Hai bisogno di aiuto?
Skip to main content

Si tratta di una tipologia di incidenti frequenti, che in genere causano solo danni materiali ma che non di rado provocano feriti e anche tragedie, eppure la controparte rigetta puntualmente le richieste di risarcimento. Parliamo dei sinistri che accadono in autostrada per via di ruote, parti di carico e quant’altro che mezzi terzi perdono durante la marcia e che il malcapitato di turno, che sta inevitabilmente procedendo a oltre cento chilometri all’ora e magari di notte, non riesce a scorgere in tempo e ad evitare.

Ebbene, con l’importante ordinanza n. 31949/23 depositata il 16 novembre 2023 la Cassazione ha ribadito il principio che la responsabilità grava sull’Ente gestore del tratto autostradale, che quindi deve risponderne.

 

Automobilista cita il gestore per i danni alla vettura causati da una ruota centrata in autostrada

Nello specifico, di fronte al consueto diniego dell’indennizzo, il proprietario di una vettura aveva citato in causa Aspi, Autostrade per l’Italia, chiedendo di essere risarcito dei pesanti danni causati all’auto dalla ruota completa con cerchione perduta da un autoarticolato e rimasta sulla sede stradale con cui suo figlio, che si trovava alla guida dal veicolo, aveva impattato.

Domanda accolta in primo grado ma rigettata in secondo

Il tribunale di Genova, ritenuta accertata la responsabilità del gestore ai sensi dell’art. 2051 del codice civile, aveva accolto la domanda liquidando la somma di 11.400 euro al proprietario della macchina, di cui cinquecento per fermo tecnico. Ma Aspi aveva appellato la decisione e la Corte d’Appello di Genova, con sentenza del 2020, aveva accolto l’impugnazione, ritenendo che il giudice di primo grado non avesse valutato adeguatamente le circostanze del caso, e aveva pertanto respinto la richiesta danni.

Il danneggiato ricorre per Cassazione lamentando tra l’altro l’inversione dell’onere della prova

Il proprietario del mezzo incidentato a questo punto ha proposto ricorso per Cassazione, avanzando tutta una serie di motivi di doglianza, a cominciare dal fatto che la Corte territoriale aveva invertito l’onere della prova, arrivando a gravare il danneggiato di un onere probatorio più ampio di quello imposto dalla legge e ritenendolo, invece, assolto da parte del gestore, oltre ad aver giudicato sulla base di elementi in alcun modo presenti, ipotizzando che suo figlio percorresse la sede stradale a forte velocità senza che tuttavia tale riscontro si rinvenisse da alcun elemento probatorio: nel verbale della polizia stradale intervenuta sul posto non si faceva alcun accenno a tale circostanza, con la conseguenza che i giudici di secondo grado non avrebbero nemmeno attribuito il valore di prova legale a quell’atto pubblico firmato dagli agenti.

 

Ricorso accolto, il custode risponde delle alterazioni a meno che non provi che siano improvvise

La Suprema Corte gli ha dato piena ragione. “Anche il custode di una strada aperta al pubblico transito risponde delle alterazioni di quella, a meno che non provi che, per il carattere improvviso della modifica delle condizioni originarie, non sia stato inesigibile un intervento tale da scongiurare, per quanto possibile, le conseguenze potenzialmente dannose di tale modifica” spiega la Cassazione.

In buona sostanza, “a mano a mano che il tempo trascorre dal suo accadimento in rapporto alle concrete possibilità di estrinsecazione della signoria di fatto su quella, la modifica stessa finisce con il fare corpo con la cosa stessa, sicché è a quest’ultima, come in effetti modificata anche dall’evento originariamente improvviso, che correttamente si ascrive il fatto dannoso che ne deriva”.

La Corte d’appello non ha verificato se il servizio di controllo fosse stato effettivamente svolto

Ebbene, nel caso di specie, proseguono gli Ermellini, la Corte d’appello di Genova ha proceduto ad un “esame meramente formaledell’assolvimento dell’obbligo di vigilanza gravante sul custode della cosa, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., ritenendo sufficiente che avesse predisposto un servizio di controllo sul tratto autostradale, di circa trenta chilometri, nel quale si era verificata la collisione per l’appunto tra l’auto e la ruota “verosimilmente staccatasi dal treno di gomme di un autoarticolato”. Ma questo, osservano i giudici del Palazzaccio, “senza accertare se effettivamente detto servizio di vigilanza fosse stato espletato adeguatamente anche nelle ore notturne”, in quanto l’impatto si era verificato nel corso della notte e peraltro in condizioni atmosferiche avverse, sotto la pioggia battente.

Invece, i giudici di secondo grado, prosegue la sentenza della Cassazione, avrebbero dovuto accertare, per escludere la responsabilità – “altrimenti inevitabilmente incombente sul custode della cosa” sottolineano gli Ermellini – “che la modifica sia stata così repentina ed improvvisa che non sia stato possibile, secondo un criterio di normalità causale, esigere in concreto al custode un intervento di ripristino od eliminazione della modifica pericolosa, verificando non già la predisposizione astratta di un piano di interventi, ma, nello specifico, se nel medesimo contesto del sinistro questi vi fossero stati e fossero stati idonei ad elidere la responsabilità del custode”.

 

Sentenza impugnata errata anche in punto di nesso causale e il “fortuito” va provato dal custode

Inoltre, rimarca la Cassazione, la sentenza d’appello risulta palesemente errata anche “in punto di nesso causale, in quanto ha affermato che vi era assenza della prova del nesso causale, senza considerare che pacificamente l’ostacolo (la ruota) era in origine sulla carreggiata e non rileva in alcun modo che esso fosse stato, o meno, urtato prima da un altro o anche da più di un altro veicolo”: circostanza, questa, che, asserisce con forza la Suprema Corte, “a tutto concedere avrebbe dovuto essere rigorosamente provata appunto dal custode, che avesse voluto per ciò solo invocare una esenzione della propria altrimenti istituzionale responsabilità”.

Non era stata provata in alcun modo la presunta eccessiva velocità del veicolo incidentato

Infine, concludono i giudici del Palazzaccio convenendo con il ricorrente, la Corte territoriale ha “incongruamente” dato rilievo a fatti quali la forte velocità dell’autovettura “in modo del tutto apodittico, in quanto non desunti da fonti di prova ritualmente acquisite nel corso del processo di merito, desunta da elementi non decisivi e comunque non provati in giudizio, affermando che “l’importanza dei danni lamentati ed il tratto rettilineo della strada nel punto dell’incidente suscitano forti dubbi sulla velocità non adeguata alle circostanze di tempo e di luogo tenuta dal conducente”.

Non si può far gravare sul danneggiato l’onere di provare l’insussistenza del caso fortuito

Questa motivazione, conclude la Suprema Corte, “viola l’art. 2697 cod. civ., attribuendo rilevanza a elementi non provati ritualmente in giudizio e comunque sulla base di circostanze fattuali non riscontrate e facendo gravare in concreto l’onere della prova dell’insussistenza del caso fortuito sulla parte che ha proposto la domanda e non viceversa, secondo il paradigma disegnato dal combinato disposto degli artt. 2051 e 2697 cod. civ.”.

Dunque, ricorso accolto, sentenza cassata e causa rinviata per il suo riesame alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione che, nel decidere la controversia, “dovrà attenersi ai principi sanciti”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

Vedi profilo →

Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

Condividi

Affidati a
Studio3A

Nessun anticipo spese, pagamento solo a risarcimento avvenuto.

Contattaci

Articoli correlati


Skip to content