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Chi guida deve sempre assicurarsi che le persone che trasporta indossino regolarmente la cintura di sicurezza, viceversa, in caso di incidente, è responsabile e deve rispondere di tale omissione. A riaffermare con forza quest’obbligo in capo ai conducenti dei veicoli la Cassazione, quarta sezione penale con la sentenza n. 39136/22 pubblicata il 18 ottobre 2022.

Pesante condanna a un giovane automobilista per omicidio stradale con aggravanti

Il giovane conducente di un’auto responsabile di una tragica uscita di strada era stato riconosciuto colpevole, con relativa pesante condanna da parte del Gup del Tribunale di Udine all’esito di giudizio con rito abbreviato, per i reati di omicidio stradale con le aggravanti di aver procurato lesioni gravi anche ad altre persone e di essersi messo alla guida in stato di ebbrezza (con un tasso alcolemico accertato di 0,94 grammi per litro).

Gli si imputava di avere tenuto una velocità oltre i limiti e non commisurata allo stato dei luoghi, di avere (appunto) omesso di far sì che i passeggeri, ed in specie la trasportata seduta sul sedile anteriore, indossassero le cinture di sicurezza, nonché in generale imprudenza, negligenza e imperizia, anche dovuta ad un probabile colpo di sonno, in considerazione dell’assenza di tracce di frenata e riconducibile all’ora tarda in cui si era messo al volante, e per di più, allo stato di alterazione psicofisica, e di aver in questo modo causato la morte della passeggera anteriore, determinata da lesioni cranioencefaliche, da plurime fratture tra cui quella del rachide cervicale, nonché pesanti politraumi anche a due persone trasportate sui sedili posteriori, per prognosi in entrambi i casi ben superiori ai 40 giorni. Il drammatico sinistro (in foto) era avvenuto il 26 maggio 2019 lungo la Strada Regionale 353 alla progressiva chilometrica 23+660 nel territorio del comune di Castions di Strada. L’imputato, che si trovava alla guida di una Renault Clio, per la forte velocità tenuta e stimabile all’incirca in 105 km/h, aveva perso il controllo del mezzo fuoriuscendo autonomamente dal lato destro dalla sede stradale, compiendo un “volo” di quasi 18 metri e terminando la sua folle corsa contro un terrapieno: a seguito del tremendo urto, purtroppo, come detto la passeggera seduta sul sedile anteriore aveva battuto violentemente il capo tra il montante anteriore destro ed il cielo interno dell’auto, con conseguenze fatali.

In secondo grado la Corte di Appello di Trieste, con sentenza del 2021, aveva sostanzialmente confermato il verdetto di primo grado emesso nel 2020, riformandolo esclusivamente per il riconoscimento all’imputato dell’attenuante di cui all’art. 589 bis comma 7 del codice penale e rideterminando quindi leggermente la pena inflitta in anni tre e mesi otto di reclusione: i giudici territoriali avevano cioè riconosciuto un (lieve) concorso di colpa della vittima nel non aver allacciato la propria cintura.

 

L’imputato ricorre in cassazione chiedendo una riduzione più sensibile

L’imputato ha quindi proposto ricorso per Cassazione lamentando proprio che i giudici di appello, pur a fronte di questo riconosciuto concorso della gravità – a suo dire – della colpa della vittima e dell’efficacia causale che quest’omissione avrebbe avuto sul tragico evento, avrebbe operato una riduzione sulla pena base (poi ulteriormente ridotta di un terzo per la scelta del rito abbreviato) di appena un decimo, da cinque anni a quattro anni e sei mesi, una misura secondo la sua tesi difensiva incongrua, dato che tale riduzione sarebbe stata potenzialmente estensibile sino alla metà della pena stessa.

Punta sul concorso di colpa della vittima che non si era allacciata la cintura

Il ricorrente ha censurato le conclusioni della Corte d’appello laddove aveva qualificato la condotta della passeggera deceduta come di “minima incidenza” rispetto al suo grado di colpevolezza, evidenziando come non fosse stato dato alcun peso alla modalità con cui la vittima non aveva allacciato la cintura di sicurezza: non si sarebbe infatti limitata a non indossarla, ma l’avrebbe passata dietro la propria schiena, agganciandone i terminali e impedendo in questo modo l’attivazione del segnale luminoso sul cruscotto del veicolo, nonché l’emissione del tipico suono che avrebbe segnalato al guidatore il mancato utilizzo del presidio di sicurezza del passeggero e che sarebbe perdurato sino a quando questi l’avesse effettivamente allacciata. Questa particolare condotta, ad avviso del ricorrente, meritava considerazione al fine di stabilire il grado della colpa del conducente laddove gli si era imputato (anche) di non aver vigilato sul fatto che la passeggera anteriore portasse la cintura, e specularmente sul grado della colpa della vittima nel violare il proprio obbligo di allacciare la cintura, per poi accertare il grado di incidenza di tale condotta sulla causazione dell’evento morte e infine individuare quale dovesse essere la “latitudine applicativa” dell’invocata riduzione della pena inizialmente determinata.

Nel ricorso si fa quindi una lunga disquisizione quanto all’obbligo che grava sul conducente di far indossare le cinture di sicurezza e di verificare, anche nel corso della marcia del veicolo, che i passeggeri le tengano indossate e si afferma che una rigorosa applicazione della norma, che valorizzi l’istituto giuridico della colpa, impone di interrogarsi se possano esistere dei gradi di tale violazione. Secondo il difensore dell’imputato tale obbligo dovrebbe avere declinazioni diverse in ragione delle circostanze: il legale arriva ad asserire che in casi quali quello di un minore o di una persona minorata di mente, la cura del guidatore nel vigilare severamente che la cintura venga allacciata (“e probabilmente la allaccerà egli stesso per il passeggero”) sarò massima; ma nel caso un cui trasporti un “adulto consapevole”, nel momento in cui il conducente sente il suono tipico dei terminali della cintura che viene allacciata, e nessun segnale di allerta né visivo né acustico suona, l’obbligo di “farla indossare” può, sempre secondo la tesi difensiva, ritenersi assolto, o quantomeno il grado di colpa (del guidatore) conseguente al mancato uso dovrà essere valutato diversamente in ragione delle circostanze descritte.

Insomma, il ricorso conclude che “possiamo reputare massimo il grado della colpa del conducente che di giorno non garantisca che venga allacciata la cintura del minore di età o del minorato di mente, e minimo nel caso del conducente che, di notte, avendo al proprio fianco un adulto consapevole, senta il suono della cintura che si allaccia e non senta attivarsi alcun segnale sonoro di allarme, né veda il corrispettivo segnale luminoso nella strumentazione di bordo, ciò avvenendo perché il passeggero con un artificio ha indotto il guidatore a credere che tale cintura fosse allacciata”.

L’avvocato dell’imputato punta infine il dito sulla “condotta colposa” della vittima e rimarca il fatto che nelle risultanze peritali le lesioni cranio encefaliche da essa riportate e che ne avevano causato il decesso erano riconducibili al non aver indossato la cintura di sicurezza, per sostenere il nesso causale tra l’omissione e la morte. Invocando, infine, una completa riconsiderazione della misura della riduzione operata, “poiché se massimo è il grado della colpa della vittima, e massima (se non assoluta) è l’incidenza di tale violazione sulla determinazione dell’evento, massima avrebbe dovuto essere altresì la riduzione conseguente all’esistenza di tale concorso di colpa, riducendo quindi la pena della metà, cioè la massima riduzione possibile per il concorso della vittima”.

Ma per la Suprema Corte sia questo motivo di ricorso, sia quello relativo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, sono infondati e per contro “l’impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni, peraltro riconoscendo la circostanza attenuante di cui all’art. 589-bis co. 7 cod. pen. negata dal primo giudice, attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità”.

 

La condotta colposa della vittima ha avuto incidenza minima rispetto alla colpa dell’imputato

Gli Ermellini evidenziano innanzitutto come, diversamente da quanto si sostiene in ricorso, la Corte territoriale ha fornito, in punto di entità della riduzione, una motivazione logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, laddove ha rilevato “la minima incidenza della condotta colposa della vittima rispetto al grado di colpevolezza dell’agente, sotto ogni profilo considerata”: dall’omesso controllo del conducente sul rispetto dell’obbligo di indossare le cinture di sicurezza, che, sottolineano gli Ermellini, era possibile sia prima della partenza ma anche in itinere (difficile pensare che il conducente non avesse visto che la persona seduta accanto a lui non era “cinturata”), al rilevantissimo grado della colpa dell’imputato, alla “solo concorrente e neppure preponderante efficienza causale” delle lesioni collegabile al non corretto uso del dispositivo di sicurezza. La Cassazione ricorda al riguardo come, nel referto dell’autopsia, il medico legale avesse riscontrato nella vittima non solo lesioni cranio-encefaliche e maxillofacciali indicative della motilità compatibile con il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, ma anche gravi lesioni del tratto cervicale con recisione dei tronchi nervosi, conseguente a un violento meccanismo tipo “colpo di frusta” che si sarebbero potute produrre anche in un soggetto correttamente ritenuto con la cintura di sicurezza.

La sentenza impugnata – proseguono quindi i giudici del Palazzaccio – si colloca pertanto nell’alveo del consolidato e condivisibile dictum di questa Corte di legittimità secondo cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, così come quelle in ordine all’entità della riduzione, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto”.

 

Il conducente deve sempre esigere che i passeggeri indossino i sistemi di ritenzione

La Suprema Corte rammenta poi che l’art. 589 bis, cod. pen., al settimo comma, che prevede una diminuzione di pena («fino alla metà») nel caso in cui l’evento “non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole” (analogamente il settimo comma dell’art. 590 bis in tema di lesioni personali stradali gravi o gravissime), va interpretato nel solco delineato dall’art. 41 cod. pen. “e colloca esattamente il fattore esterno considerato, l’omesso utilizzo delle cinture di sicurezza da parte della vittima, sul piano della gravità della condotta e fuori dall’ambito della responsabilità”. La norma, in altri termini, per quanto attiene al comportamento della persona offesa, fa riferimento a quelle condotte esse stesse colpose, oppure anomale rispetto all’ordinario svolgersi degli eventi, che possono quindi correttamente influire sul grado di colpevolezza dell’agente ma non escludere o interrompere il nesso di causa.

Per i giudici triestini si può ulteriormente osservare che, sussistenti e incontestati i profili di colpa specifica e generica a carico dell’imputato, ad essi si è aggiunto quello di non aver imposto alla passeggera l’uso della cintura ed è pacifico che il grado della colpa vada misurato sulla base della condotta” conclude la Cassazione, ribadendo con forza il principio consolidato secondo il quale “il conducente di un veicolo è tenuto, in base alle regole della comune diligenza e prudenza, ad esigere che il passeggero indossi la cintura di sicurezza e, in caso di sua renitenza, anche a rifiutarne il trasporto o ad omettere l’intrapresa della marcia e ciò a prescindere dall’obbligo e dalla sanzione a carico di chi deve fare uso della detta cintura, regola di comportamento (nello specifico, ndr) pacificamente violata; e ciò a prescindere dall’obbligo e dalla sanzione a carico di chi deve fare uso della detta cintura

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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