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La Consulenza tecnica d’ufficio svolge un ruolo importante per aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti, ma non è “legge”. Con l’ordinanza n. 25354/22, depositata il 25 agosto 2022, la Cassazione è tornata ad esprimersi sulla valenza della Ctu.

A determinare il chiarimento in materia il ricorso proposto da un motociclista contro la sentenza del 2021 con cui il Tribunale di Siena quale giudice di seconde cure, confermando peraltro il pronunciamento di primo grado del Giudice di pace di Montepulciano, aveva rigettato la sua opposizione a una sanzione amministrativa per eccesso di velocità.

 

Un motociclista ricorre contro una sanzione per eccesso di velocità in occasione di un sinistro

Secondo il ricorrente il Tribunale aveva erroneamente respinto la sua istanza di acquisizione della Consulenza Tecnica di Parte e di ammissione di una Consulenza Tecnica d’Ufficio sulla dinamica del sinistro da cui era originata la sanzione a suo carico, e avrebbe altresì errato ad attribuire al verbale dei carabinieri valore di prova legale sulla dinamica stessa, non avrebbe fornito motivazioni sulla mancata ammissione delle prove e non avrebbe operato una valida verifica sull’effettiva velocità tenuta con il suo motociclo. 

La Suprema Corte rigetta le doglianze, in primis quella circa la mancata Ctu

Per la Suprema Corte tuttavia i tre motivi di doglianza sono inammissibili. “Il Tribunale – obietta la Cassazione – ha ritenuto superflua l’acquisizione della Ctp e l’ammissione della Ctu sulla dinamica del sinistro, in quanto, alla luce dei rilievi dei carabinieri e delle dichiarazioni rese dai testimoni sentiti a sommarie informazioni dai verbalizzanti, ha ritenuto provato che il ricorrente non aveva regolato la velocità in modo da non costituire pericolo in relazione al tratto di strada che stava percorrendo, in prossimità di un centro abitato, in salita, senza visuale libera e in prossimità di un incrocio, così incorrendo nella violazione dell’art. 141, co. 3 e 8, del Codice della Strada”, ossia violazione del limite di velocità nell’attraversamento di un centro abitato.

Più precisamente, entrano nel dettaglio i giudici del Palazzaccio, il tribunale aveva ben evidenziato che gli agenti accertatori nella relazione dell’incidente avevano rilevato che il sinistro era avvenuto in prossimità di un centro abitato, che nel senso di marcia del motociclista vi era segnaletica verticale che avvertiva della presenza di pericoli quali “dosso”, “strettoia”e “incrocio con diritto di precedenza”. Ancora, che in seguito all’urto era risultata distrutta la parte anteriore del motoveicolo, mentre il serbatoio e la carena erano gravemente danneggiati, oltre agli ingenti danni alle parti meccaniche, e che l’auto convolva nel sinistro, una Audi A6 Avant, presentava la fiancata sul lato passeggero fortemente danneggiata così come il montante degli sportelli dello stesso lato e il parabrezza anteriore, incrinato, ulteriore segno che la moto doveva procedere a velocità sostenuta, senza contare che non vi erano tracce di frenata sull’asfalto. 

 

Dinamica chiara anche in forza delle varie testimonianze acquisite

Inoltre, al momento del sinistro vi erano diversi testimoni che avevano assistito all’impatto e che, sentiti a sommarie informazioni, avevano consentito di ricostruire appieno la dinamica dei fatti. “Risulta pertanto evidente – prosegue la Suprema Corte – , che il Tribunale non ha attribuito al verbale di accertamento dei carabinieri fede privilegiata ex art. 2700 c.c. ma ha fatto specifico riferimento all’indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo il quale il rapporto di polizia fa piena prova, fino a querela di falso, solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell’indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, il verbale, per la sua natura di atto pubblico, ha pur sempre un’attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria”. 

La Ctu non è mezzo di prova in senso proprio e sta al giudice decidere di disporla o meno 

Dunque, “la giurisprudenza richiamata dal ricorrente sulla necessità di accertamento della dinamica del sinistro mediante Ctu è del tutto inconferente, mentre è congruamente motivata la decisione sia in ordine al rigetto della richiesta di Ctu sia in ordine alla prova della violazione” aggiungono i giudici del Palazzaccio, che con l’occasione intendono dare continuità all’orientamento secondo cui la consulenza tecnica d’ufficio “non è un mezzo di prova in senso proprio, poiché è volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti ed è quindi sottratta alla disponibilità delle parti, essendone rimessa l’ammissione, o la mancata ammissione, al prudente apprezzamento del giudice di merito, che nel caso di specie ha adeguatamente motivato le ragioni del proprio convincimento”.

Il ricorso è stato quindi rigettato e la sanzione per eccesso di velocità confermata. 

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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