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Purtroppo le gare di velocità sulla strada non sono un fenomeno limitato al cinema, basti ricordare “Gioventù Bruciata” con James Dean (in foto). Le corse clandestine o le estemporanee sfide al volante, ovviamente tassativamente vietate dal codice, sono più frequenti di quanto si pensi e spesso finiscono in tragedie, che mietono giovani vittime e che possono anche coinvolgere ignari e incolpevoli terzi.

In questi casi chi è accusato e condannato per averne preso parte non può invocare le attenuanti previste per il reato di omicidio stradale, in quanto la fattispecie di delitto è ancora più grave, ossia “morte o lesioni in conseguenza di altro delitto”, ai sensi dell’art. 586 del codice penale, che punisce – ed è qui la discriminante fondamentale – anche il dolo.

A chiarire bene il concetto la Cassazione, nella sentenza 22768/21 depositata il 9 giugno 2021, con la quale la Suprema Corte ha confermato la condanna emessa dalla Corte territoriale di un trentunenne di origine rumena ma residente da tempo in Italia.

 

Giovane condannato per aver ingaggiato una gara di velocità in strada con un amico deceduto

Il giovane era stato condannato dal Tribunale di Treviso, competente per territorio, a due anni di reclusione, alla pena accessoria della revoca della patente di guida e al risarcimento del danno in favore delle parti civili, con assegnazione di una provvisionale, per aver gareggiato in una folle competizione di velocità con un’altra vettura il cui conducente, un suo amico e connazionale, aveva perso la vita: nell’effettuare una manovra di sorpasso, questi aveva perso il controllo del mezzo, era uscito di strada e si era schiantato contro un platano riportando lesioni letali.

Condanna confermata anche in secondo grado dalla Corte d’Appello di Venezia con sentenza del 2019. All’imputato erano stati contestati i reati di cui agli artt. 9 C. d. S. (capo a), art. 586 cod. pen. (capo b) e art. 189, comma 1 e 7 C. d. S., ossia fuga e omissione di soccorso: non bastasse, infatti, si era allontanato dal luogo del sinistro senza prestare assistenza al suo “avversario”.

Il giovane tuttavia ha proposto anche ricorso per cassazione, adducendo attraverso il proprio legale quattro motivi. Con il primo il ricorrente ha contestato la circostanza stessa che fosse in atto una  “gara” tra i veicoli in senso tecnico, sostenendo l’improbabile tesi che non si sarebbe potuto giungere a tale conclusione dalla mera velocità delle due auto, né dal fatto che esse, per un tratto, si fossero trovate appaiate, potendo benissimo trattarsi di un normale sorpasso. Con il secondo, invece, ha denunciato inosservanza o erronea applicazione dell’art. 189, comma 1 e 4, d. Igs. n. 285 del 1992 e correlato vizio di motivazione, contestando quindi l’omissione di soccorso.

L’imputato ha battuto sul fatto che, dalle risultanze della consulenza tecnica svolta dalla Pubblico Ministero, la morte della vittima sarebbe avvenuta immediatamente, fatto del quale, per le modalità della deflagrazione, egli non avrebbe potuto non rendersi conto, e dunque il decesso istantaneo avrebbe fatto automaticamente decadere il reato per inesistenza dell’oggetto.

 

Contestata la mancata applicazione dell’attenuante del concorso di colpa per l’omicidio stradale

Con il terzo motivo l’automobilista ha denunciato inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 62-bis e correlato vizio di motivazione, invocando la concessione delle circostanze attenuanti generiche, e con il quarto, infine, ha lamentato inosservanza o/e erronea applicazione dell’art. 589-bis, comma 7, C. d. S. e correlato vizio di motivazione. Il ricorrente ha sottolineato come la causa della morte accertata fosse stata la perdita di controllo della vettura da parte del deceduto che si trovava anche in condizioni di grave intossicazione alcolica: pertanto, la difesa invocava il riconoscimento dell’attenuante speciale di cui all’art. 589-bis cod. pen. (quella relativa al concorso di colpa altrui), estendendo l’operatività della norma al caso di cui all’art. 586 cod. pen., in ossequio al principio di eguaglianza.

Il reato è più grave dell’omicidio stradale, essendoci dolo

Ma la Suprema corte ha rigettato tutti i motivi. Il primo è stato dichiarato inammissibile, trattandosi di una censura meramente riproduttiva dell’identico motivo di gravame e che non teneva conto dei fatti accertati anche sulla base delle varie testimonianze: era stato infatti ampiamente provato che i due giovani, imputato e vittima, si erano sfidati su chi fosse riuscito ad arrivare per primo in un bar della zona, dando luogo ad una vera e propria competizione tra loro. Gli Ermellini giudicano anche corretta la qualificazione della condotta. Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, ricordano i giudici del Palazzaccio, “è configurabile una gara di velocità, vietata dall’art. 9-ter C.d.S., quando due o più conducenti di veicoli, senza preventivo accordo e per effetto di una tacita e reciproca volontà di voler competere l’uno con l’altro, pongono in essere una contesa, consistente nel tentativo di superarsi, ingaggiando una competizione da cui deriva un vicendevole condizionamento delle modalità di guida”.

E, soprattutto, la Cassazione chiarisce che, in tema di circolazione stradale, e in caso di violazione del divieto di gareggiare in velocità a cui consegua la morte di una o più persone, “è configurabile il delitto di cui all’art. 9-ter, comma 2, C.d.S. e non anche il reato di omicidio stradale di cui all’art. 589-bis cod. pen., difettandone gli elementi costitutivi, atteso che, in tal caso, la morte non è determinata da una condotta colposa bensì dolosa, alla quale si accompagna la sola prevedibilità dell’evento”: dunque, come detto, qui “in più” c’è il dolo.

Nel caso in cui, nel contesto della gara, la morte sia dipesa da violazioni cautelari diverse dal gareggiare e sia presente anche la colpa, l’imputato potrà rispondere dell’omicidio colposo ex art. 589-bis cod. pen. (oltre che del reato di cui al comma 1 dell’art. 9-ter C.d.S.), mentre, qualora la morte sia derivata tanto dal gareggiare che da altre violazioni cautelari e ciascuna sia assistita dal correlativo elemento soggettivo, avrà luogo il concorso materiale dei reati” precisa ancora meglio, infime, la Suprema Corte.

 

Confermato anche il reato di omissione di soccorso

Interessante anche la motivazione con cui gli Ermellini respingono il secondo motivo, “essendo incontroversa la sussistenza dell’obbligo di prestare assistenza nella fattispecie in esame”. La Cassazione spiega che, secondo un indirizzo più rigoroso, “il reato di omissione di assistenza, di cui all’art. 189, comma 7, cod. strada, presuppone quale antefatto non punibile, un incidente stradale da cui sorge l’obbligo di assistenza anche nel caso di assenza di ferite in senso tecnico, essendo sufficiente lo stato di difficoltà della vittima, di per sé indicativo del pericolo che, dal ritardato soccorso, può derivare per la vita o l’integrità fisica della persona”.

I giudici del Palazzaccio ammettono però che altre pronunce della Cassazione hanno precisato che questo reato richiede, comunque, che il bisogno dell’investito sia effettivo. Sicché, secondo tale indirizzo, esso non è configurabile “nel caso di assenza di lesioni o di morte o allorché altri abbia già provveduto e non risulti più necessario né utile o efficace, l’ulteriore intervento dell’obbligato”: si tratta della discussa norma secondo la quale, in caso di decesso istantaneo, decade automaticamente il reato.

Ma la Cassazione fa proprio il ragionamento che da molte parti si utilizza per obiettare a quest’ultima previsione, e cioè che “si tratta (la morte sul colpo, ndr) di circostanze che non possono essere ritenute ex post, dovendo l’investitore essersene reso conto, in base ad obiettiva constatazione, prima dell’allontanamento”. Nello specifico, secondo gli Ermellini, la censura non tiene conto della “completa motivazione del provvedimento censurato, nella parte in cui si descrive la condotta tenuta dall’imputato nelle immediatezze. Questi, secondo la ricostruzione in fatto dei convergenti provvedimenti di merito, non rivedibile in questa sede, si era soltanto interessato di verificare, una volta avvenuto l’incidente, se la sua vettura avesse riportato danni, senza accertarsi, in alcun modo, delle condizioni fisiche della vittima”.

 

Respinta anche la richiesta di ottenere le attenuanti

Rigettato in quanto inammissibile anche il terzo motivo attinente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, “giudizio di fatto rimesso all’apprezzamento del giudice di merito”, la Suprema corte conclude con la disamina del quarto e ultimo motivo, quello che più preme, circa il mancato riconoscimento della speciale attenuante di cui all’art. 589-bis, comma 7, cod. pen.

Proprio la natura speciale di detta attenuante – spiegano i giudici del Palazzazzio –, ne giustifica la non applicabilità al diverso delitto di cui all’art. 586 cod. pen. per il quale il ricorrente ha riportato condanna”. La previsione di cui all’art. 586 cod. pen., infatti, specifica la Suprema Corte, non prevede, per ogni categoria di omicidio e lesioni colpose, “l’automatica applicazione dell’art. 589 e 590, ma solo che, qualora l’evento effettivamente cagionato sia sussumibile in tali disposizioni, le relative pene siano aumentate. Quando, invece, i fatti sono sussumibili nella fattispecie speciale di cui all’art. 589-bis cod. pen., l’aumento di pena previsto dall’art. 586 non si applica, perché esso trova applicazione solo in relazione ai reati di cui agli artt. 589 e 590 cod. pen”.

Le disposizioni di cui all’art. 589-bis cod. pen., dunque, “sono speciali rispetto alle fattispecie richiamate dall’art. 586 cod. pen., in quanto le condotte di cui agli artt. 589 e 590 cod. pen. sono poste in essere dall’agente con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale. Ebbene, proprio di tale particolarità non si può non tener conto nella applicazione dell’art. 586 cod. pen., secondo cui, “quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell’articolo 83 cod. pen., ma le pene stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentate“.

Si tratta di una particolare applicazione dell‘aberratio delicti di cui all’art. 83 cod. pen., sicché, “quando si è in presenza di condotte speciali tenute dall’agente trovano applicazione le disposizioni di cui agli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen., in luogo degli aumenti di cui all’art. 586 cod. pen. Non si ravvisa, dunque, alcuna violazione del principio di eguaglianza, ma anzi discende dalla totale autonomia della previsione speciale di cui all’art. 589- bis cod. pen. rispetto a quella di cui all’art. 586 cod. pen., la mancata applicazione dell’invocata attenuante di cui al comma 7 dell’art. 589-bis cod. pen. al caso di specie, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale”. Dunque, ricorso rigettato e condanna confermata.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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