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Aveva rispettato perfettamente i limiti di velocità,  ma non è stato prudente e non ha fatto nulla per evitare il pedone.

Con questa motivazione la Corte di Cassazione, nell’interessante sentenza n. 29314/19 depositata il 26 luglio 2019, ha confermato la condanna per omicidio stradale per un automobilista colpevole di aver investito un uomo che attraversava la strada, causandone il decesso, a conferma che quando si guida bisogna essere sempre attenti e concentrati e non è sufficiente mantenere “leggero” il piede sull’acceleratore.

 

Un automobilista investe e uccide un pedone: assolto in primo grado, condannato in appello

Il tragico incidente è successo nel centro abitato di Cagliari, nel luglio del 2009.  In primo grado il tribunale cagliaritano aveva assolto l’automobilista, anche in virtù del fatto che egli percorreva la strada in questione, via San Michele, ad una velocità consona di 45 km/h, al di sotto del limite dei 50 ivi vigente, ma la Corte d’appello di Cagliari, riformando la sentenza di assoluzione di primo grado, lo aveva dichiarato colpevole del delitto di cui all’art. 589, secondo comma, del Codice penale, “per avere cagionato per imprudenza, imperizia e negligenza e per violazione degli artt. 140 e 141 cod. strada, la morte di (omissis) perché ometteva di rallentare e di effettuare ogni manovra utile ad evitare l’investimento del pedone, che aveva già iniziato l’attraversamento”.

In seguito all’urto la vittima era stata sbalzata a una decina di metri di distanza riportando gravissimi politraumi ed era deceduto dopo un mese di agonia. L’imputato era stato dunque condannato alla pena (sospesa) di otto mesi di reclusione, al risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio a favore delle parti civili ed al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

 

Ricorso in Cassazione rigettato e condanna confermata

Il conducente della macchina ha proposto ricorso per Cassazione contro quest’ultima sentenza adducendo una serie di doglianze, tra cui l’omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in sede di appello, con particolare riferimento alla determinante deposizione di un testimone, l’omessa indicazione della tesi del perito della difesa e delle ragioni per cui fosse stata disattesa e la mancanza di motivazione sul nesso causale tra sinistro e decesso della vittima, avvenuto un mese dopo.

Per la Cassazione tuttavia nessuno dei motivi addotti merita accoglimento. “Nel caso di specie, peraltro – scrivono tra l’altro gli Ermellini – il giudice di appello è pervenuto alla condanna non in base ad una diversa valutazione dell’attendibilità o del contenuto delle deposizioni testimoniali, ma alla luce delle dichiarazioni dell’imputato stesso, rese proprio nel giudizio di appello, e alla luce di una più completa ricostruzione del contenuto della colpa stradale, sicché non ricorrono i presupposti dell’obbligo di rinnovazione della deposizione del teste (…)

Se, come nel caso di specie, il giudice ha indicato esaurientemente le ragioni del proprio convincimento, non è tenuto a rispondere in motivazione a tutti rilievi del consulente tecnico della difesa, in quanto la consulenza tecnica costituisce solo un contributo tecnico a sostegno della parte e non un mezzo di prova che il giudice deve necessariamente prendere in esame in modo autonomo”.

Pertanto, ricorso rigettato e condanna confermata per l’automobilista rispettoso dei limiti ma, nondimeno, poco prudente e non reattivo.

 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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