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Chi è pizzicato alla guida in stato di ebbrezza non può addurre a propria discolpa il fatto di aver assunto medicinali con componente alcolica: al di là di quanto (in genere molto poco) il farmaco possa incidere sui valori rilevati, infatti, il conducente deve conoscere i potenziali rischi di questa assunzione e, nel caso, astenersi dal mettersi al volante. Lo ha ribadito la Cassazione, quarta sezione penale, con la sentenza n, 44947/21 depositata il 6 dicembre 2021,

Un automobilista viene condannato per guida in stato di ebbrezza

La vicenda. Un automobilista era stato condannato, sia in primo grado sia in secondo (con sentenza del 31 gennaio 2020) dalla Corte d’appello di Palermo, per il reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. b), e 2-sexies, cod. strada, ossia guida in stato di ebbrezza.

L’imputato ricorre per Cassazione sostenendo che un farmaco assunto aveva alterato i valori

L’imputato, attraverso il proprio difensore, ha tuttavia proposto ricorso anche per Cassazione dolendosi del fatto che i giudici territoriali non avessero valorizzato elementi in suo favore e discolpa: la misurazione del tasso alcolemico, che superava il limite, sarebbe stata alterata dall’assunzione di prodotti farmacologici, in particolare colluttori. Il ricorrente lamentava inoltre che la Corte d’appello non avesse inteso assumere una prova decisiva al riguardo, respingendo la sua richiesta di perizia sul farmaco assunto, lo sciroppo Lisomucil, per verificarne l’incidenza sui valori di alcool rilevati

La Suprema corte rigetta le doglianze: l’incidenza dello sciroppo era minima

Per la Suprema Corte, tuttavia, il ricorso è inammissibile. La quarta sezione penale, con sottolineando per l’ennesima volta che le censure in fatto già esaminate e disattese dal giudice di merito non sono riproponibili in sede di legittimità, convengono con le “motivazioni coerenti e adeguate” con cui la Corte d’appello aveva respinto le tesi difensive. La Cassazione evidenza come il perito nominato ad hoc aveva accertato che il medicinale in questione non poteva in alcun modo incidere, se non marginalmente, sul valore di alcool riscontrato.

Ed è onere del conducente accertare la compatibilità tra assunzione del medicinale e guida

Ma, soprattutto, la Suprema Corte conferma l’insegnamento richiamato correttamente in sentenza dai giudici di merito, secondo cui, “in tema di guida in stato di ebbrezza, l’elemento psicologico del reato non è escluso dall’assunzione di farmaci ad elevata componente alcolica, essendo onere del conducente accertare la compatibilità dell’assunzione con la circolazione stradale. In altre parole, chi fa uso di medicinali con alcool, prima di mettersi al volante, deve informarsi bene su quanto essi possano incidere sul tasso alcolemico, non solo in funzione di un eventuale controllo con l’alcool test ma anche e soprattutto per le conseguenze sulla concentrazione alla guida.

I giudici del Palazzaccio hanno respinto anche il motivo di doglianza relativo al diniego della causa di non punibilità da parte della Corte d’Appello palermitana. “E’ stata infatti giustamente valorizzata – conclude la Cassazione – la non trascurabile pericolosità della condotta tenuta dall’imputato, considerato che egli conduceva la vettura in un centro abitato, in evidente stato di ebbrezza ed in orario notturno”. Dunque, condanna confermata in toto.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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