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Il giovane agente marittimo è stato colpito da un cavo spezzatosi durante la manovra di attracco: ha lasciato moglie e due figli piccoli. Udienza preliminare fissata il 9 novembre

La velocità era eccessiva e, soprattutto, la “cima” era completamente usurata. Inizierà il 9 novembre 2021 (alle 10.20), al palazzo di Giustizia di Ancona, il processo per la tragica morte sul lavoro, a soli 33 anni (ne avrebbe compiuti 34 di lì a pochi giorni), del compianto agente marittimo Luca Rizzeri che vedrà come unico imputato del reato di omicidio colposo il comandante della nave battente bandiera portoghese “M/N BF Philipp”: Andriy Dolgushyn, 53 anni, nato in Russia ma cittadino ucraino. A conclusione delle indagini preliminari, il Pubblico Ministero della Procura anconetana titolare del procedimento penale, dott. Rosario Lioniello, ha chiesto il rinvio a giudizio e, riscontrando la richiesta, il Gip del Tribunale, dott.ssa Paola Moscaroli, con atto del 16 luglio 2021 ha fissato appunto per il 9 novembre l’udienza preliminare di un processo dal quale i familiari della vittima, che sono assistiti da Studio3A, si aspettano finalmente verità e giustizia.

La tragedia ha avuto vasta eco non solo nel porto di Ancona, dove si è consumata il 10 giugno 2019, ma nell’intera città dove Rizzeri lavorava e viveva, anche per le modalità “assurde” con cui è accaduta. L’incolpevole giovane, dipendente della Adriano e Armando Montevecchi s.n.c., si trovava alla banchina n. 23 della nuova darsena del porto in attesa di iniziare le operazioni di scarico del naviglio che, proveniente dallo scalo di Trieste, stava attraccando, quando all’improvviso è stato colpito sulla parte destra del collo da una delle due estremità del primo cavo di ormeggio (spring di prora) dell’imbarcazione in questione che, in tensione, si è spezzato al momento dell’aggancio: una “frustata” terribile che non gli ha lasciato scampo, è deceduto sul colpo.

La Procura ha subito aperto un fascicolo iscrivendo inizialmente quattro persone nel registro degli indagati: oltre al comandante della “M/N BF Philipp”, anche il pilota della stessa e i due datori di lavoro dell’agente marittimo, ma nel corso degli accertamenti, condotti con l’ausilio della Capitaneria di Porto, la posizione degli ultimi tre è stata stralciata non avendo il magistrato riscontrato a loro carico responsabilità penali rilevanti nella produzione dell’incidente e tali da essere sostenute in giudizio, contrariamente a quelle rilevate invece in capo a Dolgushyn. Decisiva, al riguardo, la consulenza tecnica disposta dal dott. Lioniello e affidata all’ingegnere meccanico e navale Pasquale Frascione, con particolare riferimento alle conclusioni sul cavo sintetico, posto immediatamente sotto sequestro, il cui esame, ha concluso il Ctu, ha evidenziato “gravi ammaloramenti su tutta la sua lunghezza, soprattutto nel punto di rottura”. E “le prove di trazione di tre campioni hanno dato come risultato carichi di rottura che confermano lo stato della cima e che sono notevolmente inferiori a quelli previsti per un cavo dello stesso tipo e delle stesse dimensioni. Il cavo si è rotto perché sollecitato da uno sforzo di trazione prodotto dal movimento della nave che non era in grado di sostenere”. A ciò si è infatti aggiunto il fatto che l’imbarcazione ha approcciato la banchina con moto decrescente “ma ancora con velocità superiore a zero nella fase finale di ormeggio e che il cavo è stato passato alla bitta mentre essa era ancora in movimento”.

Di qui la richiesta di rinvio a giudizio da parte del Pubblico Ministero per il comandante accusato di aver causato la morte dell’agente marittimo “perché, per colpa consistita in negligenza, imperizia o imprudenza e in ogni caso nella violazione delle norme poste a disciplina della navigazione – segnatamente quelle che impongono al comandante di mantenere una velocità del naviglio adeguata ai presidi di bordo nonché di utilizzare cordami per gli attracchi in adeguato stato di conservazione –, consentiva che le operazioni di attracco avvenissero a una velocità eccessiva e comunque non proporzionata alle condizioni di usura dei cavi impiegati per l’attracco alle bitte esistenti”. Alla luce di tali elementi, conclude il Sostituto Procuratore, “al momento dell’aggancio del cavo “spring” alla bitta n. 5, in ragione del grave ammaloramento dello stesso – con conseguente forte decadimento della sua resistenza alla trazione e quindi complessivamente non idoneo all’uso per cui era destinato – al raggiungimento della forza di 14,93 tonnellate esercitata dal moto della nave esso cedeva repentinamente”, con le conseguenze tristemente note.

La moglie di Rizzeri, che ha lasciato anche due figli di (oggi) 11 e appena quattro anni, per essere assistita, attraverso il consulente legale Andrea Polverini, si è affidata a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata  a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, e confida di ricevere una risposta forte dalla giustizia penale per la terribile perdita subita, ma anche che questo punto fermo dell’inchiesta porti finalmente i soggetti coinvolti, con particolare riferimento alla società armatrice della nave, ad assumersi le loro responsabilità anche sul fronte risarcitorio: in più di due anni la vedova e i suoi due figli minori, che con il marito e il papà hanno perduto anche la principale fonte di sostentamento della famiglia, nonostante le richieste avanzate stanno ancora aspettando di essere equamente risarciti.

Caso seguito da:

Andrea Polverini

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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