legame stretto con la vittima. Ad esempio:

  • amici occasionali;
  • conoscenti;
  • parenti lontani (come cugini, zii) in assenza di un legame affettivo forte e documentabile.

Tuttavia, non è impossibile che anche figure “esterne” ottengano un risarcimento in via eccezionale, se in grado di fornire prove sufficienti. Il riconoscimento in questi casi è demandato alla valutazione del giudice, e il supporto di uno studio legale esperto diventa indispensabile.

 

Quali danni vengono risarciti?

1. Danno morale o da perdita del rapporto parentale

È il risarcimento principale e riguarda il dolore e la sofferenza derivanti dalla perdita di una persona cara. L’importo varia in base alla relazione con la vittima, alla convivenza, all’età, alla qualità del legame affettivo. Le tabelle del Tribunale di Milano costituiscono il riferimento principale per la quantificazione.

2. Danno patrimoniale

Comprende:

  • Perdita di contribuzione economica: ad esempio, se la vittima sosteneva economicamente il nucleo familiare.
  • Spese funerarie e mediche: rimborsabili in misura documentata.
  • Mancato reddito futuro: per esempio, in caso di morte di un genitore che manteneva figli minorenni.

3. Danno tanatologico (alla vittima stessa)

Se tra l’incidente e la morte intercorre un tempo apprezzabile, è risarcibile anche il danno biologico terminale e il danno morale subito dalla vittima stessa, che verrà trasmesso agli eredi. Leggi il nostro approfondimento sul risarcimento dei danni iure hereditatis nell’incidente stradale mortale.

 

Come si ottiene il risarcimento?

È fondamentale stabilire chi è il responsabile del sinistro. Questo può avvenire tramite:

  • Verbale delle Forze dell’Ordine
  • Testimonianze
  • Perizie cinematiche e ricostruzioni

I familiari devono inviare una richiesta risarcitoria formale alla compagnia assicurativa del veicolo responsabile. È consigliabile allegare tutta la documentazione utile: certificato di morte, stato di famiglia, prova del legame affettivo, spese sostenute, ecc.

Affidarsi a un team specializzato – come Studio3A – permette di ottenere una corretta valutazione dei danni, evitare errori e garantire il massimo risarcimento possibile, anche attraverso l’eventuale causa civile o mediazione.

La procedura può durare da pochi mesi a diversi anni, a seconda della complessità del caso. Tuttavia, la compagnia assicurativa è obbligata a fornire una risposta entro:

  • 90 giorni dalla ricezione della richiesta completa
  • 60 giorni in caso di risarcimento diretto

Il diritto al risarcimento si prescrive in 2 anni dal giorno del sinistro, ma in caso di omicidio stradale (reato), il termine può essere più lungo. È fondamentale agire con tempestività.

 

Perché affidarsi a Studio3A

Studio3A è un punto di riferimento nazionale nella gestione di sinistri mortali. Offriamo:

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Contattaci subito: la consulenza è gratuita e può fare la differenza tra un risarcimento parziale e uno completo.

Scritto da:

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Emanuele Musollini

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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