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Che accade dal punto di vista assicurativo, in caso di incidente, se il conducente della vettura risulta positivo all’alcoltest? Per i terzi trasportati nulla, l’assicurazione è sempre e comunque tenuta a risarcirli, ma per chi guida possono porsi seri problemi nel caso in cui il loro contratto della Rc-auto obbligatoria preveda il diritto di rivalsa da parte della compagnia nei confronti dell’assicurato per l’ipotesi di guida in stato di ebbrezza.

Ma come va identificato questo “stato”? Senza specificazioni nella polizza sottoscritta, esso va identificato con lo stato di ebbrezza previsto dal Codice della Strada. L’ha chiarito la Cassazione che, con la sentenza 12900/21 depositata il 13 aprile 2021, si è occupata di un tragico caso sul genere, un incidente con esito mortale accaduto il 24 novembre 1996.

 

Il diritto di rivalsa dell’assicurazione per la guida in stato di ebbrezza

Il conducente e proprietario di una Fiat Punto aveva tamponato un autoarticolato e, a causa del violento impatto, il passeggero della macchina era stato sbalzato dalla vettura e aveva finito anche per essere investito dalle auto che sopraggiungevano, perdendo la vita per i gravi politraumi riportati. La compagnia di assicurazione della Punto, Assitalia, aveva risarcito i familiari della vittima, ma, con atto del 2005, aveva citato in giudizio il conducente per rivalersi su di lui della somma liquidata, 268.202,40 euro oltre interessi e rivalutazione, avendo condotto il veicolo in stato di ebbrezza, come previsto nel contratto.

Il tribunale di Bologna aveva accolto la domanda di rivalsa, giudizio confermato nel 2018 anche dalla Corte d’Appello felsinea che aveva rigettato l’appello proposto dal conducente. La corte territoriale, nel respingere i motivi di gravame, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, aveva asserito che era intervenuta l’interruzione della prescrizione e che quindi l’azione di rivalsa non era stata esercitata fuori termine.

Secondo l’interpretazione dei giudici di secondo grado, ed è la questione centrale, poi, il mancato riferimento a una soglia minima dei valori rilevati, ed in particolare la mancata correlazione dell’operatività della clausola di esclusione dell’assicurazione (e quindi di esercizio della rivalsa per le somme pagate al terzo) nel caso di veicolo condotto da persona in stato di ebbrezza alla soglia di punibilità prevista dal Codice della Strada, comportava che l’in-operatività della garanzia era invocabile dall’assicuratore in presenza di valori alcolometrici rilevanti, anche se non eccedenti il limite previsto per la sanzione: valori peraltro coerenti con quanto dichiarato dal conducente della Punto in sede di indagini penali, il quale aveva ammesso di aver fatto uso quella sera “di sostanze alcoliche non in larga misura”.

Infine, la Corte d’Appello aveva concluso che il successivo investimento della vittima da parte dei veicoli sopraggiungenti si era verificato a seguito di un processo causale innescato dal tamponamento determinato dalla condotta colposa del conducente della Punto, che dunque costituiva la conditio sine qua non, mentre l’investimento aveva operato solo come causa sopravvenuta non idonea ad interrompere il nesso causale fra la condotta dell’assicurato e il decesso.

 

L’automobilista adduce il non superamento della soglia di punibilità

L’automobilista tuttavia ha proposto ricorso anche per Cassazione adducendo sei motivi. Quelli che qui premono sono il terzo e il quarto. Con il terzo il ricorrente ha denunciato violazione o falsa applicazione di norma di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Secondo l’assicurato, per negare l’operatività della garanzia poteva essere invocato solo il superamento della soglia di punibilità prevista dalla legge – art. 186 CdS, ”tasso alcolemico superiore a 0,5 g/l e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l)” -, aggiungendo che la clausola di esclusione della garanzia era vessatoria e/o contra ius e quindi inapplicabile per la sua genericità ed indeterminatezza, non ponendo alcun limite alla soglia di esclusione e non consentendo quindi di proporre difese.

Con il quarto motivo, quindi, ha denunciato vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., osservando che sulla base del parere pro veritate di medici legali, prodotto in primo grado, il suo tasso alcolometrico era pari a 0,28 g/l, e dunque inferiore di circa la metà rispetto alla soglia più bassa (0,5) e di circa tre volte rispetto alla soglia più alta (0,8) con sanzione più grave, ribadendo che era del tutto arbitrario il giudizio in termini di “valori alcolometrici rilevanti“.

 

Se la clausola non specifica, il riferimento è ai liti di legge dell’epoca in questione

Per la Cassazione, i motivi sono fondati. La Suprema Corte specifica che la clausola di “esclusione e rivalsa” prevedeva che l’assicurazione non fosse operante nel caso di veicolo guidato da persona in stato di ebbrezza o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti”. Ora, lo stato di ebbrezza, “quale presupposto di fatto cui collegare effetti giuridici, è nozione non naturalistica, ma normativa – spiegano gli Ermellini – E’ l’ordinamento giuridico che lo definisce, allorquando alla ricorrenza di quest’ultimo vengano riconnesse conseguenze giuridiche. Quando quindi le parti di un contratto subordinano taluni effetti, ed in particolare la non operatività dell’assicurazione e l’insorgenza del diritto di rivalsa in favore dell’assicuratore, alla ricorrenza dello stato di ebbrezza, esse fanno riferimento alla nozione normativa di tale stato. Il riferimento è naturalmente qui allo stato di ebbrezza senza determinazioni contrattuali quanto al suo contenuto”.

Con riferimento all’epoca dei fatti, come detto il 24 novembre 1996, l’art. 186, commi 1 e 5, d. Igs. 30 aprile 1992 n. 285 (“Nuovo codice della strada“), applicabile ratione temporis, prevedeva che “E’ vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche (…) Qualora dall’accertamento risulti un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore ai limiti stabiliti dal regolamento, l’interessato è considerato in stato di ebrezza ai fini dell’applicazione delle sanzioni di cui al comma».

L’art. 379, comma 1, del Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada (d. P. R. 16 dicembre 1992, n. 495), prevedeva a sua volta che: “l’accertamento dello stato di ebbrezza ai sensi dell’articolo 186, comma 4, del codice, si effettua mediante l’analisi dell’aria alveolare espirata: qualora, in base al valore della concentrazione di alcool nell’aria alveolare espirata, la concentrazione alcoolemica corrisponda o superi 0,8 grammi per litro (g/1), il soggetto viene ritenuto in stato di ebbrezza”.

Il giudice di merito aveva accertato che i referti ematici avevano evidenziato valori alcolometrici non eccedenti il limite oltre il quale scattava la sanzione di legge. “In base alla nozione normativa di stato di ebbrezza, pertanto – proseguono e sentenziano i giudici del Palazzaccio – il soggetto non poteva essere ritenuto versare in tale stato. Non ricorre pertanto il presupposto di esclusione dell’operatività dell’assicurazione e dell’esercizio della rivalsa”.

La Cassazione enuncia infine il seguente principio di diritto: “se il contratto di assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore attribuisce all’impresa di assicurazione il diritto di rivalsa verso l’assicurato per l’ipotesi di guida in stato di ebbrezza, senza specificazioni convenzionali di quest’ultimo stato, esso va identificato con la stato di ebbrezza previsto dal Codice della strada”.

La sentenza impugnata è stata pertanto cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che dovrà attenersi a questo principio e pertanto rigettare la pretesa della compagnia di assicurazione di rivalersi sull’assicurato.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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