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Quando, nella ricostruzione di un incidente, non si riesce ad accertare esattamente il punto d’urto, ed è un’evenienza tutt’altro che infrequente, soprattutto negli scontri frontali, e risulta pertanto impossibile definire la dinamica del sinistro, i giudici devono dichiarare la pari responsabilità dei conducenti dei mezzi coinvolti e, a meno di fornire prove decisive in grado di chiarire i fatti e di dimostrate di non essere responsabili, è difficile se non impossibile ribaltare questo giudizio. Un caso emblematico sul genere è quello giudicato dalla Cassazione con l’ordinanza 13727/22 depositata il 2 maggio 2022.

Danneggiato risarcito solo a metà, i giudici dichiarano la pari responsabilità

Un motociclista e la moglie nel 2021 avevano citato in giudizio avanti il Tribunale di Venezia il conducente, il proprietario e la compagnia di assicurazione, Allianz, di un’auto chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza di un sinistro verificatosi, nell’agosto 2006, a causa dello scontro tra la sua moto e appunto la vettura: un sinistro gravissimo a causa del quale il centauro era rimasto pesantemente invalido. I giudici, con sentenza del settembre 2015, avevano dichiarato, ai sensi dell’art. 2054, secondo comma, del codice civile, la pari responsabilità dei due conducenti nella causazione dell’incidente condannando conducente, proprietario e assicurazione a risarcire al danneggiato una somma pari a 129.978 euro, oltre accessori, rigettando invece le pretese della moglie.

Il centauro e la consorte avevano quindi appellato la decisione avanti la Corte d’Appello di Venezia la quale, con sentenza resa pubblica il 4 settembre 2018, aveva accolto in parte il gravame condannando l’assicurazione dell’auto a pagare una ulteriore cifra di 11.840,50 a favore del danneggiato, nonché di 30mila euro per la moglie in ragione del danno riflesso.

Secondo la Corte territoriale il primo giudice aveva giustamente attribuito rilevanza alle risultanze del rapporto della polizia municipale, da cui era emersa l’impossibilità di stabilire con certezza il punto d’urto e la dinamica precisa del sinistro, ritenendo pertanto corretto il giudizio di pari responsabilità dei conducenti ai sensi dell’art. 2054, secondo comma.

 

Per la Corte territoriale era impossibile determinare con certezza la dinamica del sinistro

Nella relazione degli agenti, infatti, si stava atto che la collisione tra i due veicoli era avvenuta tra lo spigolo anteriore destro dell’auto e la parte anteriore destra del motociclo e che, dunque, era dato desumere che la manovra di svolta a sinistra da parte del motociclista fosse già iniziata, considerato anche che gli esiti dell’urto erano compatibili solo con la posizione obliqua del motociclo: se ‹il motociclista fosse stato fermo in attesa di svoltare a sinistra e fosse stato “investito” dalla macchina, che stava invadendo la sua corsia di marcia, l’urto avrebbe dovuto interessare la parte sinistra o la parte frontale del motociclo, e non quella destra; oppure, qualora l’invasione in contromano fosse stata già in fase avanzata, e cioè qualora l’auto si fosse trovata già interamente nella corsia opposta, l’urto avrebbe dovuto interessare la parte sinistra dell’autovettura stessa, non la parte destra.

Era stata inoltre ritenuta inattendibile la deposizione resa in giudizio da un teste in quanto contrastante con la dichiarazione resa dallo stesso alla polizia municipale nell’immediatezza dei fatti: questi, infatti, inizialmente aveva dichiarato di aver visto il motociclo in transito a velocità moderata e che si manteneva in prossimità della mezzeria, e in seguito aveva riferito che il motociclo era fermo.

A fronte della impossibilità di ricostruire l’accaduto con sufficiente certezza, restava in ogni caso accertato che il motociclista non avesse fornito prova di mancanza di sua responsabilità, ed anzi erano emersi riscontri oggettivi in senso contrario.

Scendendo poi nel dettaglio delle richieste del danneggiato, i giudici avevano ritenuto che non vi fosse la prova del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa lamentato, mentre avevano giudicato degna di accoglimento la pretesa che aveva per oggetto il danno patrimoniale futuro per spese di cura e assistenza, da liquidarsi sulla scorta del coefficiente di capitalizzazione di cui al regio decreto 9 ottobre 1922, n. 1403, in euro 15.000, dovuti a titolo di costo ordinario per prestazioni di assistenza non qualificata e a tempo parziale.

Il danneggiato e la moglie tuttavia hanno proposto ricorso anche per Cassazione, sulla base di due motivi, lamentando innanzitutto che anche la Corte territoriale, così come il primo giudice, avesse concluso per l’impossibilità di stabilire con esattezza il punto d’urto e la dinamica precisa del sinistro e, di conseguenza, presunto la sua corresponsabilità nella causazione dell’illecito, e dolendosi che i giudici non avessero tenuto in adeguata considerazione la testimonianza resa dal teste, la relazione della polizia municipale, nonché la perizia dinamica.

 

Per il motociclista c’erano tutti gli elementi per attribuire tutta la responsabilità a controparte

Secondo i ricorrenti le sole deposizioni sarebbero state sufficienti a smentire la presunzione di corresponsabilità di cui all’art. 2054 c.c., in quanto sarebbe stata ampiamente comprovata sia l’avvenuta invasione di corsia ad opera di controparte sia l’assenza di qualsiasi responsabilità nella condotta del motociclista, che sarebbe stato fermo nella sua carreggiata con freccia sinistra funzionante, in attesa di svoltare a sinistra.

Per il ricorrente la ricostruzione operata dai giudici territoriali in punto di accertamento di corresponsabilità sarebbe stata non condivisibile e illogica: sarebbe stato infatti del tutto verosimile che il conducente dell’auto, per distrazione e per l’alta velocità tenuta, avesse invaso la corsia opposta di marcia e, avvedutosi in ritardo della presenza del motociclo, proprio nel tentativo di evitare uno scontro frontale, avesse ulteriormente virato a sinistra andando appunto a collidere con il proprio lato destro contro la parte destra della sue due ruote, che viaggiava o era ferma nel senso contrario di marcia.

Per la Suprema Corte tuttavia il motivo è inammissibile. “E’ principio consolidato – ricordano gli Ermellini – quello per cui, in tema di sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, e ciò anche per quanto concerne il punto specifico se il conducente di uno dei veicoli abbia fornito la prova liberatoria di cui all’art. 2054 c.c.”.

 

Se l’esatta ricostruzione del sinistro è ritenuta impossibile, inevitabile la pari responsabilità

Perciò, ribadiscono i giudici del Palazzaccio, laddove, in base al materiale probatorio acquisito, “sia esclusa da quel giudice la possibilità della esatta ricostruzione dell’incidente, esattamente è imputata pari responsabilità ai conducenti coinvolti nell’accadimento ed applicato il principio sussidiario della corresponsabilità dettato dal secondo comma dell’art. 2054 c.c.

Perciò questo giudizio, di mero fatto, può essere suscettibile del sindacato di legittimità “solo in ragione della denuncia di un omesso esame di fatto decisivo e discusso tra le parti” prosegue la Cassazione, evidenziando come invece le doglianze della parte ricorrente si incentrassero solo sul giudizio di fatto operato dal giudice del merito, “non prospettando, quindi, un error in iudicando, ma neppure un vizio di omesso esame”.

La Cassazione ha invece accolto il secondo motivo di doglianza attraverso il quale il ricorrente asseriva che la Corte territoriale, in contrasto con il principio di integralità del risarcimento, seppure in forza di liquidazione equitativa, aveva erroneamente liquidato il danno patrimoniale futuro, dovuto a titolo di spese di assistenza medica, in relazione ai coefficienti di capitalizzazione risalenti al regio decreto del 1922, questione già più volte emersa.

In tema di danno futuro causato da invalidità permanente – e, segnatamente, di danno patrimoniale per spese di cura e assistenza dovute in conseguenza di invalidità permanente cagionata da sinistro stradale -, ai fini della relativa liquidazione, equitativa e armonica rispetto al principio di integralità del risarcimento del danno (art. 1223 c.c.), rileva non la speranza di vita media nazionale, ma la prognosi di durata della vita dello specifico soggetto danneggiato” rammenta la Suprema Corte.

 

Il regio decreto del 1922 è costruito su tavole di mortalità ormai obsolete

A quella speranza di vita media nazionale il giudice del merito, semmai, “potrà fare riferimento solo nel caso in cui non sia possibile una prognosi specifica sulla durata della vita del danneggiato medesimo – continua la Cassazione – Di qui, l’evidente error iuris nell’utilizzo delle tabelle di cui al regio decreto 1403/1922, anche se prese a parametro della media nazionale di speranza di vita (nei casi, residuali, in cui sia possibile), giacché costruite su tavole di mortalità ormai obsolete, essendo notevolmente accresciuta la vita media della popolazione italiana dal 1922 ad oggi. Inoltre, l’utilizzo di dette tabelle è errato giuridicamente anche in riferimento al coefficiente di capitalizzazione che attiene al cosiddetto “montante di anticipazione, che da esse è fissato nel saggio del 4,5% annuo, non affatto corrispondente alla realtà attuale”.

In sede di rinvio la Corte territoriale dovrà, quindi, provvedere alla liquidazione del danno patrimoniale futuro per spese di cura e assistenza in favore del danneggiato sulla base di una prognosi specifica sulla durata della sua vita o, nel caso sia impossibile tale prognosi, fare riferimento al criterio della speranza di vita media nazionale, ma costruito su parametri attuali. Inoltre, lo stesso giudice dovrà applicare un “montante di anticipazione” aggiornato e scientificamente corretto, potendo pure fare riferimento a coefficienti di capitalizzazione attualmente previsti da provvedimenti normativi per la capitalizzazione di rendite assistenziali.

Limitatamente a questo punto, quindi, la sentenza impugnata è stata cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello lagunare per il ricalcolo del risarcimento dovuto per questa voce di danno.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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