Hai bisogno di aiuto?
Skip to main content

Non può far venire meno le responsabilità del conducente del veicolo che investa un pedone il fatto che questi stesse camminando a bordo strada nello stesso senso di marcia dei veicoli: ciò che conta è la sua “avvistabilità”. Lo ha ribadito con forza la Cassazione, quarta sezione Penale, con la sentenza n. 4324/24 depositata il primo febbraio 2024.

Automobilista condannato per aver travolto e ucciso un pedone che camminava a bordo strada

Un automobilista era stato condannato per il reato di omicidio stradale per aver investito e ucciso, nel gennaio del 2016, a Trescore Balneario, nel Bergamasco, con il suo furgone un anziano che, con la moglie, stava camminando sul lato destro della strada, priva di marciapiede: il pedone era stato sbalzato in aria e, a seguito dell’urto, aveva riportato lesioni cranioencefaliche con componente compromissiva polmonitica, in conseguenza delle quali, qualche giorno dopo, era deceduto.

Il Tribunale di Bergamo aveva addebitato all’imputato, quali profili di colpa, la negligenza, l’imprudenza e l’imperizia e la violazione degli artt. 140 e 148, comma 3, d. lgs 30 aprile 1992 n. 285, per aver tenuto un comportamento pericoloso per la sicurezza stradale e, in particolare, per essersi distratto alla guida, malgrado la scarsa visibilità dovuta all’orario di prima mattina invernale, e per aver sorpassato i due coniugi che lo precedevano a piedi sulla stessa corsia di marcia, senza portarsi alla loro sinistra e senza tenersi ad adeguata distanza laterale.

Sentenza sostanzialmente confermata, nel gennaio 2023, anche dalla Corte d’appello di Brescia che, a parziale riforma del verdetto di primo grado, aveva riconosciuto all’imputato le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, rideterminando la pena inflitta in mesi 8 di reclusione.

 

L’imputato ricorre per Cassazione perché la vittima camminava nello stesso senso dei mezzi

Il conducente del veicolo investitore, tuttavia, ha proposto ricorso anche per Cassazione contestando la responsabilità che gli era stata ascritta sul sinistro e lamentando addirittura il mancato riconoscimento da parte dei giudici territoriali dell’interruzione del nesso causale ad opera della condotta della vittima. La quale, secondo il difensore dell’imputato, sarebbe a sua volta incorsa nella violazione dell’art. 190 del Codice della Strada per avere camminato nello stesso senso di marcia dell’auto e tale condotta si sarebbe dovuta ritenere circostanza eccezionale e imprevedibile per l’imputato e, come tale, idonea a interrompere il nesso di causa fra la condotta e l’evento.

Inoltre, l’automobilista ha censurato il fatto che non gli fosse stata nemmeno riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 589 bis, comma 7, cod. pen., in quanto la Corte d’Appello avrebbe rilevato nella condotta del pedone un profilo di imprudenza concausale rispetto all’evento, per avere proceduto in un tratto di strada privo di marciapiede o simile nello stesso di marcia del veicolo, salvo però poi non accordare, per l’appunto, la circostanza attenuante all’investitore. E ha infine contestato la durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente, stabilita in due anni.

Ma la Suprema Corte rigetta con forza le doglianze, il pedone era ben avvisatabile

Ma per la Suprema Corte il ricorso è inammissibile e infondato. La Cassazione ripercorre le risultanze delle indagini e del processo, evidenziando come fosse emerso che la vittima, al momento dell’investimento, si trovasse all’interno della banchina pedonabile, con direzione parallela rispetto all’asse stradale, e, soprattutto, che era ben avvistabile da parte del conducente di un’auto che sopraggiungesse nel medesimo o senso di marcia, ad una distanza di trenta metri con l’uso dei fari anabbaglianti: dunque, ad una distanza che avrebbe reso possibile manovre idonee ad evitare l’investimento.

Di qui la giusta conclusione della Corte d’appello che la condotta della vittima non potesse rilevare ai fini della interruzione del nesso di causa, in quanto non poteva essere ritenuta eccezionale o imprevedibile: la posizione del pedone – avevano argomentato i giudici territoriali – era ben avvistabile da parte dell’automobilista e, quindi, permaneva la rilevanza causale della condotta colposa dell’imputato rispetto all’impatto.

La decisione è coerente con la elaborazione giurisprudenziale in ordine alla responsabilità colposa del conducente nel caso di investimento di pedone. In linea generale, vale il principio per cui in tema di circolazione stradale, il principio dell’affidamento trova un temperamento nell’opposto principio, secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità” spiega la Suprema Corte, aggiungendo poi che, con particolare riferimento al tema dell’investimento del pedone, tale principio “è stato declinato nel senso che il conducente di un veicolo è tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone e percepire così la situazione di pericolo, in presenza della quale è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti (in particolare, moderare la velocità e, all’occorrenza, arrestare la marcia del veicolo), volti a prevenire il rischio di un investimento”.

 

Ciò che conta per definire le responsabilità è appunto “l’avvistabilità” di chi va a piedi

Ne consegue che, nel caso di investimento di un pedone, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per le lesioni subite o per la morte, “rileva la sua avvistabilità da parte del conducente del veicolo investitore. È cioè necessario che quest’ultimo si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso; occorre, inoltre, che nessuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente del veicolo” riaffermano con forza gli Ermellini, puntualizzando anche il fatto  “il rispetto del limite massimo di velocità consentito non esclude la responsabilità del conducente, qualora la causazione dell’evento sia comunque riconducibile alla violazione delle regole di condotta stabilite dall’art. 141 cod. strada”.

Dunque, venendo al caso di specie, “la Corte di Appello e, prima ancora, il Tribunale hanno coerentemente osservato che il pedone era avvistabile e che, in ragione di tale avvistabilità, la condotta di guida rispettosa delle regole del codice della strada avrebbe evitato l’impatto dell’auto con la vittima” concludono i giudici del Palazzaccio, che hanno rigettato anche gli altri motivi di doglianza.

 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

Vedi profilo →

Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

Condividi

Affidati a
Studio3A

Nessun anticipo spese, pagamento solo a risarcimento avvenuto.

Contattaci

Articoli correlati


Skip to content