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Anche se una persona cade a causa di una comprovata insidia e si fa male in un terreno privato a ridosso di una strada, l’Ente gestore della stessa non va indenne da responsabilità, dovendo sempre vigilare affinché dai fondi privati non insorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada e dovendo altresì avere cura non solo della sede stradale ma anche degli elementi accessori e delle pertinenze, comprese le barriere laterali che la proteggono.

A ribadire con forza questi principi e gli obblighi in capo alla Pubblica Amministrazione la Cassazione, terza sezione civile, con l’interessante ordinanza n. 27137/23 depositata il 22 settembre 2023.

 

Un uomo cade in un fosso adiacente una Provinciale e cita la parrocchia del paese e la Provincia

Un uomo aveva citato in giudizio avanti il tribunale di Savona la parrocchia del suo paese e la Provincia di Savona per ottenerne la condanna al risarcimento dei gravi danni fisici patiti a seguito di una rovinosa caduta in un fossato-intercapedine nei pressi della chiesa e ai lati di una strada provinciale avvenuta tre anni prima durante una sagra estiva.

Istruita la causa disponendo anche una consulenza tecnica medico-legale, i giudici savonesi avevano accolto la richiesta, ritenendo che il fatto storico fosse stato adeguatamente comprovato sulla base delle dichiarazioni di un testimone e della documentazione in atti e condannando parrocchia e provincia a liquidare al danneggiato, in solido, una somma di 91.333 euro, oltre agli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo e alle spese di lite e di Ctu.

La Provincia aveva quindi appellato la decisione avanti la Corte d’Appello di Genova, con svariati motivi relativi all’identificazione della proprietà del terreno ove si era verificato il fatto, al mancato rilievo del comportamento della vittima della caduta tale da integrare il caso fortuito o, quantomeno, il concorso nella causazione dell’evento, alla erronea “parificazione” della responsabilità ex art. 2051 c.c. della Provincia rispetto a quella della Parrocchia e al calcolo e alla liquidazione del risarcimento del danno che sarebbero stati effettuati in violazione di principi di legge e dell’orientamento giurisprudenziale univoco.

Anche la parrocchia aveva proposto appello chiedendo che fosse rigettata ogni domanda del danneggiato e, in subordine, che ne fosse riconosciuto il prevalente concorso di colpa, riducendo quindi della metà la somma da liquidare all’esito del giudizio di primo grado, e confermando in ogni caso la responsabilità solidale della Provincia.

Con sentenza dell’aprile 2020, la Corte territoriale aveva parzialmente accolto l’appello della Provincia riformando la sentenza di primo grado limitatamente alla parte relativa alla quantificazione del danno, ma aveva confermato nel resto la decisione e quindi la condanna dei due soggetti citati in causa al risarcimento.

 

La Provincia ricorre in Cassazione, la caduta era occorsa su terreno privato

L’Ente provinciale a questo punto ha proposto anche ricorso per Cassazione e il motivo che qui più preme è il primo, con cui ha lamentato la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e/o 2051 del codice civile con riferimento alla loro applicazione in materia di responsabilità dell’Ente proprietario della strada. In sintesi, la Corte d’appello, secondo la tesi difensiva, avrebbe erroneamente ritenuto responsabile del sinistro la Provincia, quale ente proprietario della strada, poiché era la medesima a dover prevenire la situazione di pericolo. Al contrario, la ricorrente sostiene che la caduta si era verificata all’interno della proprietà privata limitrofa, e non sulla sede stradale o sulla cosiddetta banchina sita a margine ed a livello della stessa, in quanto il fossato intercapedine, non rientrando nel concetto di banchina, non poteva ricadere sotto la responsabilità della Provincia.

Inoltre, la Provincia savonese ha ribadito la doglianza già espressa in appello, sostenendo che la Corte territoriale avrebbe errato nel non ritenere sussistente una qualsiasi responsabilità, esclusiva o concorrente, del danneggiato nella causazione dell’incidente, che si sarebbe peraltro concretizzata nella violazione dell’art. 190 del Codice della Strada: l’uomo rimasto vittima della rovinosa caduta avrebbe dovuto camminare sui marciapiedi, sulle banchine, sui viali e sugli spazi per essi predisposti e – qualora mancassero, come nel caso di specie – circolare sul margine della carreggiata opposta al senso di marcia dei veicoli, e non spingersi oltre il margine di questa, che coincide con il limite della superficie sita a livello della sede stradale.

 

La Cassazione rigetta le doglianze, l’Ente gestore deve vigilare sui terreni limitrofi

Ma la Suprema Corte ha rigettato le doglianze ribadendo, quanto alla prima, che “l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito, pur non essendo custode dei fondi privati che la fiancheggiano, e non avendo alcun obbligo di provvedere alla manutenzione dei medesimi, tuttavia, ha l’obbligo di vigilare affinché dai suddetti fondi non sorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada e – in caso affermativo – di attivarsi per rimuoverle o farle rimuovere”.

Facendo rimuovere ai privati ogni situazione di pericolo

L’ente proprietario della strada pertanto “versa in colpa, che costituisce fonte di responsabilità, quando, pur potendo avvedersi con l’ordinaria diligenza di una situazione di pericolo proveniente da un fondo privato, non la segnali al proprietario e non adotti i presidi e provvedimenti cautelativi atti a prevenire ed evitare pregiudizi agli utenti della strada”.

I giudici del Palazzaccio ricordano poi che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., “opera anche per la Pubblica Amministrazione in relazione ai beni demaniali, con riguardo, tuttavia, alla causa concreta del danno, rimanendo l’amministrazione liberata dalla responsabilità suddetta ove dimostri che l’evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l’intervento riparatore dell’ente custode”.

 

L’obbligo di custodia non si limita alla sede stradale ma riguarda pure le pertinenze

E, ancora, gli Ermellini sottolineano, citando sentenze pregresse della stessa Cassazione, che “lobbligo di prevenire le situazioni di pericolo e di mantenere in efficienza le strade aperte al pubblico transito comporta, per lente proprietario, il correlato obbligo di prevenire e, se del caso, segnalare qualsiasi situazione di pericolo o di insidia inerente non solo alla sede stradale ma anche alla zona non asfaltata sussistente ai limiti della medesima, posta a livello tra i margini della carreggiata e i limiti della sede stradale (banchina), tenuto conto che essa fa parte della struttura della strada, e che la relativa utilizzabilità, anche per sole manovre saltuarie di breve durata, comporta esigenze di sicurezza e prevenzione analoghe a quelle che valgono per la carreggiata”.

Pertanto, la circostanza che sulla sede stradale fosse presente un ostacolo proveniente da un’area esterna alla stessa “non bastava di per sé ad escludere la responsabilità per custodia, ex art. 2051 c.c., dellamministrazione comunale, salvo che questa non avesse provato il caso fortuito”.

Inoltre, la Cassazione pone l’accento anche sugli obblighi dell’Ente custode in materia di opere di protezione quali barriere e guardrail. “In materia di responsabilità ex art. 2051 c.c., la custodia esercitata dal proprietario o gestore della strada non è limitata alla sola carreggiata, ma si estende anche agli elementi accessori o pertinenze, ivi comprese eventuali barriere laterali con funzione di contenimento e protezione della sede stradale, sicché, ove si lamenti un danno derivante dalla loro assenza (o inadeguatezza), la circostanza che alla causazione dello stesso abbia contribuito la condotta colposa dellutente della strada non è idonea ad integrare il caso fortuito, occorrendo accertare giudizialmente la resistenza che la presenza di unadeguata barriera avrebbe potuto opporre allurto da parte del mezzo”

 

Il malcapitato peraltro era caduto su un fossato occultato dall’erba alta

Venendo quindi al caso in questione, secondo la Suprema Corte la sentenza impugnata “ha ben motivato che nella fattispecie in questione fosse esigibile che il personale addetto alla manutenzione della strada provinciale si avvedesse della situazione di pericolo in cui versava il tratto adiacente al ciglio della strada ove è caduto omissis)”. L’assunto dell’appellante, ed in particolare che la zona in cui il danneggiato era caduto ai trovasse, “ben oltre la carreggiata destinata al transito dei veicoli, ben oltre il bordo della strada in cui parcheggiano i veicoli, ben oltre il tratto asfaltato successivo alla linea bianca lungo almeno un metro, ben oltre il tratto (di almeno mezzo metro di lunghezza) ricoperto di erba; ben oltre gli arbusti posti al termine del suddetto tratto di ricoperto di erba” per citare l’atto di appello, “non appare coerente con le emergenze processuali” proseguono gli Ermellini, chiarendo anche che la pronuncia gravata “motiva che la fattispecie in esame rientra a pieno titolo nelle ipotesi cui fa riferimento la giurisprudenza sopra richiamata, nelle quali scatta l’obbligo per l’ente proprietario di prevenire e, se del caso, segnalare qualsiasi situazione di pericolo o di insidia inerente non solo alla sede stradale ma anche alla zona non asfaltata sussistente ai limiti della medesima, al fine di evitare danni non solo ai mezzi, anche ai pedoni”.

La Cassazione ha infine condiviso anche la motivazione con cui la Corte territoriale aveva ritenuto infondato l’assunto della Provincia secondo il quale si sarebbe dovuta individuare una responsabilità concorrente della vittima, “tenuto conto che il buco era “mascherato” a causa della presenza di erba alta che impediva di visualizzare il “vuoto” sottostante,  della semioscurità data dall’ora notturna, e che il danneggiato si trovava nelle immediate vicinanze della strada, oltre che in prossimità dello spigolo dell’edificio, sicché non era esigibile né prevedibile l’improvvisa mancanza di terreno”.

Respinto quindi anche il secondo motivo di doglianza, la Suprema Corte ha dunque rigetto il ricorso confermando la condanna della Provincia al risarcimento.

 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Responsabilità della Pubblica Amministrazione

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