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L’accertamento in concreto della responsabilità di uno dei conducenti coinvolti in un incidente non supera di per sé la presunzione di colpa concorrente di cui all’articolo 2054, secondo comma, del codice civile, rimanendo comunque necessario accertare che l’altro conducente si sia pienamente uniformato alle norme sulla circolazione e a quelle di comune prudenza, e abbia comunque fatto il possibile per evitare il sinistro.

E’ una sentenza particolarmente rilevante in tema di concorso di colpa quella depositata dalla Cassazione l’11 maggio 2022, la n. 14947/22.

 

La causa per un risarcimento da incidente stradale mortale

Il caso di cui si sono occupato gli Ermellini è tragico, un sinistro mortale occorso nel 2007 tra un auto e un autobus: l’automobilista aveva perso la vita. I suoi cari avevano citato in giudizio avanti il Tribunale di Lecce l’autista della corriera dipendente di Ferrovie Sud Est, conducente di un autobus di linea assicurato con HDI, di proprietà della Regione Puglia e concesso in comodato appunto a Ferrovie Sud Est, oltre a tutti gli altri soggetti interessati, chiedendo che ne fosse accertata l’esclusiva responsabilità nella causazione dell’incidente a causa del quale era deceduto il loro caro e, di conseguenza, la condanna in solido al risarcimento dei danni anche non patrimoniali subiti jure proprio.

Secondo la tesi dei parenti, la vittima, mentre percorreva la strada provinciale 241 Lizzanello-Lecce guidando la propria Seat Ibiza, pur trovandosi regolarmente nella propria corsia era stato travolto dall’autobus che, provenendo dall’opposta corsia, aveva invaso la sua, causando un tremendo scontro frontale.

Le controparti avevano resistito sostenendo tutt’altra versione e attribuendo invece l’esclusiva responsabilità all’automobilista deceduto il quale, mentre tentava di sorpassare in una curva destrorsa un altro velivolo e successivamente di rientrare nella propria corsia, avrebbe lui invaso la corsia opposta: l’autista dell’autobus, vedendosi arrivare contro la macchina, avrebbe tentato una manovra di emergenza spostandosi a sinistra, e si sarebbe quindi verificato il cosiddetto “scambietto”.

Il Tribunale, con sentenza del 2016, aveva accolto quest’ultima prospettazione condividendo anche le valutazioni del consulente tecnico del Pubblico ministero nel procedimento penale da cui il conducente dell’autobus era uscito prosciolto, aveva ritenuto che questi avesse svolto ogni possibile manovra di emergenza mentre la condotta di guida della vittima sarebbe stata l’unica causa del sinistro mortale, rigettando quindi la domanda risarcitoria degli eredi. I quali avevano poi appellato la decisione avanti la Corte d’Appello di Lecce che però, con sentenza del 2019, aveva rigettato il gravame confermando il pronunciamento di prime cure.

I familiari dell’automobilista, tuttavia, non si sono dati per vinti e hanno proposto ricorso anche per Cassazione con sei motivi di doglianza. Il primo lamentava la mancata disposizione da parte sia della Corte territoriale sia del Tribunale civile di una consulenza tecnica d’ufficio per ricostruire la dinamica del sinistro, criticando le conclusioni della Ctu disposta nel processo penale dal Pubblico Ministero e la completa adesione ad essa da parte dei giudici civili. Questa doglianza è stata rigettata dagli Ermellini, che però hanno condiviso tutti i motivi 2-5 che ci concentravano appunto sulla dinamica dell’incidente.

Tra i vari elementi che sarebbero stati trascurati dai giudici, i ricorrenti hanno ad esempio citato la velocità a cui procedeva l’autobus. A loro avviso sarebbero state del tutto illogiche le conclusioni del Ctu della Procura, secondo cui non poteva imputarsi “alcun determinismo causale alla velocità tenuta dal conducente del bus e al suo mancato arresto o svolta a destra” in quanto, poiché l’auto gli veniva contro essendo “condotta in modo irragionevole”, “egli non avrebbe potuto evitare lo scontro neanche rallentando o fermandosi”.

Asserzioni che avrebbero smentito quanto affermato dallo stesso consulente tecnico, che aveva constatato che la velocità della corriera era di 84/85 km/h, in violazione dell’art. 141 CdS, che impone l’obbligo al conducente di regolare la velocità del veicolo “nei tratti di strada a visibilità limitata, nelle curve, in prossimità delle intersezioni”, nonché dell’art. 142 n.3, lettera f), che impone all’autobus come massima velocità fuori dei centri abitati soltanto 80 km/h, e ancor di più del limite generale vigente un quel tratto di strada, di 50 km/h. E del resto lo stesso conducente nell’interrogatorio formale a cui era stato sottoposto aveva ammesso la violazione del limite ed era stato pure contravvenzionato in merito dalla polizia stradale.

Non solo. I ricorrenti si sono soffermati anche sulla manovra di “scambietto” effettuata dal conducente dell’autobus che si era a sua volta “buttato” a sinistra, manovra da non eseguire mai, secondo i familiari della vittima, perché comporta l’invasione della opposta corsia di marcia. Hanno battuto anche sulla norma del codice che impone di tenere la destra, laddove l’autobus avrebbe viaggiato “oltre la linea continua di mezzeria“, invadendo l’altra corsia per 25 centimetri, e hanno richiamato la giurisprudenza in ordine alla presunzione di colpa concorrente di cui all’articolo 2054, secondo comma. Infine, hanno contestato l’attribuzione dell’onere probatorio.

La sentenza impugnata aveva affermato che “nella ripartizione dell’onere probatorio, esclusa la ricorrenza della fattispecie di cui all’art. 2054 c.c. secondo comma, dal momento che è certa sia la dinamica del sinistro che il comportamento specifico dei due conducenti, era onere del danneggiato dimostrare che lo scontro è dipeso dal solo comportamento colposo dell’altra parte e che l’automobilista avesse fatto tutto il possibile per evitare il verificarsi dell’evento dannoso. Anche sotto questo profilo, l’appello non può essere accolto perché la manovra di “derapamento” posta in essere dalla vittima è stata la causa determinante dello scontro che altrimenti si sarebbe evitato“: il che, secondo la corte territoriale, avrebbe fatto “venir meno alla presunzione di colpa” di cui all’articolo 2054 c.c., “in quanto non si può rispondere per colpa extracontrattuale di un fatto non preveduto che, secondo la comune esperienza e il normale svolgersi degli eventi, non sia neppure prevedibile“.

Questa motivazione secondo i ricorrenti sarebbe errata in quando avrebbe considerato imprevedibile la manovra compiuta dall’automobilista di rientro al centro della propria carreggiata ed in assetto di marcia regolare. E sarebbe ancor più grave l’aver ritenuto, scrivono i familiari del ricorso per Cassazione, che il conducente della vettura “non avrebbe dovuto fare nulla e, quindi, si sarebbe dovuto astenere dal cercare di rientrare nella propria corsia di marcia ma semplicemente continuare la corsa contro il pullman e tanto nonostante lo spazio tra i due mezzi, 289 metri, fosse utile ad evitare lo scontro se solo conducente del pullman si fosse accorto dell’autovettura antagonista non all’ultimo momento, come lo stesso ammette, ma quando appunto era distante 289 metri, come fece appunto l’automobilista che si accorse per tempo del pericolo ed attuò la manovra di rientro”. E la corte territoriale sarebbe erroneamente giunta persino, come detto, all’inversione dell’onere della prova affermando che era onere del danneggiato dimostrare che lo scontro era dipeso dal solo comportamento colposo dell’altra parte, principio in contrasto con la giurisprudenza di legittimità

Il tutto avrebbe dunque integrato una “condotta specificamente colposa, atta a contribuire alla produzione dell’evento, qualunque sia la causa di invasione della mezzeria da parte di altro veicolo e quindi se si tratta di causa pur essa colposa“.

Ebbene, tutta questa serie di motivi di doglianza, che denunciavano principalmente la violazione dell’articolo 2054 c.c. oltre che delle norme del Codice della strada che avrebbe commesso la Corte d’appello disattendendo le censure del gravame, sono stati ritenuti fondati dalla Suprema Corte, che ripercorre le logiche decisionali della Corte territoriale.

Sia con riferimento alla velocità, sia con al mancato arresto o accostamento a destra, i giudici di secondo grado avevano sostenuto che “anche la riscontrata violazione delle regole del CDS non comporta automaticamente l’attribuzione di una responsabilità neanche concorrente nella causazione dello scontro, laddove emerga una condotta antagonista che assume apporto causale esclusivo nel determinismo dell’evento. Ai fini della responsabilità per danni prodotti dalla circolazione di veicoli, l’obbligo imposto ai conducenti delle norme sulla circolazione stradale di attuare misure di precauzione deve ritenersi correlato alla prevedibilità di una persona di normale avvedutezza, alla stregua di una valutazione che, per quanto debba tener conto del massimo grado di diligenza, non si estende alla considerazione di condotte del tutto irrazionali”.

 

Non basta una presunta condotta irrazionale di una parte per assolvere in automatico l’altra

Da questa presunta condotta irrazionale dell’automobilista il giudice d’appello aveva desunto la sua responsabilità esclusiva nella causazione del sinistro, aggiungendo che, alla luce della condotta dell’automobilista che aveva invaso la corsia opposta cercando invano di rientrare nella sua corsia, “non può imputarsi nessun determinismo causale alla velocità tenuta dal conducente dell’autobus e al mancato arresto o svolta a destra perché, poiché l’auto antagonista gli viaggiava contro, con una condotta di guida irragionevole, egli non avrebbe potuto evitare lo scontro neanche rallentando o fermandosi”.

In sintesi, quindi, non avrebbe inciso la violazione da parte dell’autista delle norme del CDS sui limiti di velocità, sulla circolazione a margine destro, sull’obbligo di arresto, in quanto, secondo la Corte d’appello, occorrerebbe soltanto “valutare se la condotta antagonista sia stata irrazionale e al di fuori di ogni prevedibilità logica“.

Allo stesso modo, pur essendo stata, convengono gli stessi giudici di seconde cure, una “manovra abnorme e azzardata” quella dello scambietto compiuta dal conducente del bus, ciò non consentirebbe di prescindere “dalla colpa acclarata” dell’automobilista, “che aveva invaso in curva la corsia opposta“.

Una linea di pensiero che la Cassazione censura in quanto, spiegano gli Ermellini, “la Corte territoriale qui manifesta, oggettivamente, un’ottica per cui, se un veicolo tiene una condotta irrazionale, l’altro veicolo può tenere qualunque condotta perché ciò non incide, vale a dire può violare le norme del codice della strada senza addebitarsi, nemmeno in termini di concorrenza, alcuna responsabilità. Secondo la corte, pertanto, la condotta irrazionale dell’uno esclude automaticamente che l’altro possa esercitare incidenza sulla dinamica del sinistro, così in sostanza equiparandosi l’irrazionalità con l’inevitabilità“.

 

Va comunque sempre superata la presunzione di concorrenza nella causazione del sinistro

Se però fosse così, prosegue la Suprema Corte, “la norma governante la responsabilità per scontro tra veicoli – l’articolo 2054, secondo comma, c.c. – sarebbe (e invece non lo è, non essendo corretta l’interpretazione che ne offre il giudice d’appello) intrinsecamente illogica dal momento che inserisce la presunzione, “fino a prova contraria”, di avere “ciascuno dei conducenti concorso ugualmente a produrre il danno”: disposizione che prescinde, con netta evidenza, dalla natura irrazionale/criticabile della condotta di uno dei conducenti nel senso che, anche quando tale censurabile natura sussiste, occorre comunque superare per l’altro conducente la presunzione di concorrenza nella causazione del sinistro”.

Insomma, secondo i giudici del Palazzaccio la Corte territoriale con il suo ragionamento ha di fatto “messo in disparte” l’articolo 2054, secondo comma, c.c., incorrendo peraltro in un’ulteriore contraddizione nel riconoscimento dell’esistenza dell’onere probatorio dell’investitore di aver comunque “fatto tutto il possibile” per evitare lo scontro.

La Corte d’appello aveva ritenuto che non fosse esigibile una condotta diversa da quella tenuta dall’autista della corriera in quanto “la manovra adottata avrebbe evitato ogni impatto con l’automobilista se egli avesse continuato nella direzione che teneva al momento dell’avvistamento: non sarebbe cioè stato esigibile che il pullman si fermasse o rallentasse o svoltasse alla sua destra proprio perché, ex ante, questi comportamenti non erano idonei ad assicurare di evitare l’impatto. Ciò vale anche con riferimento alla mancata svolta a destra. Ecco perché ogni riferimento a violazioni del cds da parte dell’autista appaiono irrilevanti“, non costituendo gli articoli del codice della strada invocati dagli appellanti “norme intese a evitare il rischio dell’improvvisa occupazione della corsia da parte di un veicolo procedendo in senso opposto”, e per di più la contestazione della loro violazione “effettuata dagli agenti accertatori” non vincolando il giudice

 

Non si può non considerare la violazione del Cds anche a fronte dell’altrui condotta negligente

Anche queste conclusioni destano non poche perplessità anche solo solo piano logico da parte degli Ermellini, che parlano di “svuotamento” della ratio delle coinvolte norme del codice stradale, “nel senso che queste non avrebbero alcun obiettivo di prevenire ed evitare uno dei fatti che più frequentemente, è notorio, origina scontro tra veicoli provenienti da direzioni opposte.  Solo dopo aver raggiunto questa posizione, significativamente, ovvero quando si è già esternato l’avviso del giudice d’appello di radicale irresponsabilità dell’autista dell’autobus per irrazionalità imprevedibile della guida dell’automobilista, viene richiamato espressamente l’articolo 2054, secondo comma, c.c., che invece avrebbe dovuto essere il punto di partenza quale regola per identificare nel caso concreto il significato giuridico dei fatti provati, mediante l’applicazione, anche in diversa misura, di corresponsabilità o al contrario mediante il superamento della sua presunzione.  E peraltro il richiamo si dispiega in una rappresentazione erronea del riflesso della presunzione normativa sull’onere probatorio” censurano la sentenza gli Ermellini i quali citano ancora un altro passo della sentenza impugnata: “A ciò va aggiunto che nella ripartizione dell’onere probatorio, esclusa la ricorrenza della fattispecie di cui all’art. 2054 c.c. secondo comma, dal momento che è certa sia la dinamica del sinistro che il comportamento specifico dei due conducenti, era onere del danneggiato dimostrare che lo scontro è dipeso dal solo comportamento colposo dell’altra parte e che l’automobilista avesse fatto tutto il possibile per evitare il verificarsi dell’evento … la colpa del danneggiato, qualora rappresenti l’unica causa che abbia determinato l’evento dannoso, fa venir meno la presunzione di colpa stabilita dall’art. 2054 … in quanto non si può rispondere per colpa extracontrattuale di un fatto non preveduto che, secondo la comune esperienza e il normale svolgersi degli eventi, non sia neppure prevedibile”.

 

Anche la presenza del fatto imprevedibile non è sufficiente per mandare assolta la controparte

Tale argomentazione è palesemente illogica, spiegano gli Ermellini, proprio perché “giuridicamente erronea sotto vari profili: in primo luogo, se è già certa la dinamica del sinistro, non vi è più spazio ad un (ulteriore) onere probatorio; in secondo luogo, il danneggiato dovrebbe dimostrare, secondo la corte territoriale, “che lo scontro è dipeso dal solo comportamento colposo dell’altra parte“, dimenticandosi però il giudice d’appello che anche se il danneggiato nulla dimostra deve essere risarcito al 50% per l’incidenza della presunzione; in terzo luogo, la presenza di un “fatto” imprevedibile non è di per sé sufficiente a vincere la presunzione, occorrendo proprio per la natura di questa dimostrare in concreto che l’incidenza causale della condotta imprevedibile di uno dei conducenti sia di una portata tale da estromettere dalla serie causale che ha portato allo scontro dei veicoli la condotta dell’altro conducente coinvolto”.

Proprio non si comprende – continua la Cassazione .-, come il giudice d’appello abbia coordinato e correlato le posizioni man mano assunte nel percorso motivazionale: ha infatti affermato che la responsabilità dello scontro è stata esclusivamente dell’automobilista perché questi ha effettuato una manovra imprevedibile; ha poi affermato che l’autista, per tale imprevedibilità, non avrebbe potuto inserire alcunché nella serie causale; conseguentemente ha affermato, altresì, che la violazione delle norme del codice della strada commessa da quest’ultimo è stata del tutto irrilevante, trattandosi di norme in sostanza non pertinenti; ma infine ha affermato che l’autista ha compiuto una manovra idonea ex ante a evitare lo scontro, senza spiegare però come mai tale idoneità abbia prodotto un nulla, ovvero (se questo poi è il significato dell’inserito “ex ante”) per quali specifiche ragioni ex post ne sia venuta meno completamente tale originaria idoneità”.

 

L’imprevedibilità della condotta non va confusa con l’impossibilità di superarla

Da quanto sin qui riassunto, dunque, emerge la fondatezza dei motivi di ricorso, sotto due profili. In primo luogo, vanno a concludere i giudici del Palazzaccio, è stato violato l’articolo 2054, secondo comma, c.c., poiché, in sostanza, “il giudice d’appello, una volta accertata una condotta atta a causare l’incidente in capo alla vittima, ha arrestato la cognizione, non investendone – come avrebbe dovuto in forza della presunzione normativa di corresponsabilità – la condotta del conducente del bus per verificare in concreto se questa fosse stata irreprensibile ai fini causali rispetto allo scontro. È stato in tal modo contravvenuto il consolidato insegnamento di questa Suprema Corte in ordine alla interpretazione dell’articolo 2054, secondo comma, c.c., per cui l’accertamento in concreto della responsabilità di uno dei conducenti non supera di per sé la presunzione di colpa concorrente di cui all’articolo 2054, secondo comma, c.c., rimanendo allo scopo necessario accertare che l’altro conducente si sia pienamente uniformato alle norme sulla circolazione e a quelle di comune prudenza, e abbia comunque fatto il possibile per evitare il sinistro”.

In secondo luogo, la motivazione della sentenza è risultata affetta da “salti logici di inaccettabile contraddittorietà”, soprattutto la sua parte conclusiva, “in cui si riconosce, a ben guardare, che  l’autista poteva con la sua condotta incidere sul causare o alternativamente sull’evitare l’evento, giungendo ad affermare che egli avrebbe posto in essere proprio una manovra atta a evitare lo scontro, distaccandosi così da tutte le argomentazioni precedenti, formulate nel senso che nulla poteva fare. È parimenti illogico sostenere che una condotta imprevedibile escluda automaticamente e radicalmente ogni condotta che possa contrastarla, confondendo l’imprevedibilità della condotta con la impossibilità di superarla.

Dunque, ricorso accolto e sentenze cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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