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Il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso a un proprio dipendente, anche laddove questi abbia commesso un’imprudenza o non si sia attenuto alle norme antinfortunistiche o alle direttive aziendali, perché è compito del titolare vigilare sul loro rispetto. Solo nel caso in cui la condotta del dipendente sia stata del tutto abnorme, inopinabile e completamente esorbitante rispetto al procedimento lavorativo, il datore può andare indenne da colpe.

A ribadire questi fondamentali principi sulla piaga degli incidenti sul lavoro la Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 23826/23 depositata il 4 agosto 2023 con la quale gli Ermellini hanno confermato la condanna del legale rappresentante di una torrefazione per un incidente dalla tipologia purtroppo frequentissima, la mano che viene risucchiata dal macchinario con conseguente amputazione.


Titolare di una torrefazione condannato a risarcire l’operaio che ha avuto la mano amputata

La Corte d’Appello di Napoli, in totale riforma della decisione di primo grado, con sentenza del 2019 aveva dichiarato un’impresa di torrefazione responsabile del grave infortunio occorso a un proprio lavoratore nel 1999.

Mentre l’operaio svolgeva le sue mansioni di addetto al reparto “granelle”, la sua mano destra era entrata in contatto con la coclea dell’impianto di macinazione e stoccaggio del caffè con conseguenze pesantissime: il malcapitato aveva riportato un gravissimo traumatismo con amputazione e perdita della falange distale del primo, secondo e terzo raggio.

I giudici territoriali avevo quindi condannato l’azienda a risarcire il proprio dipendente con una somma di quasi quattrocentomila euro a titolo di danno non patrimoniale, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali dalla della sentenza fino al saldo, nonché a liquidargli tutte le spese dei due gradi di giudizio.

Il macchinario era stato anche modificato provandolo delle protezioni prescritte

In sintesi, i giudici dei secondo grado avevano ritenuto che l’azienda non avesse dimostrato di avere adottato un comportamento volto a predisporre tutte le misure idonee a tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore. Alla luce delle emergenze processuali esaminate, la Corte d’appello partenopea aveva escluso che nello specifico si potesse parlare di “rischio elettivo” né tanto meno di un concorso di colpa del lavoratore nella produzione dell’evento lesivo.

Anzi, aveva concluso che l’operaio si era infortunato eseguendo operazioni su una linea produttiva del reparto (granelle come detto) a cui era stato assegnato e che in quel momento presidiava da solo, operazioni che aveva avuto modo di osservare dato che erano state eseguite anche dal conduttore dell’impianto sullo stesso macchinario, il quale peraltro era privo delle adeguate protezioni, e anzi le viti di chiusura della calandra della tramoggia erano state modificate artigianalmente in modo da consentire di svitarle senza utilizzare alcun attrezzo o utensile ma con il solo ausilio delle mani.

Il lavoratore non avrebbe avuto alcuna consapevolezza che, introducendo la mano nella tramoggia, avrebbe potuto compiere, come poi è accaduto, un’operazione anomala e pericolosa, né la possibilità di rendersi contro del pericolo, che non sarebbe stato palese.

Il legale rappresentante della ditta ricorre per Cassazione sostenendo il “rischio elettivo”

Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per Cassazione sia il titolare dell’azienda, nonostante il pesante quadro a suo carico, sia il danneggiato per quanto attiene, in particolare, la quantificazione del danno.

Quel che qui preme è l’impugnazione del datore di lavoro, che ha lamentato il fatto che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che la condotta del lavoratore non sarebbe rientrata nelle mansioni che gli erano state assegnate.

Il ricorrente ha contestato totalmente le conclusioni cui era pervenuto il giudice di secondo grado, sia laddove aveva ritenuto che l’azienda non avesse dimostrato di aver adottato un comportamento teso a predisporre tutte le misure idonee a tutelare la salute del lavoratore, sia laddove aveva escluso che la condotta dell’operaio potesse integrare gli estremi del cosiddetto rischio elettivo, e potesse aver concorso, anche solo parzialmente, a determinare l’incidente.


Lavoratore responsabile solo in caso di condotta abnorme, impugnabile ed esorbitante

Ma la Suprema Corte ha rigettato tutte le doglianze, ritenendo la sentenza impugnata conforme ai principi della giurisprudenza di legittimità in materia sia di rischio elettivo sia di concorso del fatto colposo del lavoratore.

Gli Ermellini con l’occasione ribadiscono infatti che la responsabilità esclusiva del lavoratore, il cosiddetto rischio elettivo, “sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere”.

Ancora, la Suprema Corte definisce “rischio elettivo solo quello che, estraneo e non attinente all’attività lavorativa, sia dovuto a una scelta arbitraria del dipendente, che crei e affronti volutamente, in base e azioni o impulsi personali, una situazione diversa sa quella ad essa inerente”.

Anche se il dipendente è imprudente e non rispetta le norme, è il datore che deve vigilare

Per questo motivo, chiarisce ulteriormente la Cassazione, si è esclusa la configurabilità di una colpa a carico di lavoratori che non si siano attenuti alle cautele imposte dalle norme antinfortunistiche o alle direttive dei datori di lavoro, “perché proprio il vigilare sul rispetto di tali norme da parte del lavoratore è l’obbligo a cui il datore di lavoro è tenuto, avendo egli il dovere di proteggere l’incolumità del lavoratore nonostante la sua imprudenza o negligenza”.

Trattandosi per di più di circostanze prevedibili

Gli Ermellini concludono quindi riaffermando che, in tema di infortuni sul lavoro, il datore è responsabile anche dei danni ascrivibili a negligenza o imprudenza dei lavoratori o alla violazione, da parte degli stessi, di norme antinfortunistiche o di direttive.

“Stante il dovere di proteggerne l’incolumità anche in tali evenienze prevedibili – conclude la Suprema Corte – potendo ravvisarsi un concorso colposo della vittima solo nel caso in cui la stessa abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ribevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità di lavoro da svolgere”. Tutte circostanze che ovviamente non ricorrevano in alcun modo nel caso di specie.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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