Quando si resta coinvolti in sinistro stradale e vi è un sostanziale accordo con la controparte su dinamica e responsabilità, è fondamentale compilare con scrupolo e precisione il modulo Cai, la Constatazione Amichevole d’Incidente.
Se, infatti, il documento risulta lacunoso, se non inverosimile, per quanto sottoscritto da entrambe le parti, può essere disconosciuto, non solo alla propria compagnia assicurativa laddove si chiede il risarcimento diretto, ma anche dal giudice.
A ribadire con forza il principio la Corte di Cassazione, con l’ordinanza 26975/19 depositata il 22 ottobre 2019.
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Dubbi sulla constatazione amichevole anche in primo grado
Già il Tribunale di Torino, peraltro, a cui si era rivolto un automobilista piemontese citando in causa la assicurazione che gli aveva denegato il risarcimento, aveva chiarito come la presunzione ricavabile dal modello sottoscritto da entrambe le parti coinvolte nel sinistro fosse stata successivamente superata da elementi presuntivi forniti dalla compagnia convenuta, al punto che il documento non poteva più ritenersi sufficiente a provare il fatto, e cioè che il sinistro si fosse verificato come in esso dichiarato.
In particolare, i giudici di merito avevano ritenuto come fosse inverosimile che data l’ora e il luogo indicati, non fosse intervenuta alcuna autorità pubblica a regolare il traffico e a procedere ai dovuti rilievi, tanto più in considerazione dell’entità dei danni dedotti (oltre 8mila euro).
Al contempo, era altrettanto inspiegabile il mancato intervento di mezzi di soccorso per la rimozione della moto coinvolta.
Inoltre, non risultava prodotta alcuna documentazione medica, che pure era da attendersi sia in considerazione del riferimento che ad essa risultava fatto nella denuncia di sinistro, sia in relazione alla sua dinamica e all’entità dei danni lamentati.
E a insinuare ulteriori dubbi era stata la scelta del ricorrente di non reiterare l’istanza di ammissione di prova testimoniale con riferimento all’unico testimone dell’incidente, così come quella di rifiutarsi di rendere dichiarazioni agli investigatori incaricati dalla compagnia, ostacolando di fatto, in tal modo, la procedura di accertamento ed eventuale liquidazione del danno.
Il Cai non ha valore di piena prova, ma va “apprezzato” dal giudice
La Corte Suprema, a cui l’automobilista aveva presentato ricorso, in conformità al giudizio di merito, ha ribadito che il Cai non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzato dal giudice dovendo trovare applicazione la norma ex articolo 2733, comma 3, del codice civile, secondo cui, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è, per l’appunto, liberamente apprezzata dal giudice.
Tale libero apprezzamento, sia che concluda in un giudizio di idoneità probatoria del documento, sia nel caso contrario, non equivale ad arbitrio e deve essere dunque adeguatamente motivato. Nel caso concreto, secondo gli Ermellini, il giudice ne avrebbe fornito congrua motivazione, valorizzando in sostanza l’assenza di riscontri convergenti di alcun tipo.
In conclusione, secondo gli Ermellini le presunzioni dei giudici di merito erano gravi, precise e concordanti, arrivando così ad essere prove vere e proprie. Elementi che l’assicurato indennizzato non è riuscito a superare in alcun modo.
Respinto dunque anche dalla Cassazione il suo appello.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
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