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Un privato può chiedere al Tribunale di condannare la Pubblica amministrazione a intervenire su una strada in nome del principio del “neminem laedere”. E un’ordinanza di assoluto rilievo quella, la n. 25843, depositata dalla sesta sezione civile della Cassazione il 23 settembre 2021.

 

Il titolare di un’impresa cita il Comune chiedendone la condanna a sistemare una strada

Il titolare di un’azienda aveva citato in giudizio avanti il Tribunale di Cosenza il Comune di Aprigliano chiedendo che fosse condannato alla realizzazione dei lavori necessari per consentire la transitabilità della strada comunale dove aveva sede la sua attività e, in caso di inerzia, l’autorizzazione a eseguire in proprio l’intervento, con addebito dei costi all’amministrazione comunale, nonché la condanna al risarcimento del danno cagionato dalla non transitabilità della sede stradale con mezzi di trasporto.

Il Tribunale aveva rigettato l’istanza e anche la Corte d’Appello di Catanzaro, avanti la quale l’imprenditore aveva appellato la decisione di prime cure, con sentenza del gennaio 2019 gli aveva fato torto.

La corte territoriale, sulla base della consulenza tecnica d’ufficio disposta ad hoc, aveva osservato che le opere necessarie per consentire la transitabilità dei moderni autocarri comportavano una vera e propria ristrutturazione del tessuto viario, dovendosi escludere che ricorreva una mancata manutenzione ordinaria, e che piuttosto si era “dinanzi a scelta amministrativa incensurabile operata dal Comune che ha evidentemente evitato di procedere alla realizzazione di opere di straordinaria manutenzione se non addirittura di radicale mutamento delle caratteristiche del tessuto viario”.

Secondo i giudici si era di fronte a un oneroso intervento di manutenzione straordinaria

Per i giudici, l’intervento avrebbe richiesto di procedere alla apposizione di reti elettrosaldate, canalizzazione delle acque, realizzazione di cunette, posa in opera di platea in cemento: tutti lavori non sussumibili nella categoria della ordinaria manutenzione, così come peraltro evidenziato dall’importo delle somme eventualmente necessarie alla loro realizzazione. In definitiva, per la Corte d’appello si era di fronte ad una valutazione della Pa non censurabile dal giudice ordinario.

 

L’azienda ricorre per Cassazione obiettando che la manutenzione non può essere a discrezione

L’azienda tuttavia ha proposto ricorso anche per Cassazione denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. La ricorrente ha sostenuto che l’attività di manutenzione non può essere oggetto di scelte amministrative implicanti l’esercizio di poteri discrezionali e che nella consulenza tecnica d’ufficio era stato evidenziato che le opere da realizzarsi per la funzionalità della strada non implicavano l’ampliamento della sua portata.

Secondo la Suprema Corte il motivo è fondato. “L’inosservanza da parte della P.A., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario non solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della P.A. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove sia volta a conseguire la condanna della stessa ad un “facere”, giacché la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell’amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del “neminem laedere”.

Secondo gli Ermellini, non è di ostacolo al riguardo nemmeno il disposto dell’art. 34 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, che devolve al giudice amministrativo le controversie in materia di urbanistica ed edilizia, “giacché, a seguito della sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, tale giurisdizione esclusiva non è estensibile alle controversie nelle quali la P.A. non eserciti alcun potere autoritativo finalizzato al perseguimento di interessi pubblici alla cui tutela sia preposta”.

 

Prevale il principio del “neminem laedere”

La Cassazione prende atto che il giudice di merito aveva accertato che i lavori richiesti non erano qualificabili, per la loro importanza, come manutenzione ordinaria, “ma la natura di manutenzione straordinaria, sia pure rilevante per impegno di costi e di opere, non fa tuttavia venir meno la funzionalità dell’intervento alla gestione e conservazione del bene appartenente alla pubblica amministrazione, allo scopo di rispettare il precetto del “neminem laedere. La rilevanza ed imponenza della manutenzione, della quale il privato lamenta l’omissione a tutela del proprio diritto, non vale dunque a spostare la fattispecie nell’orbita dell’esercizio del potere autoritativo, posto che è sempre in questione il rispetto del precetto del neminem ledere”.

In conclusione, secondo la Suprema Corte, il giudice di merito, collocando i lavori in questione nell’area dell’esercizio della discrezionalità amministrativa in quanto esorbitanti dalla manutenzione ordinaria, ha violato tale principio di diritto. Il ricorso è stato quindi accolto e la sentenza impugnata è stata cassata, con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro in diversa composizione.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Responsabilità della Pubblica Amministrazione

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