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Con l’illuminante sentenza n. 9744/19 depositata l’8 aprile 2015, la Cassazione, Sezione Lavoro, accogliendo il ricorso di un lavoratore rimasto vittima di un grave infortunio, chiarisce come vada liquidato il cosiddetto danno biologico differenziale.

 

Cos’è il danno differenziale

Anche nei casi di infortunio sul lavoro laddove opera la copertura assicurativa dell’Inail, il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere del danno biologico cosiddetto differenziale.

Con l’entrata in vigore del Decreto legislativo 38/2000, infatti, le prestazioni erogate dall’istituto non possono essere a priori considerate integralmente satisfattive del diritto del lavoratore infortunato o ammalato al risarcimento del danno: in capo al suo titolare grava comunque l’onere di risarcire i danni complementari o differenziali.

Con il termine danno differenziale si identifica per l’appunto il danno risarcibile al lavoratore, ottenuto dalla differenza tra quanto versato dall’Inail a titolo di indennizzo per infortunio sul lavoro o malattia professionale.

 

La vicenda giudiziaria.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di Roma, con sentenza del 12 marzo 2014, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva accertato la responsabilità dell’azienda per i danni occorsi a un proprio dipendente a seguito di un infortunio sul lavoro occorso a fine 2002, condannando la società a risarcire al lavoratore i danni subiti, quantificati in complessivi 64.930,98 euro, e dichiarando inammissibile la domanda di regresso dell’Inail avanzata nei confronti della società.

La Corte ha ritenuto che il danno non patrimoniale subito dall’appellante dovesse essere determinato in applicazione delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, tenendo conto del grado di invalidità quantificato dal Consulente Tecnico d’Ufficio incaricato all’uopo e dell’età del ricorrente, che alla data del sinistro aveva 45 anni.

La somma in questione – secondo la Corte – risultava già aumentata per la componente di danno non patrimoniale relativa alla sofferenza soggettiva. Veniva altresì applicata un’ulteriore personalizzazione alla luce di quanto emerso in sede istruttoria circa la gravità del sinistro e dei postumi permanenti riportati.

Dalla somma così aumentata a 200mila euro veniva però detratto l’importo della rendita capitalizzata corrisposta dall’Inail nella misura di 135.772,31 euro, più altri 3.346,71 euro riconosciuti dall’Istituto per l’invalidità temporanea.

 

Il ricorso in Cassazione

Il lavoratore ha appellato la sentenza per Cassazione lamentando in particolare il fatto che la Corte territoriale aveva provveduto a decurtare l’intera rendita erogata dall’Inail dall’ammontare del danno civilistico, rendita che, in quanto corrispondente ad una menomazione stimata dall’Istituto nella misura del 29%, era comprensiva per legge sia dell’indennità per il danno biologico sia dell’indennità per il danno patrimoniale, per cui il mancato distinguo tra valori non omogenei avrebbe determinato una “illegittima e ingiustificata erosione del risarcimento spettante al ricorrente a titolo di danno non patrimoniale differenziale”, con violazione dell’art. 2059 c.c. e dell’art. 13 del d. lgs. n. 38 del 2000.

Una censura ritenuta fondata dalla Suprema Corte, che rammenta: “in tema di liquidazione del danno biologico cosiddetto differenziale, di cui il datore di lavoro è chiamato a rispondere nei casi in cui opera la copertura assicurativa Inail in termini coerenti con la struttura bipolare del danno-conseguenza, va operato un computo per poste omogenee, sicché, dall’ammontare complessivo del danno biologico, va detratto non già il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’Inail, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza dell’art. 13 del d. lgs. n. 38 del 2000, il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato, volta all’indennizzo del danno patrimoniale”

 

Non va scomputata la rendita Inail per il danno patrimoniale

Pertanto, laddove, come nello specifico, l’Inail abbia erogato in relazione all’infortunio una rendita mensile vitalizia per un danno superiore al 16%, l’indennizzo, per espressa previsione legislativa, ha necessariamente un duplice contenuto perché quell’importo è destinato a compensare sia il danno biologico, sia il danno patrimoniale da perdita della capacità di lavoro e di guadagno.

Dunque, come sottolineano gli Ermellini, il giudice dovrà attuare l’operazione di scomputo per poste omogenee, anche ex officio, “avendo questa Corte affermato che il giudice debba procedere alla decurtazione finanche se l’Inail non abbia in concreto provveduto all’indennizzo”.

La sentenza impugnata, invece, non si è attenuta a questo principio, avendo determinato il credito residuo del danneggiato nei confronti del datore di lavoro responsabile senza indicare il valore capitale della sola quota di rendita erogata dall’Inail per indennizzare il danno biologico: pertanto, su questo punto la sentenza è stata cassata, con rinvio al giudice che dovrà uniformarsi a quanto statuito.

 

E va ricompresa anche la quota per l’inabilità temporanea parziale

Non solo. La Cassazione ha accolto anche il motivo di ricorso con cui il lavoratore ha impugnato la statuizione della sentenza d’appello “quanto al risarcimento del danno per inabilità temporanea assoluta e parziale” e che è “parimenti fondato rispetto ad entrambe le critiche mosse alla sentenza impugnata”.

Il ricorrente infatti ha denunciato il fatto la Corte di merito aveva totalmente omesso di considerare che l’Inail riconosce e indennizza unicamente l’invalidità temporanea assoluta e non anche il danno da invalidità temporanea parziale.

“Anche tale censura merita accoglimento. Infatti, l’indennizzo erogato dall’Inail ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 non copre il danno biologico da inabilità temporanea, atteso che sulla base di tale norma, in combinato disposto con l’art. 66, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 1124 del 1965, il danno biologico risarcibile è solo quello relativo all’inabilità permanente.

Pertanto il danno biologico temporaneo, determinato da una inabilità temporanea, ha natura “complementare” e non è suscettibile di decurtazione che postula l’omogeneità delle poste da confrontare”.

Anche qui dunque la Corte territoriale, conclude la Cassazione, ha errato nel decurtare gli importi erogati dall’Inail “per l’invalidità temporanea”, senza tenere conto “della distinzione tra pregiudizi che sono coperti dall’assicurazione obbligatoria, per i quali può operare il meccanismo del danno differenziale, e pregiudizi esclusi da tale copertura, per i quali grava l’integrale responsabilità sul datore di lavoro”.

In definitiva, dunque, la causa è stata rinviata Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, per una sua ridefinizione sulla base dei principi pronunciati.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Infortuni sul Lavoro

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