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Il codice della strada va rispettato sempre, anche quando si è fermi. Ad esempio, non bisogna sostare con il proprio veicolo laddove si crea intralcio o pericolo e quando si apre la portiera per scendere o salire, se si invade la sede stradale, bisogna assicurarsi che non sopraggiunga nessuno, perché l’incauta apertura della porta può causare conseguenze anche molti gravi a pedoni e ancor di più a ciclisti e motociclisti.

Di un tragico caso sul genere di è occupata la Cassazione nella sentenza 24383/22 depositata il 24 giugno 2022, nella quale la Suprema Corte, nel confermare la condanna per omicidio colposo di un’automobilista, ha anche ribadito il principio che non rileva in alcun modo il fatto che tra portiera aperta avventatamente e il danneggiato, nello specifico un motociclista, non vi sia stato alcun contatto, perché ciò che conta è che la manovra in sé ha innescato nella vittima il convincimento di trovarsi di fronte ad un improvviso e imprevisto ostacolo, con la conseguente perdita di controllo del mezzo nel tentativo di evitarlo.

Caduta di un motociclista causata dall’incauta apertura della porta di un’auto

La sera del 26 luglio 2011 un giovane stava percorrendo corso Vittorio Emanuele a Napoli su una Yamaha, quando all’improvviso aveva bruscamente frenato e perso il controllo del mezzo, scontrandosi prima contro un’auto parcheggiata sul lato destro della sua corsia di marcia e poi finendo nella opposta corsia dove aveva avuto l’ulteriore ventura di essere investito do da un’auto che vi sopraggiungeva: una serie di carambole terribili che non gli hanno lasciato scampo.

La perdita di controllo della due ruote da parte del centauro, però, era avvenuta a causa del fatto che aveva dovuto evitare l’impatto contro la portiera anteriore sinistra di una Fiat Panda, parcheggiata sul lato destro di corso Vittorio Emaneule negli appositi spazi dedicati alla sosta, che era stata improvvisamente (e incautamente) aperta e poi richiusa dalla conducente. 

La quale era stata quindi indagata per omicidio (allora ancora) colposo aggravato per aver causato il decesso del motociclista per negligenza e imprudenza, nonché per colpa specifica, consistita nell’inosservanza delle norme disciplinanti la circolazione stradale (in specie dell’art. 157 comma 7 del D.Lvo 30 aprile 1992 n. 285), e condannata dal Tribunale di Napoli, con sentenza confermata nel 2020 dalla Corte d’Appello partenopea. 

 

L’automobilista, condannata per omicidio colposo, ricorre per Cassazione

L’imputata tuttavia ha proposto ricorso anche per Cassazione lamentando il fatto che i giudici avessero ugualmente ritenuto violata da parte sua la regola cautelare, per non essersi assicurata che la corsia di marcia fosse libera, benché non vi fosse stato alcun tipo di contatto tra la moto e la portiera dell’auto (aperta e immediatamente richiusa), né alcun restringimento anche solo temporaneo della careggiata.  La Corte avrebbe sostenuto, in maniera illogica, la sua colpa per aver posto in essere una condotta, ovvero l’immediata chiusura della porta, finalizzata a evitare sostanzialmente la concretizzazione di quel rischio che la norma mirava ad evitare.

In secondo luogo, la ricorrente ha sostenuto che la Corte territoriale non avrebbe dato alcun peso al dato probatorio dell’elevata velocità a cui procedeva il motociclo condotto dalla vittima, sostenendo che questa velocità eccessiva e le disconnessioni di quel tratto di strada non potessero configurarsi come cause di per sé sole idonee a determinare l’evento.

 

La Suprema Corte rigetta tutte le doglianze: l’imputata non aveva guardato prima di aprire

Per la Suprema corte, tuttavia, le doglianze sono infondate. Gli Ermellini ricordano innanzitutto che la dinamica dell’incidente era stata ricostruita non solo attraverso i rilievi foto-planimetrici eseguiti dagli agenti nell’immediatezza, ma anche sulla base del filmato del sistema di video-sorveglianza di un vicino hotel. Dal video i giudici territoriali, che avevano anche per questo ritenuto integrato il profilo di colpa specifico contestato all’imputata, avevano osservato come fosse ben visibile la successione dell’apertura e poi della rapida chiusura della porta, indicativa del fatto che la conducente della macchina nel momento in cui aveva aperto lo sportello non si era preventivamente assicurata che la corsia di marcia fosse libera. “I giudici hanno, quindi, concluso – spiega la Suprema corte  che l’automobilista aveva aperto lo sportello senza guardare indietro e senza verificare di non costituire intralcio alla circolazione”. 

Irrilevante la mancanza di contatto, per la vittima era stata una determinante “turbativa”

La Suprema Corte concordia altresì laddove la Corte di Appello aveva rilevato che la violazione della regola cautelare imposta dall’art. 157 comma 7 CdS era “indipendente sia dal fatto che non vi fosse stato impatto fra la portiera e la vittima, sia dal fatto che l’apertura della porta non avesse creato ingombro della carreggiata, giacché, attraverso la descritta condotta colposa, l’imputata aveva innescato il convincimento della vittima i non poter procedere nella sua corsia di marcia e la conseguente perdita di controllo del mezzo. Ne consegue che il rischio concretizzatosi attraverso la violazione della regola cautelare era proprio quello che detta regola mirava a prevenire”. 

Gli Ermellini rammentano altresì, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, “che è responsabile del reato di lesioni personali colpose colui che apra lo sportello dell’auto senza prestare la dovuta attenzione ai veicoli sopraggiungenti, causando così la caduta di un motociclista che urti contro la portiera stessa, e che l’apertura dello sportello di un veicolo, dal lato che prospetta verso il centro della strada, è manovra che costituisce pericolo ed intralcio per la circolazione e va pertanto effettuata con ogni più opportuna cautela e senza costringere gli altri utenti della strada a manovra di emergenza”. Insomma, secondo i giudici del Palazzaccio le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito, sono “coerenti con le risultanze probatorie acquisite e conformi al diritto. 

 

L’eccesso di velocità non esclude l’antecedente causale della violazione dell’automobilista

Ma per la Cassazione sono infondati anche i motivi relativi alla mancata valorizzazione ai fini della interruzione del nesso causale della condotta colposa della vittima, (consistita nel procedere a velocità elevata) e degli avvallamenti presenti sulla sede stradale. Anche per i giudici del Palazzaccio, come per quelli territoriali, tali circostanze “non erano comunque dirimenti, in quanto l’antecedente causale necessario della manovra della vittima era stato pur sempre la violazione della regola cautelare da parte dell’automobilista”. 

l percorso argomentativo della Corte territoriale non è stato  pertanto “viziato dal travisamento del dato probatorio, in quanto i giudici si sono limitati ad affermare che tale dato era comunque insignificante per le ragioni esplicitate. Né appare ravvisabile nell’individuazione del nesso fra la condotta colposa e l’evento alcuna violazione dei principi che presiedano al tema della causalità, giacché è principio pacifico, in terna di omicidio colposo conseguente a sinistro stradale, quello per cui l’eccesso di velocità della vittima (così come le condizioni della strada), non può valere ed escludere il nesso di causa tra la condotta del conducente di un’autovettura che, agendo in violazione delle regole del Codice della Strada, abbia determinato l’impatto. 

La nozione di causa di per sé sola sufficiente a determinare l’evento, concludono gli Ermellini, “che ai sensi dell’art. 41, comma 2, cod. pen, vale ad escludere il nesso di causa coincide, nella elaborazione costante della Corte di cassazione, con la causa che innesca un percorso causale completamente autonomo da quello determinato dall’agente, ovvero quella che realizza una linea di sviluppo del tutto anomala e imprevedibile della condotta antecedente. Immune da censure è, dunque, il ragionamento della Corte di Appello che ha ravvisato nel caso in esame la cosiddetta causalità della colpa, intesa come introduzione, da parte del soggetto agente, del fattore di rischio poi concretizzatosi con l’evento, ed ha escluso la portata interruttiva del comportamento colposo del conducente della moto”. Ricorso dunque rigettato e condanna confermata. 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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