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Con due recenti sentenze, la n. 27531/2018 e la n. 18406/2018, la Cassazione ha chiarito alcuni aspetti controversi del reato di fuga, di cui all’art. 189 commi 1 e 6 del Codice della Strada, precisando che esso si integra se il conducente si allontana o si ferma sul posto per un tempo insufficiente a consentire la sua identificazione e quella del mezzo condotto, senza che rilevi la sussistenza o meno di un effettivo bisogno di aiuto da parte della persona infortunata. Per la punibilità del reato, infine, non è necessario il dolo intenzionale, ma è sufficiente quello eventuale.

Il reato di fuga è contemplato, come detto, dall’art. 189 comma 6 del Cds. Questa norma, intitolata “Comportamento in caso di incidente” all’art. 1 prevede che “L’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona“. Infatti il successivo comma 6 prevede che “Chiunque, nelle condizioni di cui comma 1, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni“.

Nella sentenza n. 27531/2018 la Cassazione ribadisce che “il reato di fuga di cui all’art. 189 comma 6 Cds, in caso di investimento di persona ha natura di reato omissivo di pericolo e si perfeziona istantaneamente nel momento in cui il conducente del veicolo investitore viola l’obbligo di fermarsi, ponendo in essere, con il semplice allontanamento, una condotta contraria al precetto di legge“.

Nella sentenza n. 18406/2018, poi, la Suprema Corte, nel richiamare alcuni precedenti di legittimità chiarisce inoltre che: “Integra il reato di cui all’art. 189, commi primo e sesto, C.d.s. (cosiddetto reato di “fuga”), la condotta di colui che – in occasione di un incidente ricollegabile al suo comportamento da cui sia derivato un danno alle persone – effettui sul luogo del sinistro una sosta momentanea (nella specie “per pochi istanti”), senza consentire la propria identificazione, né quella del veicolo. La Corte ha rilevato che il dovere di fermarsi sul posto dell’incidente deve durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell’identificazione del conducente stesso e del veicolo condotto, perché, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da non consentire né l’identificazione del conducente, né quella del veicolo, né lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità dell’incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica (Sez. 4, n. 20235 del 25/01/2006; Sez. 4, n. 42308 del 07/06/2017; Sez. 4, n. 9218 del 02/02/2012)”.

Secondo la cassazione n. 27531/2018, “corretto è anche il rilievo che, ai fini della configurabilità del reato de quo, il dolo richiesto per la punibilità può essere integrato anche dal solo dolo eventuale, non essendo necessario il dolo intenzionale (Sez. 4, 10/12/2009 il n. 3568). L’elemento soggettivo in tali casi ben può essere integrato dal semplice dolo eventuale, cioè dalla consapevolezza del verificarsi di un incidente, riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi“.

Sempre secondo la sentenza n. 2753/2018, infine. “la giurisprudenza di questa Corte ha anche affermato come la sussistenza o meno di un effettivo bisogno di aiuto da parte della persona infortunata non è elemento costitutivo del reato che è integrato dal semplice fatto che in caso d’incidente stradale con danni alle persone non si ottemperi all’obbligo di prestare assistenza. Tale condotta va tenuta a prescindere dall’intervento di terzi, poiché si tratta di un dovere che grava su chi si trova coinvolto nell’incidente medesimo (Sez. 4 n. 8626 del 7/ 2/ 2008)”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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