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 Con una ordinanza assolutamente “alta”, la n. 4571/23 depositata il 14 febbraio 2023, la Corte di Cassazione, terza sezione Civile, ha stabilito che il risarcimento del cosiddetto “danno parentale” può essere riconosciuto anche ad una persona che, al momento dell’illecito subito dal congiunto, nella fattispecie da un genitore, non era ancora nata, trovandosi nel grembo materno.

E questo perché è l’esistenza stessa del rapporto parentale che fa presumere la sofferenza del familiare per la lesione del diritto al suo pieno godimento.

 

Un motoclista macroleso dopo un incidente e i suoi familiari fanno causa per il risarcimento

La causa ha tratto origine da un grave incidente stradale in seguito al quale un motociclista, dopo essere stato investito da un altro veicolo, aveva riportato pesanti lesioni tra cui l’amputazione di un piede. Con immaginabili e profonde ripercussioni negative, non solo sul piano dei danni fisici e morali, ma anche economici e patrimoniali: non riuscendo infatti a trovare un’adeguata protesi, il macroleso non riusciva più nemmeno a svolgere il suo lavoro di meccanico ed autoriparatore, ed era stato pertanto costretto a chiudere la sua officina.

Pe ottenere il risarcimento di tutti questi pregiudizi, di fronte al (solito) diniego della compagnia di assicurazione di controparte di riconoscere un’adeguata liquidazione, erano quindi stati costretti ad adire le vie legali, oltre al danneggiato stesso, anche la sua compagna, il fratello, la madre e i due figli, chiedendo per l’appunto i danni subiti a causa della lesione del rapporto parentale.

Figli non risarciti perché una di quattro anni, l’altro non ancora nato all’epoca del sinistro

I giudici di merito avevano riconosciuto il danno agli altri familiari, compreso al fratello non convivente, ma non avevano accordato alcun risarcimento ai due figli solo in ragione del fatto che all’epoca del sinistro il più grande aveva soltanto quattro anni e il più piccolo doveva ancora venire alla luce.

I genitori, quali tutori dei figli, hanno quindi proposto ricorso per Cassazione che ha censurato la pronuncia di secondo grado per aver sottoposto “ad un regime probatorio diverso la pretesa risarcitoria dei figli, di giovanissima età all’epoca dell’incidente occorso al loro padre, rispetto a quella degli altri congiunti; la sentenza impugnata, infatti, ha inequivocabilmente preteso l’allegazione di concrete voci di danno per i figli solo in ragione del fatto che la prima avesse quattro anni al momento dell’incidente e che il secondo fosse nel grembo materno, e non ha ammesso la superabilità sul piano presuntivo di detta mancata allegazione”. 

 

Non servono prove, lo stesso rapporto parentale fa presumere la sofferenza in caso di lesione

Il danno parentale – asseriscono infatti gli Ermellini – si configura anche in presenza di mera lesione del danno da perdita del rapporto parentale ed esso rappresenta un peculiare aspetto del danno non patrimoniale e consiste non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì nello sconvolgimento dell’esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, nonché nella sofferenza interiore derivante dal venir meno del rapporto e/o dall’inevitabile atteggiarsi di quel rapporto in modo differente”.  

Si tratta – conclude la Cassazione, che ha cassato la sentenza con rinvio alla Corte territoriale in diversa composizione – di danno non patrimoniale iure proprio del congiunto, il quale, se ritenuto spettante in astratto, come ammesso dalla stessa Corte d’appello, può essere allegato e dimostrato ricorrendo a presunzioni semplici, a massime di comune esperienza, al fatto notorio, dato che l’esistenza stessa del rapporto di parentela fa presumere la sofferenza del familiare”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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